martedì 14 luglio 2009
Noi che... viaggiamo e ci fermiamo prima di ricominciare
20:53
Pensieri... vecchi post del mio vecchio blog che mi dispiaceva dimenticare ^^
Music: http://www.youtube.com/watch?v=wbrRxl7Q2Yk&feature=related
Dopo la fine di qualcosa attendi sempre un nuovo inizio. Segretamente lo brami, perché nonostante fatichi ad ammetterlo è quel lungo percorso irto di ostacoli che hai sempre finto di odiare ma che ti hanno forgiata dentro, quel viaggio, che ti rende felice ed orgogliosa di te stessa al compimento della missione, alla fine. Ma c’è sempre quel piccolo periodo di stasi, di fermo. Ti mette in ansia essere lì senza nuovi scopi, anche se più che altro ciò che ti rende più nostalgica è ripensare al viaggio che hai appena completato. Vorresti tornare indietro e ripercorrere la strada, stavolta più lentamente, così potresti finalmente gustarti attimo per attimo le singole tappe invece di pensare unicamente alla meta finale.
Il fermo che esiste fra un viaggio e l’altro. Chissà perché esiste. Non potrebbe essere tutto un lungo percorso, di cui la meta finale non sia ben precisa? Eppure il fermo è importante. Ha in sé qualcosa di specifico, perché tutto è utile, qualsiasi cosa, se esiste, ha uno scopo. Infatti il fermo serve proprio a farti riflettere. Non puoi continuare ad andare sempre avanti e non pensare al passato, a ciò che è stato. Un po’ di tempo fa su un testo che parlava di Dio c’era scritto: “Chi ha fiducia in Dio non si preoccupa del domani, perché sa che il futuro è nelle mani di Dio che gli rimarrà sempre vicino.” Ok, si può accettare; sinceramente fa un po’ fanatico religioso ma se la prendi sotto la giusta prospettiva è a posto. Poi continuava: “Chi ha fiducia in Dio non si preoccupa neanche del passato, perché sa che non lo può più cambiare e che Dio lo invita a guardare in avanti.” No, questo non è possibile. Come si può lasciare il passato in mano all’oblio? Dal passato si può capire. Non fa niente che non si può cambiare, ma fa comprendere. Cosa? Tutto.
Ritornando alla storia del fermo, in parte è questo il motivo perché esiste. Ci soffermiamo sulle nostre azioni passate, sui nostri errori e, perché no, anche su ciò che ci ha resi dei campioni in questo percorso. Nostalgici, assaporiamo i ricordi, soprattutto i più dolorosi, e ci rendiamo conto che la cosa più difficile di questo mondo è viverci.
Quante volte ci siamo sciolti in mari di lacrime di fronte a una mail che iniziava con “noi che…” o un gruppo di giochi vecchi e dimenticati e screenshot di cartoni animati che non si vedono più? Quante volte, di fronte a queste immagini avremmo voluto tornare indietro per rivivere quell’epoca a noi tanto cara, anche solo un istante, anche solo per un momento?
Tempi passati, di cui non ci rimane che il ricordo. Un ricordo nostalgico, che ogni volta ci porta un po’ di dolore – un dolore sordo che cerchiamo inevitabilmente di relegare in un angolo della nostra mente per la paura che possa prendere il sopravvento – e che non è altro che uno dei tanti moniti del tempo che passa, lasciando, ahimè, solchi profondi nell’anima di tutti noi. Forse tutti abbiamo sperato di vivere solo il presente, perché il passato è sempre doloroso, sempre; forse tutti noi in fondo un po’ ci odiamo per questa nostra assurda vulnerabilità che si mostra solo quando riemerge ciò che siamo stati. Eppure, naufragare fra i ricordi è una sensazione strana e avvolgente, in cui ogni singolo è destinato a perdersi completamente.
Mi chiedo se è possibile che il solo ascoltare quel “noi che…”, guardare quelle immagini, possa essere la chiave del ricordo. È una magia a cui nessuno sfugge. Eppure, che cos’è un gioco, un cartone animato, per produrre così tanta nostalgia? Perché quel giusto assembramento di oggetti in un ordine preciso suscita emozioni così forti? O siamo noi che, nel subconscio, ricordiamo quante volte con gli amici discutevamo attorno a questi futili argomenti, ingenui, ignari di ciò che ci avrebbe riservato il futuro, sempre pronti a nuove avventure?
Che ci troviamo negli anni ’90, ’80, ’30 o nel nuovo millennio non ha importanza, l’importante è esserci stati. Può darsi che mi sbagli, ma non è vero che nel nostro piccolo ciò che conta è essere, vivere, non importa il modo, ma semplicemente averlo fatto? Ma sto divagando. Ciò che contavo di dire è che ogni decennio è stato caratterizzato da una corrente tutta sua che ha trascinato tutti i giovani che vivevano in quegli anni, intrappolandoli nella sua tela di memi in continua espansione finché anch’essa non cessa di esistere ingoiata dalla voragine del “progresso”.
Quindi… quindi una lacrima la possiamo pure sprecare, il “noi che…” non passerà, perché, in fondo, ci ricorda “Noi che abbiamo vissuto”.
Music: http://www.youtube.com/watch?v=wbrRxl7Q2Yk&feature=related
Dopo la fine di qualcosa attendi sempre un nuovo inizio. Segretamente lo brami, perché nonostante fatichi ad ammetterlo è quel lungo percorso irto di ostacoli che hai sempre finto di odiare ma che ti hanno forgiata dentro, quel viaggio, che ti rende felice ed orgogliosa di te stessa al compimento della missione, alla fine. Ma c’è sempre quel piccolo periodo di stasi, di fermo. Ti mette in ansia essere lì senza nuovi scopi, anche se più che altro ciò che ti rende più nostalgica è ripensare al viaggio che hai appena completato. Vorresti tornare indietro e ripercorrere la strada, stavolta più lentamente, così potresti finalmente gustarti attimo per attimo le singole tappe invece di pensare unicamente alla meta finale.
Il fermo che esiste fra un viaggio e l’altro. Chissà perché esiste. Non potrebbe essere tutto un lungo percorso, di cui la meta finale non sia ben precisa? Eppure il fermo è importante. Ha in sé qualcosa di specifico, perché tutto è utile, qualsiasi cosa, se esiste, ha uno scopo. Infatti il fermo serve proprio a farti riflettere. Non puoi continuare ad andare sempre avanti e non pensare al passato, a ciò che è stato. Un po’ di tempo fa su un testo che parlava di Dio c’era scritto: “Chi ha fiducia in Dio non si preoccupa del domani, perché sa che il futuro è nelle mani di Dio che gli rimarrà sempre vicino.” Ok, si può accettare; sinceramente fa un po’ fanatico religioso ma se la prendi sotto la giusta prospettiva è a posto. Poi continuava: “Chi ha fiducia in Dio non si preoccupa neanche del passato, perché sa che non lo può più cambiare e che Dio lo invita a guardare in avanti.” No, questo non è possibile. Come si può lasciare il passato in mano all’oblio? Dal passato si può capire. Non fa niente che non si può cambiare, ma fa comprendere. Cosa? Tutto.
Ritornando alla storia del fermo, in parte è questo il motivo perché esiste. Ci soffermiamo sulle nostre azioni passate, sui nostri errori e, perché no, anche su ciò che ci ha resi dei campioni in questo percorso. Nostalgici, assaporiamo i ricordi, soprattutto i più dolorosi, e ci rendiamo conto che la cosa più difficile di questo mondo è viverci.
Quante volte ci siamo sciolti in mari di lacrime di fronte a una mail che iniziava con “noi che…” o un gruppo di giochi vecchi e dimenticati e screenshot di cartoni animati che non si vedono più? Quante volte, di fronte a queste immagini avremmo voluto tornare indietro per rivivere quell’epoca a noi tanto cara, anche solo un istante, anche solo per un momento?
Tempi passati, di cui non ci rimane che il ricordo. Un ricordo nostalgico, che ogni volta ci porta un po’ di dolore – un dolore sordo che cerchiamo inevitabilmente di relegare in un angolo della nostra mente per la paura che possa prendere il sopravvento – e che non è altro che uno dei tanti moniti del tempo che passa, lasciando, ahimè, solchi profondi nell’anima di tutti noi. Forse tutti abbiamo sperato di vivere solo il presente, perché il passato è sempre doloroso, sempre; forse tutti noi in fondo un po’ ci odiamo per questa nostra assurda vulnerabilità che si mostra solo quando riemerge ciò che siamo stati. Eppure, naufragare fra i ricordi è una sensazione strana e avvolgente, in cui ogni singolo è destinato a perdersi completamente.
Mi chiedo se è possibile che il solo ascoltare quel “noi che…”, guardare quelle immagini, possa essere la chiave del ricordo. È una magia a cui nessuno sfugge. Eppure, che cos’è un gioco, un cartone animato, per produrre così tanta nostalgia? Perché quel giusto assembramento di oggetti in un ordine preciso suscita emozioni così forti? O siamo noi che, nel subconscio, ricordiamo quante volte con gli amici discutevamo attorno a questi futili argomenti, ingenui, ignari di ciò che ci avrebbe riservato il futuro, sempre pronti a nuove avventure?
Che ci troviamo negli anni ’90, ’80, ’30 o nel nuovo millennio non ha importanza, l’importante è esserci stati. Può darsi che mi sbagli, ma non è vero che nel nostro piccolo ciò che conta è essere, vivere, non importa il modo, ma semplicemente averlo fatto? Ma sto divagando. Ciò che contavo di dire è che ogni decennio è stato caratterizzato da una corrente tutta sua che ha trascinato tutti i giovani che vivevano in quegli anni, intrappolandoli nella sua tela di memi in continua espansione finché anch’essa non cessa di esistere ingoiata dalla voragine del “progresso”.
Quindi… quindi una lacrima la possiamo pure sprecare, il “noi che…” non passerà, perché, in fondo, ci ricorda “Noi che abbiamo vissuto”.
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