giovedì 16 luglio 2009

PostHeaderIcon Pensieri




Music: http://www.youtube.com/watch?v=gigpYib8KSQ




A volte penso che se solo si potesse trasferire

direttamente su carta ciò che si pensa, sarebbe molto più facile

raccontare storie. Sì, perchè i miei pensieri corrono troppo veloci e

la mia penna è troppo lenta per loro. Non riesco a dare un nome a

uno che già altri mille pensieri corrono nel cielo pieno di nebbia;

sbattendo spasmodicamente le ali o lasciandosi trasportare dalle

correnti. I più spavaldi salgono su fino al Sole e poi finiscono bruciati

dal calore, i più timidi invece si lasciano fluttuare nelle acque marine

e scendono sempre più giù nei recessi oscuri dei fondali. I pensieri

d'amore vagano alla ricerca di una risposta, sfiorando la superficie

trasparente dei laghi d'autunno, e quando riprendono il volo si

lasciano alle spalle mille goccioline, la scia di un amore sfuggente

e fugace...

E quando la nebbia si dirada... l'occhio può spaziare su questa


miriade di punti bianchi che come gabbiani corrono fra cielo e mare.

PostHeaderIcon Il Vampiro

Bellissimo racconto, scritto nelle fredde notti del novembre 2008. Anche questo ha partecipato a un Concorso, o almeno avrebbe dovuto partecipare. Purtroppo per problemi del server la mail è arrivata in ritardo. Però c'è da dire che alla fine me l'hanno pubblicato ^^
Lo potete trovare, infatti, anche qui
e qui.

Ah, una piccola precisazione. Avete presente quel tipo nella foto? Quello, è un vero vampiro. Ora, avete presente quell'asmatico tutto brillantante della saga della Meyer? Quello, non è un vampiro. Quindi se anche minimamente pensate che io abbia preso spunto per scrivere il racconto da Twilight, vi sbagliate. Di grosso.

Music:http://www.youtube.com/watch?v=9X7WEZ8PkF0


IL VAMPIRO

Il suo desiderio era più vivo che mai.
In una fredda notte d’inverno, due giorni prima della festa dei 4 elementi, aveva ceduto. La sua mente era stata pervasa da quel desiderio immane, forte più di qualsiasi barriera. L’incanto che si era appropriato della sua volontà non le lasciava scampo e così, in quella notte apparentemente normale, era crollata. Nella sua mente non v’era altro se non l’immagine impura di quell’essere che l’aveva ammaliata nei tempi che furono, sempre di più. E i suoi occhi, il suo viso, le sue labbra. Tutto in quella figura richiamava desiderio. Allora pensò che non aveva via d’uscita e si fece avvolgere dal sentimento, tutti gli scudi che aveva cercato di ergere a sua protezione crollarono davanti a quel corpo che così tanto reclamava la smania del possedere il suo cuore e, più di ogni altra cosa, il suo sangue.
Passarono solitarie ore di rimpianti, rimorsi, deliri inimmaginabili, attimi coscienziosi che cercavano spasmodicamente la libertà di esistere, tempi lunghi in luoghi sconosciuti a un passo dalla pazzia. Lei voleva, lo bramava. Niente avrebbe fermato la sua passione silenziosa che non smise di avvinghiarla neanche nel sonno ristoratore di quelle ore d’inferno.
E fu mattino. Lei si alzò come un fantasma, leggiadra e quasi priva d’anima, senza nessuna emozione che le gravava sul cuore. Si avvicinò allo specchio. La sua immagine si riflesse quasi sfocata, ma in pochi attimi si vide un volto stanco e indifferente dai contorni nitidi. Si scostò lentamente i lunghi capelli castani in modo da scoprire il collo. Nessun segno. Se non due minuscoli fori dal bordo leggermente arrossato sulla parte sinistra. Era un avvertimento che lei avrebbe ascoltato.
“Sono pronta per incontrarti”
Seguì un pomeriggio tormentato dallo scorrere dei minuti e dal calare del sole, cosicché quando finalmente arrivò l’imbrunire, esso si portò via anche i timori di una giornata intera.
Ma nell’aria vagava una voce. Una voce che cercava una via per poter parlare ed essere ascoltata. E così fu; e così disse: “Sei davvero sicura di ciò che stai facendo? È davvero ciò che vuoi? Pensaci. È un gesto che può portarti via molto, per quanti doni tu creda possa darti. Pensaci. Perché stai per tradire il tuo Maestro.”
Quella frase, quell’ultima parola, seppe riportarle ricordi offuscati in quel tempo di delirio. Lei ricordò le promesse che aveva fatto. Si rese conto che si stava votando a un essere inumano, e che con esso avrebbe perso anche lei il poco di umanità che le era rimasta. Si rese conto di non poter lasciare che gli eventi prendessero quel corso. Ma fu quell’ultima parola, unita ad un’altra che tanto rancore e sensi di colpa portava, a ergere nuovamente le barriere di fronte alla persuasione.
Solo che non durò. Ella rimase sola nella notte, respiri gelidi la circondavano. Ricominciò così il tormento, più forte di prima. Sapeva di volerlo e si sentiva nuda davanti a quegli occhi che la osservavano in silenzio e che lei non poteva vedere. No, non poteva resistere alla tentazione, e quell’ultima parola svanì come polvere in una tempesta, cancellata per sempre.
Allora aprì la finestra e disse alla creatura che tanto bramava “Entra.”
Ma lui non venne. Nonostante l’invito, non venne e lasciò la sua preda ad attenderlo ancora e ancora.
Arrivò quindi il giorno della festa d’inverno dei quattro elementi. Fu un giorno impuro e intriso d’odio che nemmeno la calma felicità festiva seppe ridurre. Ella rimase nella sua stanza in meditazione. Non volle nessuno vicino e cacciava risoluta gli ostili viaggianti ubriachi che si affacciavano al suo cospetto. Il suo odio superava qualsiasi cosa e non lasciava spazio per nessuna premura. Ma non era rivolto al suo amore segreto. Oh no, non avrebbe mai potuto fargli questo.
Ella odiava la gente e la loro insopportabile superficialità, la frivolezza dei gesti delle persone e i loro stupidi bisogni.
“Aspetto ansiosa il crepuscolo per poterti finalmente incontrare, mio amore.”
Era sicura che questa volta non poteva davvero deluderla. Era troppo che aspettava, troppo che lo bramava.
Venne notte. Erano tre giorni esatti che lo attendeva. Stavolta indossava una vestaglia di un rosa pallido, di raso, i capelli sciolti e una flebile candela a rischiarare il buio pesto stretta fra le mani. Sola nella sua stanza, modesta dimora di numerosi sogni incompiuti, si diresse alla finestra e l’aprì. Un vento gelido la investì all’improvviso, spegnendo la candela e avvolgendola nelle candide e bianche tende, nascondendola alla vista. Non un sospiro in quell’attimo intenso. Finché l’ombra di un mantello non la rapì per sempre…

PostHeaderIcon Il Compromesso

Music: http://www.youtube.com/watch?v=MJNRLq-QmMg






Mille illusioni che cadono come un castello di carte,

volteggiando in pezzi di cuori -

affogando in soffici nuvole di ambiguità incomprese.

Torri che crollano al ritmo del vento,

Rotolano sogni spazzati come foglie secche -

Stridono i rami secchi senza speranze.

Prosciugati i laghi inquinati dalla follia

Storditi i cigni del bosco dalle floreali presenze -

Di inganni arditi e confusi enigmi.

PostHeaderIcon Without Words

Music: http://www.youtube.com/watch?v=guBgvEEh6ks


L’inevitabile è l’indifferenza che si tramuta in follia

Mentre gocce di cielo


Cadono a rischiarare il sole.


È tutto un dire parole incomprensibili


In cui si cela il nulla dei nostri occhi.


È un noi che sa di amaro.


Rimani fermo immobile,


un volo ti sorprende


e ritorna il sogno – oppressione insana –


trascinando brividi di freddo


che sanno di te.

PostHeaderIcon Thor Dé Mar


Questo forse è il racconto a cui tengo di più, se non proprio il mio preferito. Ogni volta che lo leggo ho nostalgia del mare, del viaggio, dei suoni dell'acqua... Ho partecipato anche ad un concorso, ma credo che non saprò mai com'è andata a finire.

Music: http://www.youtube.com/watch?v=mal1FlJKXVY


Lo sciabordio delle onde. Il lento su e giù, l’andirivieni continuo. La dolce e innocua schiuma. Le verdi alghe alla deriva. Il marrone scuro con sprazzi dorati della sabbia appena bagnata.
L’affondare di lenti e decisi passi nella rena. Alba e tramonto, crepuscolo e sera. Un lento e quasi immobile quadro che si ripete in ogni suo movimento. Si scorge solo questo: il mare, le onde, l’uomo che cammina avvolto come sempre nel suo scuro mantello. La visuale è sempre la stessa, è impossibile vedere dall’altro lato, non si può sapere se la sabbia continua nel deserto o confluisce in un terreno fertile.
L’uomo cammina. Incessantemente. Le sue orme sono chiare per pochi secondi appena, poi il mare le spazza via. È come se i suoi passi non esistessero, è come se camminasse nell’acqua, sull’acqua salata, trascinato dalla bianca schiuma che nasconde i suoi piedi.
Ma ecco laggiù una scogliera, e un faro. È il vespro, e la sua luce è già accesa ad illuminare la strada ai naviganti sperduti. E l’uomo cammina ancora.
Ora eccoci su un porto, non c’è più spiaggia, solo dei ponti di umido legno sospesi sul mare che scricchiolano ad ogni passo. I marinai parlano, gridano, e nonostante sia già sera, alcuni scaricano casse e barili dalle navi. Ogni tanto si scorge un’osteria con le calde luci accese. Dall’interno si sente il vociare della gente, le loro risa.
Allora l’uomo entra in una locanda. Forse è stanco. Finalmente si toglie il mantello, logoro e pieno di sabbia.
È alto, giovane. Ha gli occhi del blu del mare, all’interno vortici e gorghi di speranza. I capelli lunghi, raccolti in un codino, sono anch’essi blu e a tratti bianchi come la schiuma, come l’acqua brilla toccata dal sole mattutino, così essi splendono di luce riflessa. Un viso lungo, duro, le labbra continuamente serrate e malinconiche, insoddisfatte. Ma l’abito che porta è frutto stesso del Dio del Mare. Dire che sia vestito solo d’acqua è poco. La casacca che indossa è rifinita d’oro a richiamare la sabbia, l’azzurro vorticoso del tessuto è come il mare, spavaldo, in continuo movimento. I pantaloni, più scuri, richiamano il mare in tempesta. Gli stivali sono alti fin sotto il ginocchio, sembrano fatti con le squame di una sirena.
E le sue sopracciglia. Bianco latte, sfumano nel nero agli estremi. Le ali di un gabbiano.
- Qual è il tuo nome, straniero? –
- Thor dé Mar -

PostHeaderIcon Missione Strega N^54

Sì, lo so, il titolo è un po' buffo, ma è stata una specie di folgorazione e mi dispiacerebbe cambiarlo ^^
Comunque vi assicuro che il racconto contiene molti spunti interessanti... L'ultima frase, ad esempio, non c'è stato ancora nessuno capace di darle l'interpretazione giusta.

Music: http://www.youtube.com/watch?v=lv2xqLoF2nI&feature=related

Il leggero vestito nero svolazzava allegro al vento. Le lunghe maniche rivestite di un elaborato pizzo si muovevano ondeggiando, e luccicavano lievemente di un grigio spento, simile al cielo d’inverno, appena un raggio di sole le sfiorava. La donna avanzava saltellando a piedi nudi fra gli alberi nel fresco pomeriggio autunnale e sorrideva. Il suo era un volto nascosto, un qualcosa di indefinibile. I lunghi capelli neri s’impigliavano fra i sottili rami di betulla a formare una ragnatela che sembrava accasciata lì nel bosco per caso, come se fra un istante stesse per rompersi e dileguarsi nell’aria; e così accadeva, in un circolo vizioso di delicata formazione e dolce eterna distruzione.
Leggiadra, correva come se non avesse peso, in tutte le direzioni e allo stesso tempo in nessuna. Arrivò alla riva di un fiume di montagna, esattamente nel luogo in cui esso formava una polla di acqua stagnante che prendeva un colore verde piacevole alla vista. L’odore era sempre quello buono dell’acqua di montagna. In effetti il fiumiciattolo gorgogliava felice sotto il flebile strato di patina verde che gli dava quell’atteggiamento d’immobilità. Anche alla natura a volte piace prendere in giro, e noi naviganti sperduti delle sue accoglienti acque caschiamo come bimbi ingenui nei suoi trucchetti di maga ammaliatrice.
Sulla riva opposta, un giovane malinconico passava il tempo a smuovere il terreno fangoso del letto del fiume, lì dove l’acqua era abbastanza bassa da permettere di vedere il fondo. Era incautamente seduto su un alto masso per non bagnarsi i modesti abiti che indossava.
La donna lo osservò per qualche secondo, come se fosse ciò che cercava da tempo. Mosse appena una mano, un gesto talmente leggero che a prima vista poteva sembrare involontario, dal basso in alto, lentamente, per poi fare un giro completo del polso. Un leggero filo d’acqua prese a muoversi verso il giovane, come un onda trasversale, e quando giunse alla meta formò un cerchio. L’acqua all’interno prese una coloratura strana, innaturale, e dava l’impressione di mostrare delle immagini, riflessi di altra gente, di altri luoghi.
La strega scomparve così com’era arrivata. Anche oggi aveva aiutato qualcuno a ritrovare la fiducia in se stesso.
Che cosa gli aveva mostrato? Gli aveva fatto vedere oltre se stesso, oltre colei verso cui i suoi pensieri andavano, oltre l’amore, per mostrargli un sogno o un ricordo, un dono di speranza, una semplice visuale per aiutarlo a sorridere ancora.
Nessuno nel bosco si preoccupa di buttare le foglie che cadono.

PostHeaderIcon Camden Town

Music: http://www.youtube.com/watch?v=FiVvA9YQpiI


Cammino guardandomi intorno con aria totalmente svagata, uno stupido sorriso sulle labbra. Mi gira tutto, un turbinio di luci che mi abbagliano. Alle prime ore della sera il quartiere si sveglia, e mi sento circondata dalla mia gente, ragazzi con i capelli dai colori stravaganti e abiti trasandati, catene ai pantaloni strappati e piercing un po’ ovunque. Hanno tutti lo stesso atteggiamento menefreghista e sfacciato, girano con le mani in tasca e si salutano nel loro gergo particolare.
Al mio fianco ora ci sono quelle rovine nere in cui pochi giorni prima erano bruciate le fiamme dell’inferno, le insegne ormai illeggibili che penzolano dalle finestre, semplici aperture nel muro, e già alcune impalcature quasi improntate al momento che cercheranno di ridare vita a quell’angolo di esistenza ormai perduto. Lo guardo, quasi ipnotizzata. Come me, anche altri lo osservano, partecipanti di un muto funerale dai connotati artistici.
Continuo a camminare costeggiando il marciapiede e passando fra orde di giovani che sembrano essersi appena svegliati; gioco entusiasta col biglietto della metropolitana che ho in tasca. Sembra strano, mi dico, ma sono veramente loro, siamo noi. Nei negozi che si affacciano alla strada si vendono solo converse, anfibi, polsiere e vestiti che potrebbero apparire strani alla gente comune. Ma a me no. Numerosi sono anche i locali bui e con le saracinesche abbassate, le insegne portano tutte una scritta arzigogolata che recita all’incirca così “tattoo & piercing”. L’aria sa di fresco, il sapore della libertà, mentre dagli angoli dei palazzi salgono volute di fumo di chissà quali sostanze.
Nel frattempo, il mercato ha chiuso, e osservo i mercanti prendere la merce e metterla alla rinfusa in dei sacchi da caricare sui furgoni; comincia a sentirsi una musica che all’inizio pare un rumore sostenuto, ma che poi si trasforma in un ritmo costante, vitale, che ti riempie le membra di passione. Mi passa affianco una ragazza più o meno della mia età, gli occhi cerchiati di nero, i capelli di un fucsia acceso raccolti i due codini. Ha le labbra tinte di un viola scuro, indossa una maglia dimessa e delle calze a rete. Mi guarda come potrebbe fare un soldato a un suo commilitone, sembra dire “stiamo combattendo la stessa guerra”.
Finalmente mi sento accettata, e non posso fare altro che continuare a camminare e volgere intorno lo sguardo. Fino a poco prima quelle strade erano pattugliate da turisti che forse ignorano la vera natura di questo posto, tutti presi a contemplare un mercato come un altro, quasi un bazar per i loro occhi. Ma è al calar della sera che il quartiere mostra il suo vero volto. Il volto di una massa di uomini e donne che rifiuta ogni ordine che va contro la loro filosofia di vita, l’anarchico viso della ribellione non repressa bensì emarginata.
È ora di tornare, e abbandonare ciò che sarà il mio ricordo migliore. Scendo le scale della stazione, ma prima guardo qualche secondo l’insegna blu dai contorni bianchi che mi sovrasta. Sospiro. A presto, Camden Town.

PostHeaderIcon 0:50

Music: http://www.youtube.com/watch?v=Z0Z5BOdso6I

0:50 - cinquanta minuti dopo la mezanotte


Sono assuefatto dalla tua bellezza, donna:
Selene delle mie notti sperdute,
incanto d’argento delle mie notti sole,
Euridice di ogni istante immenso.

Parlami, non esigo altro.
Se non l’averti accanto …
Mite alba lunare rischiari i tuoi occhi:
pozzi oscuri che racchiudono prigioniere
costrette sempre a splendere.

Parlami, non ho bisogno d’altro.
Dea dei miei sogni,
realtà infinita,
goccia di rugiada
che sfugge alla ragnatela
dell’agognata oppressione.

PostHeaderIcon La Fuga

Music:http://www.youtube.com/watch?v=M1vU7VwIiUU


A volte fuggire è la cosa migliore da fare, o semplicemente ci sembra la nostra unica possibilità per salvare il poco che ci resta. Diventiamo all’improvviso stufi di tutto ciò che ci circonda, ogni minuto in più che passiamo in quel luogo in cui abbiamo vissuto per così tanto tempo appare per noi un soffocante minuto che si aggiunge a numerosi altri nel nostro piccolo, minuto angolo di tolleranza. E allora, attraverso un ragionamento logico che conserva la sua razionalità solo nel breve tempo di concepimento che ha passato nella nostra mente, diciamo basta e decidiamo di andar via, scappare. Prendiamo i nostri effetti personali e cambiamo “aria”, per così dire. I più veloci nel giro di una settimana sono in grado di andare nel posto più lontano possibile che hanno trovato senza rischiare di cadere dal bordo del mondo. Per dirla in maniera semplice, assomiglia a un programma protezione testimoni fatto in casa. I motivi sono vari, ma per lo più conducono sempre alla stessa strada: siamo stanchi, maledettamente stanchi di vivere come viviamo, con i nostri problemi irrisolvibili che si sommano l’uno sull’altro come una catasta di inutili souvenir che ti guarda strafottente dall’alto dell’armadio. Siamo disposti a tutto, rompiamo i legami affettivi e le care abitudini che ci ancoravano ancora a quella che in fondo è la nostra casa. E sì, saremmo anche disposti a vendere l’anima per trovarci veramente su un altro pianeta; il “pianeta dei fuggitivi reietti” dove c’è la pace che cerchiamo.
La verità è che non tutte le fughe vanno a buon fine. Purtroppo, anche se potremmo sentirci in un primo momento appagati, spesso non siamo nelle condizioni di rifarci la vita che abbiamo desiderato per lungo tempo. Nella solitudine ci ritorna in mente come un sogno lontano, un qualcosa nascosto dalla nebbia, il ricordo di quel paradiso perduto che, anche se propriamente un paradiso non è, ha lasciato una traccia indelebile nel nostro essere. E, come un’ombra che prima di morire si ricongiunge al suo corpo, noi torniamo, reduci della nostra piccola esperienza, a quella che è l’origine di tutti gli allontanamenti, terra di addii e di sperati ricongiungimenti: casa dolce casa.
mercoledì 15 luglio 2009

PostHeaderIcon She Could Be You

Vi è mai capitato di vedere il telefilm Kyle XY? Se sì, allora capirete subito di cosa sto parlando.
Nel vecchio blog pubblicai questo post con un'introduzione, che inserisco anche qui. Siccome sto pubblicando i miei scritti in un ordine diverso, si accenna ad alcuni racconti che non ho ancora inserito, ma che farò al più presto. Diciamo che qui viene spiegato perchè in ogni post inserisco la "Music"... ^^


Ogni storia porta con sé una musica. Anche il più commerciale dei libri viaggia su una melodia segreta. L’arte dello scrivere non può aver luogo nel silenzio, perché in essa si nasconde il parto di fiumi di parole che non faranno zittire il mondo, ma lo animeranno con i loro colori. È per questo che ogni scrittore ha la sua musica, le sue note speciali, a cui solo lui è capace di sovrapporre la magia del pensiero.
Stephenie Meyer scrive ascoltando i Linkin Park. Licia Troisi, invece, ama i Muse. E io? Qual è la mia musica? Ciascuno dei miei racconti ha il suo stile: Il Corvo Rosso è scritto (e viene ancora scritto … ^^) sulle note dei Morandi, Thor dè Mar è accompagnato dal puro rumore delle onde del mare, L’Incanto del Demone nasce dal mio amore per il punk rock e quindi per i Simple Plan, i Green Day, i Linkin Park e i The Rasmus … ma questi sono solo degli esempi.
Altre volte, invece, è la musica stessa, ascoltata anche solo una volta per pochi secondi appena, a darti le parole, la voglia di scrivere. Perché forse quel pianoforte e quel titolo ti hanno lasciato un solco dentro, una malinconia che preme per uscire. E da qui nasce come un fiore appena sbocciato, la storia: semplice, concisa, profonda. Da ascoltare, sentire e leggere solo se sotto c’è quella musica che l’ha fatta nascere.

Ed è così che nasce...
She Could Be You
Music:http://www.youtube.com/watch?v=zEvxJic0TX4&feature=channel_page

Ho ancora fra le mani quel ricordo passato. Non vuole scivolare via. Il vento tira forte, spazza via le foglie da questo posto che sa di solitudine. Nell’autunno che viene, penso a te, e la tua foto è ancora qui, presente come non mai. In un altro mondo, in un altro tempo, avrei potuto averti vicino.
E cammina la vita, più veloce ora che non ci sei. Sogno di riaverti, anche se è impossibile.
Non ho più scudi per sfuggire all’abbandono che hai lasciato dietro di te, se non immergermi in quell’immagine fugace, un po’ sfocata, che mi è rimasta nel cuore. Un viso. Due occhi color ambra. E ritornano i ricordi, piccoli attimi di un eternità passata …
… è un locale modesto che si apre al lato della strada. All’interno un bancone con diversi sgabelli intorno, e dei tavolini che corrono lungo la parete. Le finestre, ampie e un po’ opache, danno sul parcheggio. C’è anche un juke-box, lì.
In questo momento il locale è vuoto, fatta eccezione per una coppia che siede poco distante dall’entrata. Sono seduti l’uno di fronte all’altra; lui beve un frullato, mentre lei sorseggia deliziata una bevanda con il ghiaccio. Si tengono per mano. Nel frattempo suona una musica. Poco prima, appena entrati, avevano messo la loro canzone preferita: D4, quarto cd della terza fila, She could be you.
L’uomo al bancone li guarda, con fare paterno. È contento che abbiano scelto proprio il suo locale per passare il tempo. Vengono sempre qui, e passano ore seduti su quel tavolino, la stessa canzone a far loro compagnia. Non sa ancora che quella è l’ultima volta che li vede.
Escono. Sul tavolo resta una scritta: A + S forever in love.
Ora le lacrime non tardano a scendere. Sarah … ti amo ancora.
Mi stringo nel cappotto, fa freddo qui. Poggio per l’ultima volta i fiori sul tuo corpo, anche se il vento ha sparso i petali tutto intorno a te, facendoti da cuscino e lasciando solo i gambi fra le mie mani. Sei un ricordo che non andrà mai via.
Riprendo la foto. La guardo, la osservo. E ogni volta sento dei brividi corrermi giù lungo la schiena. Sei bellissima, come sempre.
E quando mi giro, quasi ti riconosco. Sei ritornata ragazza, il mento un po’ diverso, ma gli occhi non sono cambiati. No, non te ne andare, non di nuovo. Cerco di rincorrerti, fermarti, ma non ci riesco. È troppo tardi quando capisco che era un’altra. Sì, lo so, ma … ancora una volta … lei potrebbe essere te.
martedì 14 luglio 2009

PostHeaderIcon Un pensiero fra scrittori e reduci di guerra

Sempre vecchi post del vecchio blog. Il secondo, quello sui reduci di guerra, ha fatto strage di cuori ^^ Che ne dite, meglio fare lo scrittore o il soldato?


Music: http://www.youtube.com/watch?v=sY47MlI-X4k

Lo scrittore sbaglia sempre. Sbaglia nel raccontare storie altrui come a raccontare le proprie. Eppure viene sempre apprezzato, nonostante non riesca mai ad esprimere un concetto che tutti amino. Lo scrittore vive per scrivere e raccontare. È un raccontastorie. E scrive soprattutto per se stesso. È un modo per esternare la sua passione, il suo dolore, renderlo pubblico e noto a tutti anche se nessuno sa che magari quel dolore è il suo. Lo scrittore ama scrivere solo finché lo fa per se stesso. E io amo scrivere e raccontare di paesaggi ignoti e nascosti, nature estranee all’immaginazione umana che si proiettano nella mia mente come sogni opachi dalla nitidezza di uno specchio. E volare sopra vallate immense, sapendo di non poterti fermare perché non c’è fine al volo libero della fantasia. Il sole che ti batte sul viso, un sorriso, un fiume che discende lento e allegro giù da bianchi monti innevati; e sai che il mondo è tuo, che puoi fare tutto, se solo vuoi. E poi una parola, un gesto, e cadi in picchiata senza fermarti, risucchiata inevitabilmente verso la falsa realtà dove sei costretta a vivere. E inevitabilmente pensi, pensi che se non hai fatto niente di male, perché non potevi continuare a volare un altro po’? Perché? Forse, forse, non potevi e basta, perché anche se hai potuto credere che quel luogo fosse tuo, tutto tuo, non lo è; anzi, è un paradiso pubblico in cui gli uomini tristi si rifugiano per ritrovare la pace che hanno perso. Quindi il tuo volo si è fermato, e un altro ha iniziato a volare al posto tuo, e siccome quella è una pista che non può contenere più di un sognatore, tu sei caduto. Così comprendi e il dolore e la nostalgia e la mancanza del tuo paradiso si annullano, e tutto ciò che ti rimane da fare è sognare, e sperare, un giorno, di poterci ritornare.

Ogni giorno combattiamo le nostre battaglie personali, i problemi della nostra vita ci offuscano la vista, allontanando tutti i conflitti che non sentiamo come i propri. Ascoltiamo distrattamente alla radio notizie di persone morte, persone a cui la vita – questo già breve periodo di tempo in cui siamo vivi – è stata strappata via non dalla natura o dal volere divino, bensì dall’uomo; il disgraziato uomo che prende e dà senza chiedere e che distrugge senza scrupoli, un individuo piccolo e misero capace di annientare il più grande dono dell’universo solo con un movimento delle mani – che sia premere un grilletto, lanciare una bomba a mano o infilzare un coltello non ha poi tanta importanza – e, a volte, anche solo con la parola.
Ascoltiamo distrattamente e osserviamo impotenti – per la maggior parte dei casi impotenti solo per nostro volere, condizionati unicamente da ingiustificate e false ragioni che ci creiamo per redimere i sensi di colpa – mentre in qualche parte del mondo, in più parti del mondo, soldati combattono una guerra che non è solo loro, ma che è di tutti; e molti di essi combattono e basta, indifferenti davanti al perché, seguono gli ordini dei loro superiori e ciò che hanno imparato al militare. Un militare che non ti insegna ad uccidere una persona, ma solo come farlo; un militare che ti insegna dove e quando colpire, le armi da usare, ma da cui non imparerai mai come fronteggiare gli occhi bianchi e incolore di chi hai appena ammazzato, occhi che ti perseguitano di notte e che ti rincorrono. E chissà in tutta questa guerra quanti altri ne dovrai uccidere, centinaia di anime che si aggiungeranno alla prima, pronte a perseguitarti.
Eppure, eppure, tutti gli uomini sono egoisti, e duole di più il male che a noi è stato fatto e non quello che siamo stati noi stessi ad arrecare. E quindi i soldati, i reduci, si ritrovano a combattere ancora e ancora, anche dopo che la guerra è finita da un pezzo, e non possono farne a meno, perché anche se magari quella prima volta si erano offerti come volontari, ora che non vogliono, non possono più decidere, e guardando le dita, le mani monche – segno indelebile della guerra – ricadono inesorabilmente nel vortice nero, in quella voragine a cielo aperto che è l’ombra maligna del ricordo.
Probabilmente dopo tutte queste stragi che avvengono della mente dei reduci, per ultima, abbiamo la nostalgia per i compagni caduti al loro fianco che – più o meno indifferentemente – soprannominano eroi di quella guerra semplicemente perché ci hanno rimesso la vita mentre loro, loro che si sono giocati l’anima senza sapere cosa sarebbe accaduto, quali sarebbero state le conseguenze in futuro, ricevono medaglie al valore o poco più e frasi alquanto consolanti che hanno tutta l’intenzione di dire: “Bravo, sei sopravvissuto”, quando la verità è che non si sopravvive mai ad una guerra, lei ti rimane dentro, attaccata come un morbo al tuo cuore, un cancro senza cura.
Chi è sopravvissuto a una guerra, chi vi ha partecipato con tutte le fibre del suo corpo, non finirà mai di combatterla, perché i fantasmi del passato tornano sempre indietro, portando i loro carichi di disappunto, monito, rimorso e il cordiale annuncio che non ti lasceranno mai solo.

PostHeaderIcon Acquamarina

Una semplice poesia che scrissi il 20 Giugno. Rispetto ai racconti, le poesie riesco a datarle meglio. Perchè non mi metto a scrivere poesie senza la mia compagna, l'ispirazione, e ogni volta sono scritte di getto e non necessitano revisioni. Più che non necessitano, direi che mi impongo di non rivederle, altrimenti perderebbero le mie emozioni...
Questa è per il mio migliore amico, anche se parla d'amore, so che un giorno o l'altro te la farò avere ^^

Music: http://www.youtube.com/watch?v=MKB6T9UGLp0


Ricordi quella volta che ti sussurrai ti amo?
Mi raccolsi da terra come un fiore caduto,
che lento si dispera
e sfiora nella calma
delle tue calde lacrime …

Ricordi quella volta, che mi dedicasti una canzone?
Caddi dalle nuvole per finire fra le tue braccia,
un angelo che ride
e gioisce nell’attesa
di ogni tuo attimo con me …

E ricordi quella sera, fra mille candele rosate,
e bacche di more … e gocce di nebbia …
Quando finalmente fui tua
e in un bacio si dissolse l’incantesimo,
triste gioco dal sapore dolce
d’acquamarina e filigrana d’argento …

PostHeaderIcon Noi che... viaggiamo e ci fermiamo prima di ricominciare

Pensieri... vecchi post del mio vecchio blog che mi dispiaceva dimenticare ^^

Music: http://www.youtube.com/watch?v=wbrRxl7Q2Yk&feature=related


Dopo la fine di qualcosa attendi sempre un nuovo inizio. Segretamente lo brami, perché nonostante fatichi ad ammetterlo è quel lungo percorso irto di ostacoli che hai sempre finto di odiare ma che ti hanno forgiata dentro, quel viaggio, che ti rende felice ed orgogliosa di te stessa al compimento della missione, alla fine. Ma c’è sempre quel piccolo periodo di stasi, di fermo. Ti mette in ansia essere lì senza nuovi scopi, anche se più che altro ciò che ti rende più nostalgica è ripensare al viaggio che hai appena completato. Vorresti tornare indietro e ripercorrere la strada, stavolta più lentamente, così potresti finalmente gustarti attimo per attimo le singole tappe invece di pensare unicamente alla meta finale.
Il fermo che esiste fra un viaggio e l’altro. Chissà perché esiste. Non potrebbe essere tutto un lungo percorso, di cui la meta finale non sia ben precisa? Eppure il fermo è importante. Ha in sé qualcosa di specifico, perché tutto è utile, qualsiasi cosa, se esiste, ha uno scopo. Infatti il fermo serve proprio a farti riflettere. Non puoi continuare ad andare sempre avanti e non pensare al passato, a ciò che è stato. Un po’ di tempo fa su un testo che parlava di Dio c’era scritto: “Chi ha fiducia in Dio non si preoccupa del domani, perché sa che il futuro è nelle mani di Dio che gli rimarrà sempre vicino.” Ok, si può accettare; sinceramente fa un po’ fanatico religioso ma se la prendi sotto la giusta prospettiva è a posto. Poi continuava: “Chi ha fiducia in Dio non si preoccupa neanche del passato, perché sa che non lo può più cambiare e che Dio lo invita a guardare in avanti.” No, questo non è possibile. Come si può lasciare il passato in mano all’oblio? Dal passato si può capire. Non fa niente che non si può cambiare, ma fa comprendere. Cosa? Tutto.
Ritornando alla storia del fermo, in parte è questo il motivo perché esiste. Ci soffermiamo sulle nostre azioni passate, sui nostri errori e, perché no, anche su ciò che ci ha resi dei campioni in questo percorso. Nostalgici, assaporiamo i ricordi, soprattutto i più dolorosi, e ci rendiamo conto che la cosa più difficile di questo mondo è viverci.


Quante volte ci siamo sciolti in mari di lacrime di fronte a una mail che iniziava con “noi che…” o un gruppo di giochi vecchi e dimenticati e screenshot di cartoni animati che non si vedono più? Quante volte, di fronte a queste immagini avremmo voluto tornare indietro per rivivere quell’epoca a noi tanto cara, anche solo un istante, anche solo per un momento?
Tempi passati, di cui non ci rimane che il ricordo. Un ricordo nostalgico, che ogni volta ci porta un po’ di dolore – un dolore sordo che cerchiamo inevitabilmente di relegare in un angolo della nostra mente per la paura che possa prendere il sopravvento – e che non è altro che uno dei tanti moniti del tempo che passa, lasciando, ahimè, solchi profondi nell’anima di tutti noi. Forse tutti abbiamo sperato di vivere solo il presente, perché il passato è sempre doloroso, sempre; forse tutti noi in fondo un po’ ci odiamo per questa nostra assurda vulnerabilità che si mostra solo quando riemerge ciò che siamo stati. Eppure, naufragare fra i ricordi è una sensazione strana e avvolgente, in cui ogni singolo è destinato a perdersi completamente.
Mi chiedo se è possibile che il solo ascoltare quel “noi che…”, guardare quelle immagini, possa essere la chiave del ricordo. È una magia a cui nessuno sfugge. Eppure, che cos’è un gioco, un cartone animato, per produrre così tanta nostalgia? Perché quel giusto assembramento di oggetti in un ordine preciso suscita emozioni così forti? O siamo noi che, nel subconscio, ricordiamo quante volte con gli amici discutevamo attorno a questi futili argomenti, ingenui, ignari di ciò che ci avrebbe riservato il futuro, sempre pronti a nuove avventure?
Che ci troviamo negli anni ’90, ’80, ’30 o nel nuovo millennio non ha importanza, l’importante è esserci stati. Può darsi che mi sbagli, ma non è vero che nel nostro piccolo ciò che conta è essere, vivere, non importa il modo, ma semplicemente averlo fatto? Ma sto divagando. Ciò che contavo di dire è che ogni decennio è stato caratterizzato da una corrente tutta sua che ha trascinato tutti i giovani che vivevano in quegli anni, intrappolandoli nella sua tela di memi in continua espansione finché anch’essa non cessa di esistere ingoiata dalla voragine del “progresso”.
Quindi… quindi una lacrima la possiamo pure sprecare, il “noi che…” non passerà, perché, in fondo, ci ricorda “Noi che abbiamo vissuto”.

PostHeaderIcon 1000 parole - One Thousand Words

Un giorno assolato di metà giugno, navigando annoiata su DeviantArt per passare il tempo, mi imbatto in un "Flash" (non so come si dica in italiano, sul sito li chiamano così). Comincio entusiasta a leggerlo, anche perchè il titolo mi ha affascinata fin da subito. I disegni sono ben fatti, il biondo protagonista (che non è quello dell'immagine) mi piace un sacco, la storia è da strappalacrime. La sera stessa vengo fulminata da un'idea. Perchè non farne un racconto? Il resto viene da sè...

Music: http://www.youtube.com/watch?v=qmxFAT581T4

Era una splendida giornata di sole. Ricordo che andai lì per dipingere un meraviglioso albero di pesco. Mi sedetti sul prato, la rugiada fresca che mi inumidiva la giacca. Aprii calmo la cartellina e tirai fuori l’occorrente, deciso a fare il tutto con la tranquillità che si addiceva a quel mattino fantastico. Poco più in là, giù per la collina, scorreva il fiume, rilucente dei raggi del sole; l’acqua fluiva allegra e le gazze si abbeveravano lungo le rive. L’atmosfera era perfetta, così, senza soffermarmi troppo, cominciai a tracciare il profilo del pesco, il fiume, l’erba e i pochi fiori appena schiusi.
Passò circa mezz’ora, e non mi accorsi che una ragazzina curiosa era rimasta per tutto quel tempo ad osservarmi all’ombra dell’albero alle mie spalle. Finché non si fece avanti, un po’ impacciata.
–Cosa c’è, piccola? – le chiesi.
– Signore, mi può insegnare a dipingere come fa lei? – rispose, balbettando appena. Guardava estasiata lo schizzo che avevo poggiato sulle ginocchia, come se fosse l’opera più bella che avesse mai visto. Infatti dopo un po’ disse – Sei veramente bravo … – Notai che stringeva qualcosa dietro la schiena. – Per favore, insegnami. Vorrei disegnare qualcosa … di speciale. Ma il meglio che posso fare è questo! – Mi mostrò avvilita un disegno, una famiglia felice che si prendeva per mano, per nulla ben fatto. Quella ragazzina cominciava a infastidirmi, mi faceva perdere tempo inutile e presto la luce sarebbe cambiata e addio ‘pesco alle prime luci del mattino’, mi sarei dovuto accontentare del ‘pesco di mezzogiorno’.
Comunque diedi una scorsa al disegno che mi mostrava. Era un semplice stereotipo da bambini, la ragazzina non poteva incolparsi di niente. Col tempo sarebbe migliorata. – È molto bello. – le dissi per farla felice. Le dedicai uno dei miei sorrisi migliori: aveva messo un broncio che non prometteva nulla di buono. Allora lei mi rispose: – Ma io voglio essere migliore, come te. – Mantenni il mio sorriso, e guardandola nei profondi occhi castani le dissi come stavano le cose:
– Basta che ti alleni ogni giorno e in pochi anni sarai bravissima. –
– Pochi anni? – mi gridò contro. – Sarà troppo tardi allora … – all’inizio non capii, così le chiesi:
– Se imparerai troppo tardi, cosa accadrà? – Cominciò a piangere, prima lentamente, poi sempre più forte. – Questo … – mormorò, e strappò in due il disegno che ancora teneva tra le mani. Da un lato c’era un uomo, suo padre, e metà della piccola figura che prima era al centro. Dall’altro lato la madre, e metà bambina. All’improvviso compresi, e una profonda tristezza mi dilaniò. Ormai la mia opera giaceva inerte sulle mie gambe, completamente dimenticata.
La ragazzina si accasciò sulle ginocchia e scoppiò in un pianto disperato. – Mamma e papà … si sono fatti del male a vicenda. Prima che si separino vorrei riuscire a disegnare la mia famiglia unita, non importa quanto brava sia. Questo è il motivo … per favore insegnami. –
Guardai il cielo, pensieroso. Ora il sole bruciava gli occhi, e feci per pararmi la vista con una mano. – Non posso. Ci vorranno anni per insegnarti, e io sono un viaggiatore. – Sospirai. – Me ne andrò domani. E comunque … – Acchiappai al volo una foglia caduta dal pesco, il mio pesco. – Non è meglio aver avuto la tua famiglia, che un semplice ritratto? – In quel momento il sole mi accecò.
Lei sussurrò, quasi fosse una supplica – Non voglio sentirmi così impotente … –
Mi alzai, cartellina sotto il braccio, deciso ad andarmene. – Non disperare. – le dissi ancora una volta, passandole una mano fra i capelli castani. – Qualcuno una volta mi disse che l’arte si discerne dal contenuto, non dalle abilità. E un disegno ha il valore di mille parole. – Sentivo il suo piccolo corpo sussultare per i singhiozzi al contatto con la mia mano. – Ho un’idea, – proseguii – perché non facciamo uno scambio? Il tuo disegno, per mille parole.
Alzò lentamente lo sguardo su di me. Nei suoi occhi di rifletteva il riflesso del ragazzo che ero, i miei capelli biondi al vento, i miei, di occhi,verdi come l’erba. Mi accorsi compiaciuto che ora non piangeva più. La sua voce, al contrario, sembrava quella di chi non ha parlato per lungo tempo, incrinata dall’aspettativa. – Ma … è strappato. – mi disse mentre mi porgeva il disegno. – e cosa posso fare con mille parole?
– Forse, – le risposi – forse mille parole basteranno per convincere i tuoi genitori. Incontrami qui domani. Vedrai. – E così mi avviai e la lasciai sola, completamente cosciente del mio pesco incompiuto.

Il giorno dopo, quando arrivai, era già lì ad aspettarmi. Speravo che la mia idea funzionasse. Le arrivai alle spalle esattamente come aveva fatto lei il giorno prima, e le poggiai delicatamente una mano sulla testa. – Signore, siete qui! – disse lei, appena si accorse del mio arrivo. Sorrideva. – Certo! – risposi, e le porsi il pacco che avevo portato con me. All’interno, il disegno che mi aveva dato il giorno prima, riunito malamente con un po’ di nastro adesivo. – Come promesso, mille parole. – dissi. – Ma non aprirlo, dallo ai tuoi genitori. – aggiunsi. – Non importa se il sole splenderà sempre, cerca solo un domani luminoso, e lo troverai.

Passarono sei lunghi anni. Non la rividi più. Certo, come potevo, impegnato a girare il mondo e a dipingere peschi. Nessuno però così bello come quello in riva al fiume. Così, un giorno, ci tornai. Il tempo era identico a quella mattina di tanti anni prima, la stagione la stessa. La trovai seduta sotto un albero, intenta a scrivere su un quadernetto. La accarezzai. – Signore! – gridò appena mi riconobbe, saltandomi al collo. – Sei cresciuta … – dissi, abbracciandola. E in effetti era davvero cresciuta, i capelli ora le arrivavano in vita, ed era alta quasi quanto me. – Vorrei ringraziarti – disse – per avermi aiutata.
– Così la tua famiglia è ancora unita, ne sono felice – risposi.
Ma lei mi blocco appena finii di parlare, e ciò che disse mi bloccò il cuore. – Hanno divorziato la settimana dopo. –
Sgranai gli occhi e abbassai il capo afflitto. – Mi dispiace … Non sono riuscito a fare la differenza.
– Non è vero! – disse lei – Hai fatto la differenza in me. Ho deciso di diventare un’artista come te. Farò la differenza e cambierò il mondo in meglio, mille parole alla volta. Qui, – e mi porse il quaderno – mille parole della mia gratitudine. – Lo aprii, allibito. La ragazzina era più in gamba di quanto mi aspettassi. Cominciai a leggere quello che c’era nel quadernetto: grazie, grazie, grazie, grazie, grazie, grazie … – Mille parole precise, non c’è che dire –

PostHeaderIcon Il Fabbricante di Pupazzi

Un'altro racconto che scrissi molto tempo fa. Così tanto, che non ricordo nemmeno precisamente quando. Credo si avvicini molto al libro Coraline di Neil Gaiman, che stavo leggendo in quel periodo, se non sbaglio.
Racconta la lenta agonia di un uomo che vive fabbricando pupazzi, bambole di pezza, peluche. Così delicati e indifesi da spaventarlo. Io personalmente non li ho mai sopportati ^^

Music: http://www.youtube.com/watch?v=K5FEPYx_5wA

… andava alla deriva.
Non dormiva; perché dormendo avrebbe sognato, e i sogni lo tormentavano. E non era sveglio, perché da sveglio avrebbe trovato ad attenderlo la verità da cui voleva disperatamente fuggire.
Si lasciava andare alla deriva, in bilico tra esistenze ben riconoscibili, rannicchiato nel grigio punto mediano tra ciò che è e ciò che ormai più non è, dove la mente non riusciva a concentrarsi e i ricordi restavano confusi, dove si sentiva al caldo e al sicuro sia dal passato che dal futuro.
Su di lui aleggiava la follia, lo sapeva. Ma la follia era la benvenuta e lasciava che essa la chiamasse a sé senza lottare. Lo disorientava e distorceva la sua percezione e i suoi pensieri. Gli forniva un rifugio. Lo avvolgeva in un manto di non esistenza, erigendo un muro a difesa di tutto; ed era questo ciò di cui aveva bisogno.
Ma anche i muri hanno crepe e fessure che lasciano filtrare la luce, e così pure la sua follia. Distingueva lontanamente gli oggetti che lo circondavano: sussurri di vita del mondo da cui stava cercando così disperatamente di nascondersi. Sentiva le coperte che lo avvolgevano e il letto su cui giaceva. Vedeva le candele ardere dolcemente attraverso una foschia liquida, capocchie di spillo da luce gialla come isole su un mare cupo. Strane bestie lo osservavano da scaffali, scatole e cassettiere, e i loro volti erano stoffa sdrucita e pelo con bottoni al posto degli occhi e nasi appena ricamati, orecchie cadenti o a punta; erano disposte in pose studiate, attente, che non mutavano mai. Lo osservavano nella sua lenta agonia.
Ascoltava le parole che venivano pronunciate, aleggianti nell’aria come granelli di polvere su fasci di luce incerta.
“Sta molto male” disse una voce.
E l’altra replicò: “Si sta difendendo”
Sapeva chi erano, anche se non riusciva a metterli a fuoco esattamente. Sapeva anche che stavano parlando di lui. Ma non gliene importava. Ciò che dicevano gli era indifferente.
venerdì 10 luglio 2009

PostHeaderIcon Sussurrami di un bacio

La stessa poesia in due versioni. La prima è antecedente alla seconda di diversi mesi, mentre la seconda era stata scritta per partecipare a un concorso, ma purtroppo siccome all'interno ci sono brandelli di diversi miei scritti l'ho ritenuta "inadatta" e l'ho sostituita con un più fluido racconto ^^

Music: http://www.youtube.com/watch?v=bpLAT_d56sk

1)

Sussurrami di un bacio…
Le nostre labbra che si sfiorano
Ti prego sussurrami di un bacio
Raccontami in attimi di silenzi
Ciò che sarà l’istante della vita
E parlami di parole buttate al vento
Scagliale lontano
Ma sussurrami di un bacio…

Dolci sguardi nella notte
Le tue mani fra le mie
Niente è come sembra
E allora taci
Il silenzio è magia.


2)

Giriamo a testa alta con il viso coperto dalle lacrime
Per non piangere da soli.
Sfioriamo i tronchi possenti della natura
Per sentirci protetti.
Abbracciati sotto un frassino
Ci chiediamo perdono.
L'acqua scorre lenta sui nostri volti:
porta via il passato.

Sussurrami di un bacio…
Le nostre labbra che si sfiorano
Ti prego sussurrami di un bacio
Raccontami in attimi di silenzi
Ciò che sarà l’istante della vita
E parlami di parole buttate al vento
Scagliale lontano
Ma sussurrami di un bacio…

So di conoscere le tue labbra,
Nulla di più mi occorre per toccare il tuo cuore
E null'altro so di te, mio amore.
Fra la pioggia che scende nella radura
Mi chiedo solo:
"... sarà che amo l'ignoto?"

PostHeaderIcon Changer

Scritto il 21 Dicembre 2008. Liberamente ispirato... dal mio libro di storia di 3 media che ha descritto il periodo della Rivoluzione Industriale meravigliosamente ^^

Music: http://www.youtube.com/watch?v=lYNt2yZxxEA







Inverno 1889. Parigi.
Cammino stretta nel mio cappotto lungo le strade della città, una neve che scende leggera a farmi compagnia. Sulla strada, passano carrozze e auto, in un lento susseguirsi di scalpitare di zoccoli e fremere di motori. Il marciapiede è coperte da un lieve strato di ghiaccio e qualche centimetro di neve fresca, agli angoli delle vie laboriosi spazzaneve muniti di scope. Mi affiancano numerosi lampioni, silenziosi compagni della mia solitaria e frettolosa passeggiata. Il freddo ti si infila fra le ossa, mentre il sole lentamente scompare dietro le case diroccate della periferia di Parigi, lasciando nel cielo il riflesso di raggi viola, e compaiono le prime stelle.
Mi trovo nei quartieri alti della città, pieni di giardini curati nonostante il gelo e palazzi alti con infiniti ghirigori ai bordi delle finestre e sugli ampi balconi, da cui fuoriesce una musica calma che sa di solitudine, suonata forse da qualche giovane dama alle prese con un pianoforte a coda. È strano che mi trovi qui, io, abituata a vagare senza meta fra le case basse e diroccate della periferia dove anch’io dimoro, abituata a scacciare fastidiose mosche e altrettanti noiosi mendicanti che affollano quegli stretti vicoli. Qui le strade sono ampie, luminose, non c’è nessuno che interrompa la tua calma interiore, e puoi camminare liberamente. Lì, viuzze anguste, illuminate solo da quel poco che penetra da qualche finestra aperta e dal cielo sovrastante, un luogo in cui non ti puoi sentire mai sicura e a tuo agio.
Penso al mio lavoro in fabbrica, alle mie mani continuamente sporche e rovinate, le unghia corte e spezzate, i vestiti luridi e sgualciti dai colori che ricordano vagamente le pozzanghere autunnali. E ora guardo le sfuggenti ragazze che mi passano affianco, avvolte in pomposi scialli o soffici pellicce, con addosso ampi vestiti e guanti di velluto che nascondono mani che non hanno mai visto il lavoro e che nella loro vita hanno toccato solo pagine di pergamena e penne con cui vergare le loro lettere d’amore.
Continuo a camminare, ed ora mi trovo di fronte al gigante di ferro della “Tour Eiffel”, rappresentante quantomeno vistoso della rivoluzione industriale che ha sconvolto il nostro paese da ormai una ventina d’anni. La sostituzione dell’uomo da parte della macchina… Per quel che ne so, la vita di milioni di persone non sarà più la stessa, si è innescato un meccanismo che ormai nessuno potrà più fermare. Perché basta guardarsi intorno, tutta Parigi è cambiata ed il cambiamento è tutt’ora in atto.
Ricordo una lettera che mio padre mi scrisse qualche anno fa, quando mi ero trasferita da poco per lavorare nella fabbrica. Poche parole con una scrittura infantile, tremante e insicura. Poche formalità; mi chiedeva come stavo, mi informava sulla salute cagionevole di mia madre. E poi quelle frasi che mi colpirono così tanto e che mi strapparono anche qualche lacrima:

La rivoluzione, Julianne, mi ha portato via quanto di più caro avevo al mondo: te. E lo sta facendo anche con tutti i genitori pieni di acciacchi che vivono nelle campagne, troppo vecchi per trasferirsi con i loro figli e permettersi una nuova dimora. Però, nonostante tutto, nonostante probabilmente moriremo prima di dar loro un ultimo abbraccio, continuiamo ad amarli, anche se il progresso prosegue col strapparceli dalle braccia sempre più in tenera età…

Ed eccomi qui, al crocevia dove i lampioni alimentati ad elettricità lasciano il posto a quelli più modesti a gas, segnando quasi un confine fra il progresso e i simulacri della vecchia era in cui si viveva così bene. Forse aveva ragione mio padre, quello che diceva era vero. I cambiamenti sconvolgono, per quanto possano essere positivi. E quando sono così drastici, le conseguenze lo dimostrano ancora di più. Quindi mi chiedo: è davvero ora di cambiare?

PostHeaderIcon The Gift Of Light

Il mio primo racconto, datato all'incirca al novembre del 2008. Liberamente ispirato all'immagine di Adele Lorienne che trovate qui sotto.


Music: http://www.youtube.com/watch?v=mPOshjF1c9w


- Glael! Glael!
Faeren sedeva sul ramo più possente dell’albero, le mani chiuse a coppa e la fronte da bambino aggrottata come se stesse sopportando uno sforzo sovrumano, perso nella concentrazione, compenetrato con la natura.
Il legno su cui era gentilmente posato il corpo del fanciullo era dei più forti e vigorosi della foresta, una quercia vecchia e gentile che gli sfiorava le spalle con le sue foglie larghe; come una nonna lo incoraggiava silenziosa. Il tronco possente e alto, solcato da miriadi di rughe, s’innalzava solitario per poi dividersi e intrecciarsi nei rami che creavano un posto perfetto in cui riflettere…e sognare.
Le radici arrivavano a misurare quanto le fragili betulle e spuntavano birichine dal terreno per poi rifondarsi nella terra; sembravano arrivare con la loro maestosità fino all’altro capo del mondo.
L’albero era sovrano al centro della radura e i suoi giovani compagni si tenevano rispettosi a dovuta distanza.
Sotto di lui esisteva un prato di un verde acceso, quasi sognante, e quando la luce del Sole – amorevole padre – accarezzava ciascuno di quei fragili steli, vi si sentiva nel cuore l’energia della vita attraversarti da parte a parte.
Natura. Pura natura. Attorno non potevi trovarvi altro; neppure i leggiadri uccelli osavano con i loro piacevoli canti interrompere la calma che regnava in quel luogo. Nessuno ne era in grado, nemmeno lo spregevole uomo che tanti boschi e tanti alberi più vecchi di lui aveva spezzato, nemmeno lui che bruciava vita solo per il piacere del calore che ne derivava. No, nessuno avrebbe profanato quel luogo magico e misterioso che al solo guardarlo ti incuteva tranquillità e timore, gioia e nostalgia, serenità e senso di colpa.
- Glael! Per favore, ti prego, accenditi! Glael!
Faeren, figlio della foresta, elfo, amico, continuava nei suoi vani intenti. Erano giorni che ci provava, appartato nel suo mondo, in quella che era la sua vera casa, ma ancora non era riuscito a fare quel piccolo incantesimo. Cercava di accendere fra le mani un globo di luce che lo avrebbe accompagnato nei momenti di buio della notte, nelle caverne della montagna, e in tutti quei luoghi in cui cerchi spasmodicamente il sole senza mai riuscire ad averlo affianco a farti compagnia e a consolarti con il suo dolce e impalpabile calore.
Nel frattempo si era alzato un vento fresco che faceva stormire le fronde della quercia, producendo una musica soave indescrivibile, quasi ricordo di tempi passati, quasi mistero di ere antiche. La musica della natura è insuperabile, è la massima espressione della potenza dell’elemento per eccellenza. Terra, aria, acqua, fuoco. Musica per chi sa ascoltare, per chi sa amare. Emozione.
Il fanciullo smise per un attimo il suo esercizio e si fermò a contemplare i suoni e la sua amata quercia, le cui braccia lo cingevano amorevolmente e con fare protettivo come quelle di una madre.
- Ti voglio bene… - mormorò fra le labbra mentre accarezzava la superficie rugosa dei rami e si lasciava coccolare dai sottili e frondosi rami pieni di vigorose foglie.
Solo allora chiuse gli occhi e dimenticò il compito gravoso che stava svolgendo attimi prima. Assaporò la perfezione, la bellezza della natura; si sentì parte di quel quadro e allo stesso tempo staccato; si sentì per la prima volta vivo. I fiori, l’erba, gli alberi, persino il cielo; avvertiva la sensazione che tutto ciò gli stesse passando attraverso, riempiendolo di un energia a lui estranea. Non aveva corpo, era pura aria, un’anima solitaria nel paesaggio d’infinito che si profilava davanti agli occhi del suo cuore in estasi. Fu solo un attimo, l’attimo più bello. E quando riaprì gli occhi si trovò con un globo che splendeva di luce propria fra le mani. Era di un bianco che dava calore e sembrava che ai lati spuntassero due piccole ali luminose. La sua bocca si aprì a un sorriso. Aveva capito.
La natura stessa gli aveva fatto un dono. Nel rispetto che Faeren portava per essa, aveva voluto di propria spontanea volontà aiutarlo in quel piccolo compito e al contempo fargli passare qualche istante di benessere. Un dono che arrivava dall’animo stesso della massima potenza dell’universo. Un dono di bontà. Il dono della luce.
All’improvviso esausto, ma pieno di una gioia incontenibile, si lasciò scivolare lungo il tronco della quercia e si addormentò sul letto d’erba, umida di rugiada, con i calorosi raggi del sole come unica coperta…
domenica 5 luglio 2009

PostHeaderIcon L'aquilone


Questa è una delle mie prime poesie, scritta quando avevo appena undici anni; dal carattere leggero, imprime nella mente l'immagine di quest'aquilone che vola fra i campi di grano, metafora delle illusioni della vita che spesso ti donano speranza, per poi togliertela e interrompere il tuo volo a metà cammino.

...Macchie rosse
su quel manto giallo,
risaltano, mosse da un vento leggero;
papaveri e grano.
E sopra le nuvole,
fra spiragli di cielo,
solitario, fugace pensiero.
L’aquilone,
a suon di campane
danza,
illuminato da lampi di luce dorata
nel giorno che avanza.
Un momento, è immobile.
Come in picchiata, ritorna alla realtà.


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