tag:blogger.com,1999:blog-74926641083578235192024-02-19T13:36:16.337+01:00...Modesta dimora di numerosi sogni incompiuti...Unknownnoreply@blogger.comBlogger111125tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-17394953639367129042012-10-06T15:02:00.001+02:002012-10-06T15:02:05.205+02:00Finestre di periferia<p><font color="#ffd7eb" size="4" face="Bell MT">Dalla finestra della mia camera si vede il cielo, fra qualche sparuto albero e nessun palazzo ad oscurare la vista. Per quello squarcio Ottobre è un mese speciale: di notte riesci a seguire il percorso della luna fino a dopo mezzanotte, e al mattino il sole infuocato si lascia guardare, basso all’orizzonte, con i raggi che picchiettano di rosso la trapunta.</font></p> <p><font color="#ffd7eb" size="4" face="Bell MT">In questo mese lascio sempre le tende spalancate. In questo mese mi addormento assieme alla luna che naviga e scorre un poco più in là, dopo avermi fatto compagnia per ore, e mi sveglio all’alba con un altro cielo a riscaldarmi i pensieri.</font></p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhctNReqA4xI26SPSNx1o_Bw-Bj6HVpml-tBH8UWLzxNXkOvvml7PttEtL-m1B6yCptS2oTz1RKdgh4comKq26WDhDGwd0QFw_QM6qYqw-YiyIjvrZsBlmL0-XJHyCY7c3493v5uIqQ41kJ/s1600-h/White%252520Flowers%25255B2%25255D.gif"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" title="White Flowers" alt="White Flowers" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjGFCwZKUSpGFmUaUbPm08eFQ2VIZEg-46a5v__KBGKjjzSsPJsr3HvowkEADuOsMIaGhGi6z8RUMqg9LxgGjtNARCP8j9J_5jdCBU8wwKWu7I-5x9hzhTJBFzRJfjSTxhbQG460Gi7z97-/?imgmax=800" width="240" height="35" /></a></p> <p> </p> <p>Preziosi ritagli carezzano cornici di pallido giglio –</p> <p>Si affacciano nel grigiore alte lune</p> <p>e bassi fuochi fra albe e notturni;</p> <p>nel tempo ove i riverberi occludono la vista</p> <p>alle stelle ed ai venti, le loro fanti</p> <p>si tramutano in porta-voci di luce.</p> <p> </p> <p>Le alte lune restano capricciose, sospese,</p> <p>sorridono a falci ombrose di mezza-notte</p> <p>negli archi d’Ottobre, nella criptica sera.</p> <p>I bassi fuochi, spiaggiati su colline senza contorni,</p> <p>gote vitree abbracciate da palmi arrossati,</p> <p>sfumano fra meteore e strisce di cenere bigia.</p> <p> </p> <p> </p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc00.deviantart.net/fs31/i/2008/204/4/4/I__ll_Wait_For_You_by_Sugargrl14.jpg" width="501" height="373" /></p> Unknownnoreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-58126062128754936862012-03-28T22:11:00.001+02:002012-03-28T22:12:14.474+02:00Venetian Snares<p> </p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Ci provo. Ogni tanto il tentativo fa bene. Dovrebbe stabilire il primo passo verso un cambiamento, verso un “poi” indefinito. Inserisce uno specchio a metà strada, così da mostrarti le aspettative future, i crocicchi, gli scontri. Magari riesci anche a scorgere dietro di te, come in uno specchietto retrovisore, l’impatto che ti sta per travolgere.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Ma per ora spero di non avere nessun impatto. Nessun incidente, come non ce ne sono stati da Settembre finora. Ricordate i miei sogni conclusi/reclusi, la mia prigionia? Il mio tentativo è quello di mostrarvi parte delle mie carceri, ora, qui – subito. Non so quanto possa interessarvi, tuttavia…</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Ho riletto le mie introduzioni ai racconti. Quegli spezzoni in cui raccontavo un po’ di me, un po’ del tempo, un po’ dei granelli di sabbia e polvere che imperlavano i miei occhi umidi. Forse per capire se c’è stato il cambiamento in cui credevo, forse per girarmi verso lo specchio passato a salutarlo con un sorriso, così da lasciare alla mia “me” passata un segnale: gli angoli della mia bocca sollevati, il piercing che lancia un bagliore consolatorio, tutto per dirle di non preoccuparsi, di andare avanti, che le aspettative future non sono tanto male.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Forse la mia “me” passata, se non fosse stata troppo distratta, avrebbe percorso tutta quella strada con un peso in meno sul cuore.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT"></font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT"></font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">A dire il vero, non sono cambiata poi molto. Ancora ho dubbi sulla mia scrittura, che relego soprattutto in noiosi temi scolastici (chissà, potrei postare anche quelli, sono sicura che metà popolazione liceale ne usufruirebbe senza esitazione), ancora mi sento una straniera proveniente dalla terra dei sogni. Quella frase di D’Annunzio è tatuata lettera per lettera sul mio cuore, solo in attesa di trovare il punto giusto – e il momento giusto – per incidersi sulla mia pelle e rendersi visibile al mondo.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Allo stesso tempo, Marble Walls resta una delle mie tre canzoni preferite – e che mi descrivono, in una maniera o nell’altra. Preceduta solo da Acoustic Funeral (For Love In Limbo) degli HIM e Das Schweigen dei Lacrimosa. Sento un paio di brividi percorrermi la pelle come una folata di vento inaspettata: fa strano accorgersi che, mentre il mondo vorticava senza sosta, io sia rimasta sempre me stessa. Con qualche briciolo di senno in più, si spera, qualche goccio di tonalità mutata nella schiera delle mie emozioni. Tutto che converge però in un’unica sostanza: il sogno, l’arte, l’arte del sogno.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT"></font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Ho tentato di portare avanti una trama. La trama c’è. Il tempo per scrivere, lo stile giusto, il <em>qualcosa</em> che mi dovrebbe spingere a farlo… mancano. Può darsi che quel tic-tac dell’orologio mi sfugga proprio in questi anni (sì, perché ormai si tratta di anni), che passo relegata nel Sogno: le sabbie delle mie clessidre vanno a formare i fondali marini, intanto che a me resta solo il ricordo del loro timido rumore, quando, quasi impercettibilmente, defluiscono lungo i loro calici invetriati di colori preziosi. Guardare lo scorrere del tempo, direbbe Murakami, dà la stessa sensazione del fissare a lungo una boccia di pesci rossi. Non ti stanchi mai.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">In ogni caso sto per postarvi un racconto. Ancora non sono del tutto in grado di divagare sulla mia vita senza lasciarvi con qualcosa di più concreto. Rileggendolo, penso che sotto certi aspetti riflette il mio rapporto con la scrittura, con le idee fantasiose che mi attraversano la mente e che, per sfortunate coincidenze, non riescono a raggiungere la carta con la stessa lucidità o rapidità.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Ma… sapete una cosa? Credo che un giorno riuscirò a scrivere, a farlo davvero. Devo solo essere paziente con me stessa, come lo sono sempre stata.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT">Intanto leggo tanto, tantissimo, nel limite delle mie possibilità, e mi perdo nell’arte (che include anche lo studio scolastico, sebbene non tutti potrebbero essere d’accordo su questo punto). Potrei definirlo il mio modo di guardare lo scorrere del tempo. Il mio modo per illudermi di essere in una crisalide che presto si schiuderà per dar voce alla sua arte, stavolta senza nessuno a fermarla o a reprimerla. Tutto questo rientra nella mia Dreamland, e i miei nuovi sogni incompiuti si riconducono a questo: aspettare che dalla crisalide spunti una feritoia per la Realtà.</font></p> <p><font color="#ceffff" size="4" face="Bell MT"></font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Due piccole premesse: avrete forse notato che il mio blog sta avendo problemi di grafica non indifferenti. Bene, l’unico modo per risolverli sembra, al momento, cambiare del tutto il template. Sono tanto affezionata a quello attuale che, per il momento, preferisco tenerlo così com’è, con tutti i lividi elettronici che si porta dietro da qualche mese a questa parte. Inoltre: il personaggio di questo racconto è, indovinate un po’, una donna che vi descrissi forse più di due anni fa, in <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.it/2009/10/ho-bisogno-di-una-storia.html">questo post</a>. L’avevo incontrata per caso e cercavo, per lei, una storia. Ecco… finalmente l’ho trovata. </font></p> <p> </p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgCyEFMF0OIATCYU_-eKChvUBPqe40bvH6YYuAV2LNMxmEkvHvd_vxACYWP9tW1Q24NH6ATehmkPxZ_AAZL24IWdo1tcZ1PcuwD7DZhmEMmN2_MDqQ9kljGojkAbJFX4-V7zuEh-jlr8y_A/s1600-h/Fifties%25255B7%25255D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="Fifties" border="0" alt="Fifties" src="http://lh3.ggpht.com/-pPlYgfj_ClQ/T3NwcOTbiEI/AAAAAAAABwk/Ig_ZDR9W8Yk/Fifties_thumb%25255B5%25255D.jpg?imgmax=800" width="594" height="213" /></a> </p> <p>Il Vento spazzava la laguna. Forte nei suoi celati intenti, smuoveva le dapprima placide acque con fare nervoso, e le intingeva di foglie ingrigite sottratte ai giardini che a tratti circondavano i canali. Un ponticello quasi sospeso, più che altro una zattera gettata a collegare due ostili rive incipriate di mattoni rossastri ricoperti di musco scrostato, si scuoteva un po’, altalenante, e pareva quasi riarso, nonostante minute onde vi si accavallassero contro e inumidissero le assi legnose, disperdendo nelle fessure più prossime i flutti, i quali, precipitando, si ricongiungevano quindi al loro oblio di agitato spettacolo burlesco. Appariva tetro e fermo come cemento crudo battuto da pioggia iraconda, mentre l’acqua alta invadeva l’acciottolato fino a sfiorare la passerella, fino a farla sembrare un’ombra riflessa dei ponti in pietra che tappezzavano i navigli.</p> <p>Nell’aria, il roboante suono consunto di raffiche, brevi uragani,folate violente, intralciava ogni altro rumore, che sfogava il suo desiderio d’esistere relegandosi negli angoli più prossimi alla sua fonte. L’ombrello che si schiantava contro una inferriata dalle punte acuminate, perimetro di un condominio antiquato, veniva udito dalle lattine incastrate nella loro corsa alla base della stessa ringhiera, così che solo pattumiera e creature complici delle percosse potevano prendere parte a quei gemiti infausti. Allo stesso tempo, il resto era eco per maghi dalle doti acute, o per assassini dall’orecchio affinato. Il resto – tutto – era Vento.</p> <p>Il ponticello, perciò, riservava gli schioppi del suo legno alle gocce d’acqua che lo attorniavano, e a un paio di lacci da scarpe che vi si trascinavano sopra a un andante precario. Appartenevano a una figura scura che risaltava nella scala di grigi, ben stretta nel suo cappotto lungo e imbrattato. Talvolta si vedeva costretta ad accucciarsi come un cane pestato, le ginocchia portate al mento, una mano a stringere gli abiti sul petto e l’altra calcata in testa a trattenere un cappello a bombetta. Al braccio, due manici di una capiente borsa in pelle sbatacchiavano con energia, ma resistevano, attaccati con ardore, ad accompagnare la padrona. Ella infatti si rialzava con rinnovato vigore, placato il soffio d’aria più vigoroso, e riprendeva il cammino.</p> <p><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://fc07.deviantart.net/fs25/i/2008/072/9/d/Mysterious_Venice_by_dorranrj.jpg" width="410" height="308" />Il portamento austero e vagamente fiero, più un tocco gentile nell’abbigliamento elegante, lasciavano intravedere che la strana persona, vagante terribilmente sola nella tempesta cittadina, fosse in realtà una donna di mondo. Seguendola nel suo percorso, la si vedrà raggiungere una casupola anonima dalle serrande sprangate, attraverso cui era però possibile scorgere stralci di luce dorata. I caldi bagliori trasparivano da vetri gocciolanti e opachi. La fanciulla batté fermamente la mano inguantata sull’uscio, benché tale gesto, il modo in cui s’abbandonò col fianco alla rientranza nel muro, sfioravano una incerta stanchezza dell’anima. Subito un’ombra si spostò dalle varie finestre per dirigersi ad aprirle l’ingresso.</p> <p>«Oh, finalmente!» sospirò ella, poggiando capello, paltò e guanti nelle braccia tese del ragazzo che l’aveva accolta. Un camino acceso e numerose candele disperse su mobili impolverati, cassapanche e mensole dagli intarsi pittoreschi, confermarono l’incantevole atmosfera intuibile dall’esterno.</p> <p>Tolti gli intralci per fronteggiare il fretto che imperversava, la donna si mostrò in tutta la sua altera bellezza: una chioma di capelli secchi e verde bottiglia era finemente tagliata un poco sopra le spalle, così da contornare un volto affilato ma fiabesco, caratterizzato da labbra rosate e gote soffici, imbiancate con soavità; occhi fulgidi si guardavano intorno. Del colore dell’erba appena falciata, erano oscurati dall’ombra di ciglia lunghe e nere, con sopra delle sopracciglia sottili leggermente aggrottate. Un semplice vestito verde scuro copriva le forme snelle e sinuose.</p> <p>«Come procede?» prese la parola il giovane.</p> <p>Ella rispose con fare sfinito, facendosi cadere mollemente sul divano antistante il fuoco. «Niente, nulla! È un fallimento ancora incompleto».</p> <p>«Quanto manca… alla fine?» insistette lui.</p> <p>«Credi che il giorno abbia una fine così prevedibile? Come se noi sapessimo i particolari della conclusione della nostra vita di sotterfugi! Così da poter rievocare anche il titolo dell’ultimo capitolo, sapendo già che esso rappresenta il triste epilogo». Era restia a parlarne, quasi l’argomento fosse l’idea di un passato inviolabile, l’idea crepata di un ricordo sgradito. <img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc02.deviantart.net/fs70/i/2010/224/3/f/Night_Falls_Over_Venice_by_sogno_italia.jpg" width="430" height="287" /></p> <p>«E il resto?» proseguì il ragazzo. Il gesticolare della compagna, segno d’insofferenza, non lo intimorì, bensì decise di non curarsene. Si mise a versare del tè da una brocca fumante. Il liquido brillò ambrato nelle piccole tazze di vetro trasparente, un stillicidio rassicurante se confrontato con la pioggia scagliata contro le persiane, i rivoli che investivano i marciapiedi, l’acqua agitata dei canali.</p> <p>«Il resto è pensiero, il resto è là fuori, perso nel Vento». </p> <p>Quando la bevanda fu pronta, lei la sorseggiò cautamente, inebriandosi del suo profumo. Il silenzio ormai era sceso, una coltre di velluto impalpabile e gelida. Sembrò che un particolare della stanza volesse occuparsi di riempire l’attenzione dei due, con l’atteggiamento prepotente e scostante tipico degli oggetti inanimati che amavano fingersi armati di cuori. Una scrivania colma di fogli, delle penne, una macchina da scrivere, libri ammucchiati, colpevoli di pomeriggi trascorsi nella loro futile compagnia, pretendevano che sia il giovane sia la donna soffermassero lo sguardo su quell’angolo rivestito di parole non dette.</p> <p>«E così» sospirò lei – una fata, ecco cos’era, una fata della notte, attenta, dispettosa, noiosa nella sua stravaganza - e rimise la tazza di maiolica blu sul tavolino rotondo. «E così», il fremito delle ciglia produsse un tremolio nell’ombra che calava sulle sue pallide guance, «anche questo manoscritto non vedrà luce».</p> <p>Così come in quel crepuscolo il Vento, crudele, impediva al sole di dire addio alla sua Venezia sommersa dall’acqua. </p> Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-16190353102651955962011-09-13T19:46:00.001+02:002011-09-13T19:46:18.915+02:00From Dreamland – A stranger hither<p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Questo è un addio, o un arrivederci, o qualsiasi cosa voi vogliate definirlo.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Inutile prendersi in giro.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Dubito che tornerò a postare qualcosa, a raccontarvi qualcosa. A scrivere, in breve, in questo luogo. Che, nonostante tutto, nella sua breve vita, ha saputo darmi molto, ha saputo creare materialmente i sogni che provenivano dal mio inconscio di fantasie e immaginazioni.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Non so se tornerò a scrivere.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Non so cosa farò della mia esistenza.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Ma mi rendo conto che questa è in continua mutazione, sceglie da sé il suo futuro, frattanto che io impari a farlo coscientemente.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Intanto mi pareva giusto lasciare un piccolo appunto: non sperate che torni a fare nuovi post. E se ciò accadrà, avverrà fra molto tempo. Magari cambierò anche grafica, sfoltirò di nuovo i vecchi post per lasciare giusto quelli a cui sono più affezionata, cancellerò commenti di cui non sento il bisogno. Cambierò questo luogo, questa “dimora di sogni incompiuti”, arredandola di nuovi sogni in attesa di concludersi.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Perché questi di cui avete letto e di cui ho raccontato, pare che, in un modo o nell’altro, abbiano ora trovato la loro fine.</font></p> <p><font color="#c4e1ff" size="4" face="Bell MT">Ora sono una straniera che vaga alla ricerca della sua terra. Una straniera… rinchiusa fra mura di marmo che riflettono le mie paure e i miei sorrisi insinceri.</font></p> <div style="padding-bottom: 0px; margin: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; display: inline; float: none; padding-top: 0px" id="scid:5737277B-5D6D-4f48-ABFC-DD9C333F4C5D:d653b33f-dad2-4cac-adcb-9ec26e0f2f9e" class="wlWriterEditableSmartContent"><div id="123b13d9-97cd-49d2-8c7f-8e0bf7b7d340" style="margin: 0px; padding: 0px; display: inline;"><div><a href="http://www.youtube.com/watch?v=AdYwmqsa09I" target="_new"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh2Ey1sQMtqwWnAcjMzP5pG8_0q_CwhUD5PU5QU0p_XXpEG8BTcAZXGEdGgShca3oS0akYd_AYMbdt03Emo8yDmxUat9GNrd_RcY6K6M6R-W1FAPhsEUtluVZ3jS1mHz-w2bWiirgJeMAcV/?imgmax=800" style="border-style: none" galleryimg="no" onload="var downlevelDiv = document.getElementById('123b13d9-97cd-49d2-8c7f-8e0bf7b7d340'); downlevelDiv.innerHTML = "<div><object width=\"425\" height=\"355\"><param name=\"movie\" value=\"http://www.youtube.com/v/AdYwmqsa09I&hl=en\"><\/param><embed src=\"http://www.youtube.com/v/AdYwmqsa09I&hl=en\" type=\"application/x-shockwave-flash\" width=\"425\" height=\"355\"><\/embed><\/object><\/div>";" alt=""></a></div></div></div> Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-52412237903122807612011-06-22T17:52:00.001+02:002011-06-22T17:53:34.442+02:00Mother EarthOgni tanto ripasso di qui. Giusto per salutarvi…<br />
Il mio periodo senza scrittura continua, muto, immutabile. Per sempre rinchiuso nella sua gabbia di noia e malinconia.<br />
Forse ritornerò, come le stelle nel cielo, alla fine del giorno.<br />
Spesso mi sorprendo a pensare che vorrei imparare a guardare il mondo attraverso un sestante, come nella "Ragazza che rubava le stelle". Per sempre sospesa sul mare.<br />
<br />
P.S.: video da guardare in HD e a schermo intero, altrimenti perde tutta la sua bellezza.<br />
<iframe frameborder="0" height="225" src="http://player.vimeo.com/video/22439234" width="400"></iframe>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-69777123786635747772011-05-15T00:10:00.001+02:002011-05-15T00:16:43.419+02:00Midnight Lullaby<blockquote> <p><i><i><i><i><i><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc04.deviantart.net/fs70/f/2010/321/4/7/47801e20289e1bf10a135f559b145b4d-d3323u5.jpg" width="244" height="239" /></i></i></i></i>Black star, black star</i></p> <p><i>Forever you will be</i></p> </blockquote> <p> </p> <p> </p> <p>Stare qui, sul ciglio della notte, non si è mai rivelato così semplice. Certo, potrei affacciarmi un po’ di più dal balcone, afferrare un pezzo di buio per farmi compagnia, fare un respiro e poi esplodere. Cose così. Solo per assaporare quanto è divertente giocare con le parole.</p> <p> </p> <p> </p> <p>Potrei cercare spiragli di freddo, perché ho addosso quella temperatura che non è né troppo gelida né troppo calda, che ti fa stare bene ma che mi fa stare male.</p> <p>Potrei appostarmi là dove il sole incontra la luna e fare foto da dietro una nebulosa, per poi pubblicarle sull’oroscopo che mi offre più neutrini per del gossip superstellare. </p> <blockquote> <p><i><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://fc09.deviantart.net/fs43/f/2009/080/2/d/lullaby_by_ajss.jpg" width="324" height="219" /> A shining star, shining star</i></p> <p><i>Be whatever you can be</i></p> </blockquote> <p> </p> <p> </p> <p>Ma in fondo sono una stella, appena più scura delle altre, abbracciata al mio immenso cielo.</p> <p> </p> <p> </p> <p>Sapete, un cielo non rimane un posto dove le stelle decidono di attaccarsi come punaises piangenti. È anche quel pezzo di stoffa con cui possono asciugare le loro lacrime, e se non ci fosse quel blu d’infinito a ispirare loro i sogni più belli nel cuore della sera, non brillerebbero d’oro prezioso… ma sarebbero soltanto meteore incastrate fra i loro desideri sublimi. </p> <blockquote> <p><i><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc03.deviantart.net/fs70/i/2010/157/f/c/Little_Star_by_KatiBear.jpg" width="329" height="242" /> A rockstar, a rockstar</i></p> <p><i>You will always be…</i></p> </blockquote> <p> </p> <p> </p> <p>E a volte una stella si sente troppo sola per sapere cosa deve o può fare, se non c’è il suo cielo a trascinarla verso costellazioni più sicure.</p> <p> </p> <p></p> <p></p> <p></p> <p></p> <p></p> <p></p> <p></p> <div style="padding-bottom: 0px; margin: 0px auto; padding-left: 0px; width: 270px; padding-right: 0px; display: block; float: none; padding-top: 0px" id="scid:5737277B-5D6D-4f48-ABFC-DD9C333F4C5D:16c832ba-2550-41c9-80e3-4e7d8f1ab9a6" class="wlWriterEditableSmartContent"><div id="9cc77995-7655-4915-a481-8fbbdd4076b2" style="margin: 0px; padding: 0px; display: inline;"><div><a href="http://www.youtube.com/watch?v=xg03IV-S9io" target="_new"><img src="http://lh5.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/Tc7-VuAkLkI/AAAAAAAABiQ/BFxPj8yXtAw/video80aa41c4a8f4%5B12%5D.jpg?imgmax=800" style="border-style: none" galleryimg="no" onload="var downlevelDiv = document.getElementById('9cc77995-7655-4915-a481-8fbbdd4076b2'); downlevelDiv.innerHTML = "<div><object width=\"270\" height=\"225\"><param name=\"movie\" value=\"http://www.youtube.com/v/xg03IV-S9io&hl=en\"><\/param><embed src=\"http://www.youtube.com/v/xg03IV-S9io&hl=en\" type=\"application/x-shockwave-flash\" width=\"270\" height=\"225\"><\/embed><\/object><\/div>";" alt=""></a></div></div></div> Unknownnoreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-78956579321209759172011-03-27T12:29:00.001+02:002011-03-27T12:29:26.973+02:00Desiderium<p><font color="#c4c4ff" size="4" face="Bell MT">Finora non ho mai avuto la voglia, né il coraggio, di postarla. Ma Marzo sta sfumando via, e non ho portato nulla di nuovo in questo posto di desolazione. Sì, non riesco – non so – più scrivere.</font></p> <p><font color="#c4c4ff" size="4" face="Bell MT">E forse pensando che ciò possa essere un triste addio, almeno vi lascio con dolcezza, con il tinteggio leggero del rimembrare il passato. Non temete, la speranza di un ritorno è sempre dietro l’angolo, no? Però c’è chi talvolta decide di proseguire dritto.</font></p> <p><font color="#c4c4ff" size="4" face="Bell MT">Quest’intrico di eventi mi sta distruggendo. Una catena che perde i suoi anelli, uno alla volta, pian piano, tanto che finisce col non fare rumore. Ma poi qualcuno li calpesta, per sbaglio, per la furia di poter lacerare i ricordi, e la pioggia di suoni è un tintinnare sempre più simile agli urli di un incubo d’inchiostro.</font></p> <p><font color="#c4c4ff" size="4" face="Bell MT">La poesia risale a Dicembre. Non chiedete spiegazioni.</font></p> <p><font color="#c4c4ff" size="4" face="Bell MT">Stavolta non vi risponderò.</font></p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEio7SuAjONP3YR18E6EbZP009JhbH_fkHAux7EGz99YRyEW8G6LyyLsIMjH0rNujts2Un9ppsgYtmd4wg4lTAXJwSEHhkvbnHHnDUvJwVBMEPv_Oo4WwdHHAoHVbVmdroWhs1-inQklGVOz/s1600-h/Royal%5B5%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="Royal" border="0" alt="Royal" src="http://lh3.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/TY8RhdHOl-I/AAAAAAAABhM/iWnVQ9vqV7s/Royal_thumb%5B3%5D.jpg?imgmax=800" width="114" height="60" /></a> </p> <p>Mi hanno dato un tempo vastissimo per amarti,</p> <p>ma non un istante - ancor meno del desiderio che ho</p> <p>per guardare qualcosa che vada oltre al gelo</p> <p>dal niveo e spaurito sapore d’acquavite cosparso,</p> <p>oltre alla coltre leggera che come notte stanata</p> <p>ricopre le tue fredde membra d’inverno.</p> <p> </p> <p>Una mano che carezza il ventre contratto,</p> <p>il dolore, l’affanno… calore disperso:</p> <p>solo delicata nostalgia mi lega ai tuoi boccoli</p> <p>recisi crudelmente come boccioli di rosa.</p> <p>Appassita, la tua bocca ricucita sottile,</p> <p>frantumato il ricordo di un settembre felice.</p> <p> </p> <p>E il rimpianto si fa meno forte, più forte</p> <p>Delle lacrime che non riesco ad udire,</p> <p>o sopportare il nostro sentiero interrotto</p> <p>che hai lasciato indietro con me, una gelida sera.</p> <p>Qualcun altro è nato per te. Il bisogno</p> <p>s’è infranto al suono di una corda spezzata.</p> <p> </p> <p>Desiderium, persona amata, perdersi è</p> <p>Cosa nota, ignoto è il modo in cui</p> <p>La tua gamba, le dita sfuggenti e palmate,</p> <p>S’è legata come morte</p> <p>Al mio cuore distrutto.</p> Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-77901564306848595452011-03-10T13:57:00.001+01:002011-03-10T13:57:20.917+01:00Ho comprato un guanto usato.<p>Di tela sporca, per costruire la mia Amanda.</p> <div style="padding-bottom: 0px; margin: 0px auto; padding-left: 0px; width: 425px; padding-right: 0px; display: block; float: none; padding-top: 0px" id="scid:5737277B-5D6D-4f48-ABFC-DD9C333F4C5D:1b9b751e-6306-4572-850e-85f1967cbf76" class="wlWriterEditableSmartContent"><div id="b7327c12-aa11-404d-9f0a-4af240fffe7c" style="margin: 0px; padding: 0px; display: inline;"><div><a href="http://www.youtube.com/watch?v=y6NGk0y2u5w" target="_new"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKioIkRuLPzPQtgda3c7lRGL1wHgnS1rlIEt4RY1mPzaZZ07A75dK4xBchwx9cymh9QTCRKp7x-tfsB-YYdXZHqbulVcpwBJE4b6CA9uicUM0PpfN6e0Ext0cL9Sk8k0hFq9Ew8ApfkX-g/?imgmax=800" style="border-style: none" galleryimg="no" onload="var downlevelDiv = document.getElementById('b7327c12-aa11-404d-9f0a-4af240fffe7c'); downlevelDiv.innerHTML = "<div><object width=\"425\" height=\"355\"><param name=\"movie\" value=\"http://www.youtube.com/v/y6NGk0y2u5w&hl=en\"><\/param><embed src=\"http://www.youtube.com/v/y6NGk0y2u5w&hl=en\" type=\"application/x-shockwave-flash\" width=\"425\" height=\"355\"><\/embed><\/object><\/div>";" alt=""></a></div></div></div> <p>Faccio un po’ di calcoli mentre a scuola si parla di Diogene, dell’inventore della scacchiera e di qualche sciocchezza imbevuta nella polvere della solitudine.</p> <p>Parola preferita: dormire.</p> <p>Affogherei tutto in un sonno lungo ore, magari senza qualcuno che mi tiri via le coperte dal corpo. Una cattiva addormentata in un bosco, e non ci saranno baci a risvegliarla – solo il cullare dell’eterno.</p> <p>Parola più odiata: entusiasmante e derivati.</p> <p>C’è sempre, dietro l’angolo, la trovi dappertutto, nei contesti più inadatti. Entusiasta! Sii entusiasta! Saltella, gira e volta. Carnevale è finito. Butta le tue ultime stelle filanti nel canale di scolo. E ora taci.</p> <p>Freddo antico, brividi sulla pelle; freddo nuovo, ghiaccio dentro.</p> <p>Comunque sia, c’è sempre gelo.</p> <p>Ma… Inverno caldo,</p> <p>Inverno tiepido,</p> <p>Inverno muore.</p> <p>E io sono triste. Senza possibilità di riscatto.</p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc09.deviantart.net/fs35/i/2008/294/c/2/Ribbon_by_ZirconiumZephyr.jpg" width="300" height="201" /></p> Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-13138097318647079762011-02-23T22:24:00.001+01:002011-02-23T22:24:53.694+01:00Briciole di Felicità<p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Anche questo racconto ha partecipato a un <a href="http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9574460">Contest</a> particolare. Devo dire che scrivere con idee precise – dettate da altri per certi versi – è più gratificante, e inoltre ti permette di avere giudizi, cosa che postando qui sul blog non è sempre accertata.</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Song-fic anche questa. Sì, mi prendono, sì, ho detto più volte di amarle. Avrete ormai capito che da parecchio tempo a questa parte non faccio che scrivere racconti di questo tipo.</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Le canzoni da cui ho preso spunto (e che trovate come al solito a fine post) sono:</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">- "Yksinäisen Keijun Tarina" di Chisu</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">- Śniadanie do łóżka" di Andrzej Piaseczny</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Con questo racconto mi sono classificata Seconda (avete visto? Miglioro ^^), assieme al Premio come Miglior Storia.</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">E sono ancor più felice di dire che invece il Premio Stile è toccato a <a href="http://eonisilenti.blogspot.com/">Vinci</a>, che si è inoltre classificato primo :)</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Buona lettura!</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc02.deviantart.net/fs42/i/2009/077/4/f/Breakfast_in_Bed_by_thechimera.jpg" width="436" height="263" /> </p> <p>La mia fata si è ammalata.</p> <p>Ogni mattina strofina le ali con della polvere magica, per poter volare. Perché da sola non ce la fa più. È tutta contenuta in una borsetta di tela che porta legata in vita, la sua polvere, da custodire gelosamente, da usare con parsimonia. Un mucchietto al giorno, per sopravvivere.</p> <p>Arriva sera ed è stanca, e le sue ali di trasparenti petali di giglio giacciono abbandonate sulle spalle: una sacca di dolore che si trascina dietro. Le occhiaie distruggono la bellezza dei suoi occhi d’ametista, che nemmeno un raggio del sole al tramonto riesce ad accendere di nuova luce.</p> <p>La mia fata si è ammalata: non vuole più sognare. E io, che la amo più della mia vita, le donerei ogni mio sogno pur di far tornare le sue ali a splendere.</p> <p>Spesso me l’ha detto, me l’ha sussurrato nell’orecchio, al suo caro fauno impertinente: «Perché suoni sempre di feste e cose belle? I tuoi occhi sono ciechi, forse, che non vedi quante creature muoiono qua intorno?»<img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://fc02.deviantart.net/fs46/f/2009/180/b/7/b78bbaa232f54158607083c3cf8cb812.jpg" width="327" height="327" /></p> <p>Suono perché non so ballare con la Morte, e allora chiamo le altre sue signore, le dame che spesso s’inchinano al suo cospetto, affinché facciano compagnia ai miei saltelli allegri. Credo che le mie canzoni spargano speranza, e loro danzano, danzano intorno, il cerchio magico di Faerie, e la speranza la creano davvero: sono le risa dei bambini che, dal mondo reale, si affacciano sul nostro universo.</p> <p>Ma ora non suono più neanche io, e Gioia si è offesa con me, e Gaia non mi vuol parlare. Misericordia tace e il suo sguardo mi perfora le spalle, Lussuria si consola con un troll che vive oltre le montagne. Ho perso tutte le mie muse.</p> <p> Poco male, ho la mia fata da salvare. Devo portarla via dai suoi ricordi, prima che qualcos’altro l’allontani da me.</p> <p>Però me ne sono accorto troppo tardi. Lei piangeva sola, nascosta fra i petali del suo crisantemo, e io intanto le chiedevo baci, le chiedevo la sua bellezza, e non mi accorgevo che stava morendo dentro. Che sciocco, povero sciocco fauno!</p> <p>Ma come può un fauno credere che una donna alata possa stare così giù? Ha un cielo immenso su cui perdersi, una piuma smarrita nel vento. Una piuma che ora sta cadendo. La raccoglierò prima che rischi di toccare il suolo, fosse anche l’ultima cosa che faccio. Spero solo che non sia davvero troppo tardi…</p> <p>Ma, in fondo, chi avrebbe mai creduto che le fate tristi esistono?</p> <p><a title="http://fc04.deviantart.net/images2/i/2003/52/b/6/Black_ink__black_wings.jpg" href="http://fc04.deviantart.net/images2/i/2003/52/b/6/Black_ink__black_wings.jpg"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc04.deviantart.net/images2/i/2003/52/b/6/Black_ink__black_wings.jpg" width="407" height="521" /> </a></p> <p>Si respira aria autunnale. Attorno al palazzo diroccato, un castello ucciso dal soffio infuocato di un drago, qualche erbaccia lascia spazio a primule gialline che sono le fiammelle sparse dal suo fiato rovente. Le aiuole sono chiazze verdi su cui è stato spruzzato un po’ di colore, senza riflettere, senza idea di cosa s’andava creando. La natura ha modellato un quadro grottesco, dimentica dell’ordine. Un fungo! Che ci fa un fungo sotto quel cespuglio?</p> <p>La finestra della camera da letto è accostata, solo la zanzariera chiusa, ma è di quelle che si possono aprire dall’esterno. Solo una sottile tenda attutisce i rumori delle auto che, dalla strada, già cominciano a vorticare per le vie della città in un marasma confuso, ma basta a plasmare quella barriera indelebile fra incanto e realtà. Il ragazzo benedice che lei abiti al piano terra. Entra come un angelo, di soppiatto, accompagnando con una mano la reticella che si alza. Tutto senza svegliarla: è importante lasciarla ancora un po’ nell’inquietudine del sonno, nella convinzione della solitudine. Un salto e scavalca il ripiano, i suoi piedi toccano il pavimento di ceramica con la leggerezza del passo di un fauno. Un ticchettio per gli zoccoli che si poggiano, ma niente più.</p> <p>Lei, fra le coperte, è bellissima come la visione dello sbocciar di un fiore, che allunga piano i suoi petali, saggia l’aria – no, fra troppo freddo, aspettiamo racchiusi altri pochi minuti! – mezza aperta al mondo e mezza accoccolata fra l’abbraccio delle coperte. I capelli castani si sparpagliano in boccoli sui cuscini bianchi, onde spumose di un mare al crepuscolo. Le lenzuola si avvolgono sul suo corpo come foglie a rivestire una fata, e quasi si possono scorgere le ali, un brevissimo brillare che spunta dalle spalle nude e vibra nel vuoto. Oh, no, non sono in alto, le ali, non sono spiegate: sono schiacciate alla schiena, spiegazzate, sgualcite. Pesanti e bagnate.</p> <p><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc02.deviantart.net/fs32/f/2008/202/1/4/14979acc9cb9dde7b9095add38d6e11e.jpg" width="292" height="448" /> La cucina è in fondo al corridoio. Si può abbandonare una donna così bella, al suo sonno così magico? Sì, il ragazzo può, deve, ha una cosa da fare. Urgente. Perciò si allontana, a passo quieto, voltandosi a cercare nel riflesso di uno specchio l’ultima immagine dei suoi occhi chiusi.</p> <p>Arrivato in cucina, svuota sul tavolo il contenuto del suo zaino. Pane fresco, che profuma ancora del legno di betulla vicino a cui si è cotto, e che stranamente è tiepido come se un elfo l’avesse custodito in grembo appositamente per lui, avvolgendolo fra le spire del suo mantello. C’è anche un barattolino di miele, e s’immagina lei che vi immerge il dito – un’ape che si è poggiata sulla corolla del suo fiore. Poi un po’ di latte, qualche arancia ancora da spremere. Un libro di poesie. Prepara tutto su un vassoio, in fretta, per la sua piccola fata. Con amore.</p> <p>Appena ha finito, torna nella camera da letto. Un anello con un piccolo diamante tintinna solo sull’acciaio del piatto, attende. Il ragazzo poggia il portavivande sul comodino, accanto a un flacone mezzo vuoto di pillole anti-depressive, e le si avvicina. Con un bacio sulle labbra di rosa, la sveglia teneramente dal suo torpore senza sogni.</p> <p>«Una nuova vita, una nuova vita per colazione» le promette.</p> <p>Lei si lascia sfuggire un sorriso, ma subito un triste pensiero lo sopprime.</p> <p>Il fauno deve consolare la sua fata. Deve, o il vento la porterà via… e non le è rimasta molta polvere magica per resistervi. «Su, mangia qualcosa» la invita.</p> <p>«Non ho fame» sussurra lei, e si stringe ancora di più nel suo involto di coperte. Sembra avere freddo, ma dalla finestra socchiusa qualche raggio di sole si arrotola alle tende pulite, s’infiltra timido a illuminare la stanza.</p> <p>«Li vedi, quei raggi? Alla fine… alla fine riusciranno a riscaldarci. Devi permettere loro di accarezzarti, però.» Il ragazzo afferra un lembo della stoffa e tira lentamente. Questo cede, e scopre la pelle liscia di lei e la sua camicia da notte azzurrina.</p> <p>La fata è insicura, protesta: «Non ce la faccio.»</p> <p>«La stabilità nel volo… possiamo riottenerla insieme.» Lui prende l’anello, e cerca da sotto le coltri la mano sottile della donna, facendosi strada attraverso quel corpo trascurato e ancora stupendo. La fede s’infila all’anulare, si stringe in una morsa che è una preghiera, una richiesta disperata di fiducia. «Ci proverai?»</p> <p>L’esitazione dura quanto la presa di un respiro. «Sì.»</p> <p>L’ha detto. Un altro bacio del fauno, e una rassicurazione: «No, non ti preoccupare per le briciole di felicità, fatina. Le nasconderemo nelle fodere dei cuscini, assieme alle vecchie piume della tua vita passata.»</p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc03.deviantart.net/fs26/f/2008/145/a/6/a6acd08a2cca0411f6de5415dfe09f86.jpg" width="431" height="314" /> </p> <div style="padding-bottom: 0px; margin: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; display: inline; float: none; padding-top: 0px" id="scid:5737277B-5D6D-4f48-ABFC-DD9C333F4C5D:447aae2f-87f8-45e3-a88e-fe5f2da2cc6a" class="wlWriterEditableSmartContent"><div id="35c757fb-995c-4565-99e1-a3cb6b7c2bce" style="margin: 0px; padding: 0px; display: inline;"><div><a href="http://www.youtube.com/watch?v=gVppceNO7uE" target="_new"><img src="http://lh6.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/TWV7IBrAtTI/AAAAAAAABTs/pk7KSapiDJc/video5833d67473cb%5B3%5D.jpg?imgmax=800" style="border-style: none" galleryimg="no" onload="var downlevelDiv = document.getElementById('35c757fb-995c-4565-99e1-a3cb6b7c2bce'); downlevelDiv.innerHTML = "<div><object width=\"425\" height=\"355\"><param name=\"movie\" value=\"http://www.youtube.com/v/gVppceNO7uE&hl=en\"><\/param><embed src=\"http://www.youtube.com/v/gVppceNO7uE&hl=en\" type=\"application/x-shockwave-flash\" width=\"425\" height=\"355\"><\/embed><\/object><\/div>";" alt=""></a></div></div></div> <div style="padding-bottom: 0px; margin: 0px; padding-left: 0px; padding-right: 0px; display: inline; float: none; padding-top: 0px" id="scid:5737277B-5D6D-4f48-ABFC-DD9C333F4C5D:773a5b9b-c7e8-42ca-8fdc-3a92872eb401" class="wlWriterEditableSmartContent"><div id="86b6e4bc-fc39-44a8-8fe6-ca9f3b54c36a" style="margin: 0px; padding: 0px; display: inline;"><div><a href="http://www.youtube.com/watch?v=rNFXyRQtLnE" target="_new"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi3uKS7B11-lFrexrTO9HNnMF3oCNsXAFOIsOwI6gc03q5OYgMoX-E4_l98y9jFy27nCMMbwZbN5Z3OO1jtjMZxGYMrACSap71D9ZFwZhl0xqB-bdhnu4rSyUS8RKA6mj7tD5xoVyPHM5mG/?imgmax=800" style="border-style: none" galleryimg="no" onload="var downlevelDiv = document.getElementById('86b6e4bc-fc39-44a8-8fe6-ca9f3b54c36a'); downlevelDiv.innerHTML = "<div><object width=\"425\" height=\"355\"><param name=\"movie\" value=\"http://www.youtube.com/v/rNFXyRQtLnE&hl=en\"><\/param><embed src=\"http://www.youtube.com/v/rNFXyRQtLnE&hl=en\" type=\"application/x-shockwave-flash\" width=\"425\" height=\"355\"><\/embed><\/object><\/div>";" alt=""></a></div></div></div> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-59056357250119609982011-02-17T22:39:00.001+01:002011-02-17T22:41:01.804+01:00Riot!<p><font color="#ff0000" size="4" face="Bell MT">Alcune sere fa, un po’ di delirio, qualche nota di noia nell’aria. Il desiderio di rivolta, soppressa alla foce dell’immaginazione, e qualche metafora esorcizzata dalla sua croce. Un incubo punk, uno scambio di battute quasi nonsense, quasi poesia.</font></p> <p><font color="#ff0000" size="4" face="Bell MT"><a href="http://eonisilenti.blogspot.com/">Vincenzo</a> poi le ha ritinte, allungate, modificate un po’, per creare qualcosa di omogeneo, qualcosa da poter proporre anche ad occhi estranei. In azzurro trovate i suoi pezzi, il resto è mio.</font></p> <p><font color="#ff0000" size="4" face="Bell MT">E così, quel che è nato in una sera di chat, diventa questo… diventa Riot.</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://www.emprocks.com/blog/wp-content/uploads/2010/10/31.jpg" width="395" height="122" /> </p> <p><font color="#8cc6ff">Voglio completare l'adolescenza assieme a te, buttandoci da un ponticello di Venezia, mano nella mano, e gridando qualcosa di rock con la voce che si è corrosa l'animo appresso. E ora raspa come una caverna.</font></p> <p>I canali veneziani sono inquinati.</p> <p><font color="#8cc6ff">Ma questo fa rock.</font></p> <p>Vorresti rimanere impigliato fra le fondamenta d'alghe di una piccola Atlantide senza speranza?</p> <p><font color="#8cc6ff">Sì, oppure no. Però… qualcosa di simile.</font></p> <p>Io andrei a Carnevale, vestita di nero, e romperei dieci maschere in piazza San Marco. Poi fuggirei e fra il tintinnare dei vetri soffiati di Murano salirei sulle ali di una gondola, in punta di piedi sulla parte più alta per sfiorare con il naso il fondo umido di pietre grigie di ogni singolo ponte. Una volta raggiunto il mare, solo allora mi butterei per sapere di sprofondare in un’immensità in cui non si può essere soli.</p> <p><font color="#8cc6ff">Ci sarò io con la maglietta blu scuro, maniche corte nel più gelido inverno, una faccina triste gialla stampata su e jeans troppo stinti, quasi bianchi, laceri e lerci come un fondale di fogna. Io che faccio le corna da dietro la schiena al gondoliere. E…! È forse, il forse, l’emblema, la sbronza di perdere per un attimo l'equilibrio, ma poi tutto si rovescia, è apposto… È per provare l'ebbrezza di cadere veramente, col cuore, con la mente, per sfregiare l'essenza incrostata di silenzio pesante. Come se ciò che cadesse fossi tu soltanto. E per sempre. Come calcinacci da un muro sradicato dall'anima. Fine.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">«Mi dici fine?»</font></p> <p><font color="#8cc6ff">«Forse.»</font></p> <p><font color="#8cc6ff">«Cosa forse?»</font></p> <p><font color="#8cc6ff">«Alle stelle servirebbero dei preservativi per danzare più sicuri, come nastri per reggersi ancora in cielo e non impattare con tavolati dei sogni.»</font></p> <p><font color="#8cc6ff">«Ma tanto c’è… la carta di imballaggio che li protegge.»</font></p> <p><font color="#8cc6ff">Vi passerei la mano sopra, le palline, sfiorandole con la tristezza, sfiorandole con l’ago delle spille da balia rimaste incagliate al vortice di amori diversi, tracciati sulle mani dagli occhi orbi di una zingara. E se scoppiamo è perché abbiamo amato troppo. Amiamo lei, che persa, spremuta su una grattugia, è l’amicizia. Idolo di sangue. Scorze di mele, acido di limoni e sentiero di arancia marcia.</font> </p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs28/f/2008/148/d/3/Riot___by_17Melody.jpg" /> </p> <blockquote> <p><font color="#0000a0">Io andrei a piedi sin da lei, strappando lavande al mio passaggio, infuocando il grano con la benzina</font></p> <p><font color="#0000a0">E la schiena rotta dalla pioggia, e la bocca impastata di capelli d’altre, altri</font></p> <p><font color="#0000a0">E il silenzio che preme sulla lingua come cenere.</font></p> </blockquote> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs28/f/2008/148/d/3/Riot___by_17Melody.jpg" /> </p> <p><i>Ho preso un tram e guardavo le stelle fuori per sputar loro in faccia neve e sangue, e le converse coi buchi affondavano la loro marcia sul cuore. </i></p> <p><font color="#8cc6ff">Dille che… il suo cuore è un palloncino adagiato su una lettiera d’aghi, e miele sopra ch’attira le ali, e lavande sterminate. E che per lei una cinta di silenzi e ghiaccio le crepa il volto in rughe di specchio. Passato e presente, valanghe di miseria e schiaffi; si può essere soli, assieme, insieme, un campo di concentramento per scabre crisalidi bastarde. </font></p> <p><font color="#8cc6ff">Dille che ho messo un orso dentro una voliera e falle vedere la tua mano intrisa di sangue, mentre percorri le mie guance con le ossa della barba.</font></p> <p>Sei un maledetto, se le dico questo, vorrà sapere il resto, e se le dico che in vero è per te pensa che noi ci amiamo e…</p> <p><font color="#8cc6ff">Fanculo, dille…</font></p> <p>…e questo è sbagliato. Dille, dille, dille cosa?</p> <p><font color="#8cc6ff">‘Fanculo.</font></p> <p>Mentirei due volte.</p> <p><font color="#8cc6ff">Mi sento bene, così pieno di droga, così pieno di cinismo, di vita.</font></p> <p>La vita... Io sento che la mia si sta diluendo come un colorante nell'acqua, e se seguo le tue parole si riempirà di veleno. Sei il mio veleno più dolce.</p> <p><font color="#8cc6ff">E tu fiele d’amaro sogno. Vomitata sul campo di un universo ingoiato a forza. E spari di dolore, polvere da sparo a crivellare fogli di storie novelle imbiancate.</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs28/f/2008/148/d/3/Riot___by_17Melody.jpg" /></p> <p><font color="#8cc6ff">Sono le ispirazioni, sono che voglio staccarmi dal mio essere, non voglio poesia, voglio più questo, più follia, più qualcosa che gratta e non smorta. Voglio me stesso, lo sfacciato me stesso.</font></p> <p>Dì che hai ricevuto un delirio e hai dato un mazzo di lavande secche, perché io le ho detto di aver ricevuto quelle. Se proprio vuoi uccidermi, fallo con classe.</p> <p><font color="#8cc6ff">Posso davvero? Mi permetti l'onore, come mi concedi la mano e invece ti sfilo l'anello…</font></p> <p>Sei crudele, non so cosa vado cercando permettendoti di fare certe cose. Anzi, forse lo so, e forse non mi sta più bene. Hai il mio cuore nelle tue mani, fanne quel che vuoi.</p> <p><font color="#8cc6ff">No. Non voglio dirle nulla, se non vuoi. Il problema è che sei troppo perversa per capire…</font></p> <p>Per non volerlo.</p> <p><font color="#8cc6ff">…cosa ti farebbe piacere, e per non volerlo.</font></p> <p>Dillo, in maniera bella, con classe. Dillo, a tratti.</p> <blockquote> <p>Dillo come se ti cadessero le parole dalla bocca, dalle dita, tasti consumati caduti nel tè bianco.</p> </blockquote> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs28/f/2008/148/d/3/Riot___by_17Melody.jpg" /></p> <p>Non credo che capirà tutto. Verrà a chiedermi spiegazioni, e io… io parlerò, se è questo che vuoi.</p> <p><font color="#8cc6ff">Per forza?</font></p> <blockquote> <p><i><font color="#0000a0">La forza è una stronza partorita da una bolla soffiata dal naso di un orco.</font></i></p> <p><i><font color="#0000a0">Mi sarei bruciato le punta delle dita per possederla.</font></i></p> <p><i><font color="#0000a0">Le costole a sassate e sfiorare stelle con le antenne per…</font></i></p> </blockquote> <p>No. Parlerò perché è meglio non mentire, né avere segreti.</p> <p><font color="#8cc6ff">E se non l'invio, parlerai?</font></p> <p>Se non l'invii, resterà tutto così, sospeso, e io non troverò il coraggio di abbattere questo muro.</p> <p><font color="#8cc6ff">E tu cosa vuoi? Una spinta…</font></p> <p>Voglio che mi getti giù dal burrone. Dimmi quando posso cominciare a volare.</p> <p><font color="#8cc6ff">Ora. Ti aspetto giù, per prenderti in braccio.</font></p> <p>Prima bugia svelata. Devo cadere ancora?</p> <p><font color="#8cc6ff">E allora cadiamo giù. Destinazione bollicine d’alcol, unico appiglio che vive sospeso su isolotti come capocchie di spilli infilati sul cranio di una rossa riversa in un lettino, il capo staccato dal collo.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">Ho scarabocchiato un bacio di luna sulla tua caviglia, mentre dormivi accanto a me in una cabina telefonica, che strillava asilo per gli immigrati del cielo.</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs28/f/2008/148/d/3/Riot___by_17Melody.jpg" /></p> <p>Prendimi! Ora, o muoio.</p> <p><font color="#8cc6ff">Presa. Oddio, le mani quasi cedono e i tasti si consumano appresso. Quindi?</font></p> <p>Ho bisogno di te. Cos'ho fatto?</p> <p><font color="#8cc6ff">Nulla. Solo onestà, solo sfrontatezza. Solo andare al confine, con un fascista che ti punta la canna <i>dentro la gola</i> e scoprire che è bello. Tutto. L’avventura. Ridere di Morte e le sue comari, che come vecchiette indecenti, fanno schedine sulla gente.</font></p> <p>E allora… perché? So perché, ma ora mi sento ancora più vuota, ho ingoiato coriandoli di fuoco.</p> <p><font color="#8cc6ff">Vuota è quando ti sei tolta tutto dentro, perché eri troppo pesante. E… oh dio, ho mozzicato le stecche del tuo stomaco. </font></p> <p><font color="#8cc6ff">Voglio aspirare la diossina che è salita, una ciminiera d’odio, dai bruciori infernali.</font></p> <p>E allora, se mi sono tolta tutto, c’è ancora qualcosa che resta. Voglio affondare, perché solo così, secondo il giudizio di Dio, nella mia ordalia risulterò innocente.</p> <p><font color="#8cc6ff">Davvero?</font></p> <p>Sì.</p> <p><font color="#8cc6ff">Ma è una cosa tanto brutta, quanto rubare una stella al cielo e scoprire che è reato, scritto a penna sull’ultima pagina di un libro di codice penale?</font></p> <p>No, è bellissima, se resta solo mia.</p> <p><font color="#8cc6ff">Cosa?</font></p> <p>Il peso che ho ancora dentro, quello che tace e che mi fa andare giù, una sirena dalla coda di piombo.</p> <p><font color="#8cc6ff">E allora fa sì che rimanga bellissima, e stavolta non sarai assolta… Ma solo per oggi, perché alla fine è solo un foglio che sta per essere bruciato. In fondo… in fondo, il colpevole sceglie la sua pena.</font></p> <p>Ma non la sua colpa.</p> <p><font color="#8cc6ff">Vuoi essere assolta o giudicata? Che devi fare, lo sai che il dito più lungo di un giudice è sempre l’indice? E quello di un nazipunk è il medio…</font></p> <p>Niente, devo restare così, sul fondale. Voglio che sia così, ancora per un po’.</p> <p><font color="#8cc6ff">Ed è bellissimo, perché adesso il linguaggio è un mucchio di bolle.</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs28/f/2008/148/d/3/Riot___by_17Melody.jpg" /></p> <p>Ho visto un treno correre. Alle ruote sono impigliate le ortiche. Ai finestrini rotti, le mani staccate dai corpi di zombie svuotati dal sangue e residui di plasma dentro le vene, tra le mani, fra una cucitura che squarcia le braccia, dentro agli occhi.</p> <p><font color="#8cc6ff">Un mucchio di deliri concatenati a un bisogno troppo forte di vodka alla menta e di Russia. Di casinò che in verità è un po' casino.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">E che sommariamente, uno scritto? Un delirio, un ciao e un abbraccio troppo forte da stampare addosso profumi che non staccheranno mai la presa dai colli.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">E che sia.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">Il più bel regalo, quello del per sempre.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">Promettimi che lo farai. Non per scherzo. Non stavolta. Non è una presa in giro. </font></p> <p><font color="#8cc6ff">Non è amore.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">È affetto. È dirsi, scrivimi per sempre prima che scappi sotto il viale.</font></p> <p><font color="#8cc6ff">Ho ricevuto quattro fogli di diario e un anima d'inchiostro allegata.</font></p> <blockquote> <p><font color="#0000a0">«Hanno ucciso il gatto della bambina dei viali. Infilzato sull’antenna del paradiso.»</font></p> </blockquote> <p>Ma lei non è mai scappata.</p> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-50102908108181189822011-02-14T16:06:00.001+01:002011-02-14T16:06:16.160+01:00Iris<p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj49n0CtDzkrrnApSMSRcy9DjO99Ml9qA8zE-iepG_fusLL_4oIwOTcvLH60b7WGB3PTS8RW3t-qgPozWeKQt45PICYjrCy_ZjFb0YsP2WqXybNmkCKFoYOF5eCCKiPencu2ylHmkOz8vWp/s1600-h/Lettera%201%5B8%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="Lettera 1" border="0" alt="Lettera 1" src="http://lh3.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/TVlE0U1MXNI/AAAAAAAABKE/czMrKglErA4/Lettera%201_thumb%5B6%5D.jpg?imgmax=800" width="490" height="875" /></a></p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgT947oSpFUBY77n1rO11Tf92UA-wedPWkfScKOAzJrxeoZiD_B6Tj_Xb3PrWkaGxxkod5GFKoiF3x5xmzUpdqz1Y2yBIAoTvJwMy8c0R2RubxHiyhrLkMkVk12dHo9dXK6ZQtBpvQzybkA/s1600-h/Lettera%202%5B15%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="Lettera 2" border="0" alt="Lettera 2" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgA13DbZd7dQqpzmCgds3lRo_ZNh-xjXVE8bWQWZ2fRq4lW9WCMiSkJmnNsueJ1g3MaKalTWLc1Xe67zndq3BFZgpQbo4pPAexb21FhhP-CAl63ccgvWCiatWvUTDYuyrF1S51_i2waFEPs/?imgmax=800" width="493" height="795" /></a> <a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPDwwP7vTR8SEVqhQuZM_HBy8RJOEHs_drd92xKE3GCblWIhyvZxPDVBkWr9glOzx3ryBgSBbMGMk-1jwSZfgYRH2zBBRZYxv9rT839VuLWZC3NyA_x2HGe13kXHEfhB1A2v7Pp3XyOOy_/s1600-h/Lettera%203%5B11%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="Lettera 3" border="0" alt="Lettera 3" src="http://lh6.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/TVlE40vxkJI/AAAAAAAABKU/GSkYkHWfutE/Lettera%203_thumb%5B9%5D.jpg?imgmax=800" width="496" height="848" /></a> </p> <p><font color="#ff8080" size="4" face="Bell MT">Per chi non comprendesse la mia scrittura arcaica, o semplicemente non gli andasse di leggere, qui di seguito il testo.</font></p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl5nmfiADfPNocX-MPOshq50NROJA9HdXgaAY75vRlXgkWdUt2D4BIz3eQ3pyGGm1W0OG-JS6KVJOZAYrbGmz7Nwj5GJy1RE-eFq4cRMlyDxGGxQySr27zD8y1UJPikXWPUSbCz5ZOUtpo/s1600-h/BESTHEARTEDIT%5B4%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: inline; border-top: 0px; border-right: 0px" title="BESTHEARTEDIT" border="0" alt="BESTHEARTEDIT" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_g31V2lwVZXg8WD3Pr7rQ3Aza7xZKzpsXABR4sZkX7Ltpe0LM5M2AExQ6GOLkZP6lOdW0vC1hQC6bNHq-JwkTkIe48h2hWYnllOCnNzESUtHajzd76WjsutxHZIuFtSifK2EZK-0fvfRS/?imgmax=800" width="26" height="26" /></a> </p> <p>Qualcosa è cambiato – è ancora tutto uguale, tutto identico a prima, eppure sono particelle diverse nell’aria, segreti taciuti, a vorticare silenti. Le ho trascinate dietro di me, dentro di me.</p> <p>Solitudine è parola più triste, d’artista intinta nel blu, porta sprazzi di viola e dolore. Si può essere soli insieme, e insieme non esserlo più.</p> <p>Cercarsi, questo è ciò che più mi fa vacillare, non sono le memorie – quelle giacciono serene a fermentare assieme ai fiori – è l’assenza. La presenza.</p> <p>Portare via un brandello di te non sarà mai come sfiorare la tua mano indecisa, le sue linee sgraziate, e bisticciare per nascondere il desiderio di avvicinarsi. Occhi negli occhi, lavande e mandorle. Oh! Lavande… e mandorle.</p> <p>Ho visto un soffione passare veloce nell’aria, in quel giardino d’incanto.</p> <p>Un pezzetto, un bagliore, ci sorprende volando, spezza il buio delle palpebre socchiuse, e scompare.</p> <blockquote> <p>There’s magic everywhere.</p> </blockquote> <p>Senti ancora il mio profumo così come io sento il tuo? Sai, ci vorrà del tempo finché anche questi strascichi di sogno abbandonino la realtà per rifugiarsi fra i ricordi.</p> <p>Avrei voluto…</p> <p>Avrei dovuto…</p> <p>È così difficile rubare al fato la sua stella più bella.</p> <p>Ogni silenzio, ogni istante, quel timore represso alla bocca di un cuore che muove in un singulto indiscreto, sbarre alla gabbia di filigrana d’oro dell’emozione, per non cadere nella rete della follia. Siamo precipitati lo stesso, forse. Forse la luna ci bacerà, stavolta, dal riflesso di un pozzo, e noi immigrati, prigionieri, con il canotto sgonfiato e dalle ali tarpate, ad arrampicarci e scivolare fra le brame dell’acqua. Gelida, fredda, bollente, cambia al rintoccare delle ore dell’animo.</p> <p>Restiamo qui? Vicini, alle soglie della disperazione, in fondo all’antro di un sogno. Sogniamo! Afferriamo ogni bolla e ogni palloncino colorato, e spicchiamo il volo. Saremo solo immigrati del cielo, allora, solo questo e nient’altro, come sempre siamo stati, in una volta solo nostra illuminata da stelle e da angeli che ci invidiano amore.</p> <blockquote> <p>No need to run, and hide</p> <p>It’s a wonderful, wonderful life.</p> </blockquote> <p>Una storia, tante storie, per scansare quella più importante, e passare il tempo, e fare i conti con le anime che ci attorniano e non ci concedono… non si concedono. Paura – vibrante rumor sordo di treni che passano e non si mostrano, ricoperti d’ortiche. Niente che dia spazio alle richieste di un attimo, uno solo, per sperare.</p> <p>Sperare. Incantare. Spaurire.</p> <p>Svanire. Svenire.</p> <blockquote> <p>No need to hide…</p> </blockquote> <blockquote> <p>I need a friend, oh, I need a friend…</p> <p>To make me happy…</p> </blockquote> <p>Ma! E ora? Quando? Se non ora, quando? Ave atque vale, tutto è.</p> <p>Tutto è questo.</p> <p>Ed è bello averti.</p> <p>Così.</p> <p>Mio.</p> <p>Per sempre.</p> <p>Fosse anche solo una stupida illusione, fosse anche solo un bacio di luna per gli immigrati del cielo.</p> Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-35371173011723869862011-02-09T22:15:00.001+01:002011-02-09T22:27:50.288+01:00I Can Wait Forever, Interludio 2 - I<p><font color="#ffd2ff" size="4" face="Bell MT">Si ritorna. Questa storia diventa sempre più accattivante… Ed eccovi quindi il terzo capitolo, dopo le lettere e l’interludio romantico, qualcosa comincia a smuoversi.</font></p> <p><font color="#ffd2ff" size="4" face="Bell MT"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgo-ehiV-lVbwTCvhQl2-IIAASC5VWE8iF_TGCunEvj5CoTj6P7gvHw9YAzQNLinVcUQvCjm1TJBjYPSS_avQDs9Eu65x1-nB2pdp5hdm2qrsOEiGNPHQ6a5pL1EgphxKTbODq7iqhxEaC0/s1600-h/By_Myself_by_skyleaf%5B5%5D.jpg"><img style="border-right-width: 0px; display: block; float: none; border-top-width: 0px; border-bottom-width: 0px; margin-left: auto; border-left-width: 0px; margin-right: auto" title="By_Myself_by_skyleaf" border="0" alt="By_Myself_by_skyleaf" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEil5vy75AbIaTCzlo2Q_NRVkYk8uWXRSmAKlDoMQ3_f4Ou-lypDLL-ed5o4Zb0hAhVVU-nYvE5YHZ-9wWK7Ukg4f8CceZVcB78IJ1EnNDZNrjFhcTmNzPGibGUUmQDocsfDZOWN7B3dwu9R/?imgmax=800" width="400" height="441" /></a> </font></p> <p>30/05/1823 – Interludio</p> <p>In viaggio per Valensole.</p> <p> </p> <p>«Mi hai trascinato per luoghi oscuri, in questo viaggio.» La carrozza borbotta fra sé, rincarando il passo sulla strada, troppo lenta, troppo ostacolata. Le due coppie di cavalli, all’esterno, grondano sudore addensando macchie scure sul loro manto, intingendo tutto attorno a loro di un lieve odore di fienile.</p> <p>«Avevo bisogno di assaporare ambienti diversi. E poi non credi che quel breve soggiorno a Orléans sia stato magnifico?» Evangeline siede in fronte a Byron, le gambe sfacciatamente accavallate e la gonna amaranto rialzata, in veli disordinati, a mostrare la caviglia e parte dell’arto nudo.</p> <p>«Tanto quanto la settimana a Lyon, la sosta a Saint-Etienne, il tè preso a Valence per riposarti…» l’uomo ride. Una risata cristallina, ironica, per nulla stanca. Forse anche a lui ha giovato questo strambo viaggio, questa fuga, che da Londra li ha portati, infine, fra le braccia profumate del loro campo di lavande.</p> <p>«Domani saremo a casa. La nostra nuova casa.» Evangeline si è fatta pensierosa. Il sole del tramonto inonda le campagne della Provenza fuori dal finestrino della carrozza, invadendola a tratti di fasci di luce, impalpabili lingotti d’oro sospesi a mezz’aria. <i>Il voyage è finito</i>.</p> <p>«Cos’è che ti turba, amore?» Si sentono i bagagli lamentarsi e sbatacchiare da sotto e da sopra le poltrone. Hanno portato con loro solo il minimo indispensabile: i ricordi di una vita si sono sbriciolati in un mucchio di sabbia che si disperde, nonostante la presa di quella mano possa essere così forte e sicura, e quel che ne rimane alla fine è ben poco, ciò che s’incastra fra le linee del palmo, le tratte del destino.</p> <p>«Tours, Poitiers… abbiamo detto addio a tanti luoghi, non solo a Londra. Un’orma lasciata su una piazza, e quel posto è già, in qualche modo, un nuovo asilo. Quanti edifici hanno protetto le tue carezze, e i nostri baci? Ci siamo nascosti dalla gente, non fosse che per una manciata di istanti, e la città si è chiusa su di noi a proteggerci da sguardi indiscreti. Non ti mancano, Byron? Non ti manca Parigi?» La donna ha un fiordaliso di vetro appuntato allo jabot, un souvenir di terre straniere e conosciute. I suoi petali, a uno scossone più violento, tintinnano piacevolmente scontrandosi fra loro.</p> <p>«Stai ritornando sulle tue scelte, forse? Non mi mancano, perché so che un giorno vi farò ritorno.» Segue una pausa di molteplici minuti, lo sguardo e il tempo si consumano ad ammirare lo spettacolo del crepuscolo, il suo sfuggevole stendersi fra le brame del cielo, striato, da lontano, da nubi temporalesche che s’avvicinano violente. È un’ora particolare, in cui ogni evento si macina nel volgersi di una clessidra alta quanto un fiore di prato.</p> <p>«Non sto cambiando idea» aggiunge la ragazza, ricollegandosi a un discorso che pareva interrotto, concluso, ma di cui ancora si ode l’eco disperso nell’andito della vettura. «Altrimenti sarei rimasta incatenata alla mia villa a Colonia, molti anni fa. Solo penso a come sia doloroso allontanarsi da tutto questo.»</p> <p>«Sei sempre fuggita. Credevo che ormai ci avessi fatto l’abitudine.» Una goccia di pioggia si abbatte sul vetro.</p> <p>«Questo mai» sussurra Evangeline, portandosi una mano alla bocca, quasi per rendere ancora più inudibile quel che le è sfuggito dalle labbra. Un tuono consola il battere sconsolato del suo cuore, non più solitario. «A volte ho l’impressione che con tutto questo allenamento il passato sia divenuto più veloce di me.» Il sorriso che le si diffonde sul volto è spento, lacrimevole come la maschera di una tragedia greca.</p> <p>«Sei stata sulla tomba di tua sorella, questo Natale?»</p> <p>«No.» La voce le s’incrina. «Non ne ho avuto il coraggio.» Una goccia di pioggia lascia un solco sulla guancia della giovane. È pioggia salata, piove dalle volte dell’anima.</p> <p>Byron prende il bastone che aveva poggiato sulla restante parte del sedile imbottito, foderato con stoffe lisce e pregiate, e con questo batte sulla griglia comunicante con la parte riservata al cocchiere.</p> <p>«Eugène, si fermi!»</p> Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-26752881906218951172011-01-31T15:20:00.001+01:002011-01-31T15:23:05.019+01:00Valensole<p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Mi ero ripromessa di preparare qualcosa.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Non ci avevo pensato, in un primo momento, non ci avevo creduto. Ero forse convinta che sarebbe arrivato così, l’idea giusta, quel <i>qualcosa</i> e basta. O semplicemente non mi ero accorta che fosse così vicino.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Perduta, del tutto perduta fra i miei pensieri. Sogno d’altro, e dimentico.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Mi fa male? Non so. Questo essere sbadata, ogni ora sempre un tantino di più, ha il sapore dolce di una torta che si costruisce pezzo pezzo, a strati. Oggi cuciniamo la base, domani il primo livello, poi passiamo alla glassa…</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Squisitamente dipinta al cioccolato.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Un anno fa vi ho narrato la storia di <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/2010/01/lultima-battaglia.html">un guerriero</a>. Da allora, ha combattuto tante battaglie, e mi ha salvato innumerevoli volte dalle fauci di un triste fato.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Non saprei più che dirvi di lui.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">E non ho niente. Fra le mani, petali di… di crisantemi, frutto del mio giardinaggio scellerato.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">E una tragica brezza di nostalgia che entra dalla finestra, spalancata sul vuoto del domani.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Forse provo a chiudere gli scuri.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">«Chiudi gli scuri, Evangeline.»</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">Forse stavolta lo faccio davvero.</font></p> <p><font color="#aeffff" size="4" face="Bell MT">E… e buon compleanno, solo questo. Scusami se non ho potuto essere all’altezza di tutto.</font></p> <p><font color="#ffddff" size="4" face="Bell MT">Così nasce il mio primo sonetto… una prova – venuta male. Se qualcuno ne capisce qualcosa di metrica, potreste dirmi se è giusto? Merçi ^^</font></p> <p><font color="#ffddff" size="4" face="Bell MT"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc09.deviantart.net/fs71/i/2010/209/f/d/Un_ete_en_Provence_VI_by_garota_da_ipanema.jpg" width="403" height="594" /> </font></p> <p>Forse non arriveremo a sapere</p> <p>Perché il vento ci sta trascinando</p> <p>Per lande su ali veloci e leggere</p> <p>Di campi infiorati va sussurrando.</p> <p> </p> <p>E che motivo angustioso noi abbiamo</p> <p>Per rimanere immersi nei ricordi</p> <p>Se arte si cosparge di cinnamomo,</p> <p>Nastri scarlatti e sapore di fiordi…</p> <p> </p> <p>Accompagnami verso altre nazioni,</p> <p>Fuggiamo! Via da dolori e tormenti.</p> <p>Alle lavande in sboccio importerà se</p> <p> </p> <p>Pianteremo anche mandorli e soffioni?</p> <p>Ci feriremo solo coi frammenti</p> <p>Di porcellana sul piattino da tè.</p> Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-31747515515090861002011-01-25T19:54:00.001+01:002011-01-25T20:00:23.515+01:00I Can Wait Forever, Interludio VII<p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Fine del primo interludio. Negli ultimi paragrafi si consuma una scena da target arancione.</font></p> <p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Edit: è il mio centesimo post. Buon compleanno, caro blog.</font></p> <p><a href="http://lh3.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/TT8ccFWPeAI/AAAAAAAABJg/9TGiWNOzmaM/s1600-h/Red%20silk%204_15_06_doc%5B5%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="Red silk 4_15_06_doc" border="0" alt="Red silk 4_15_06_doc" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhQ3MBFYiifw2yrITt-kNvYpWv0EPOCiF2gZ2JRLJKZ5fqTe13BeWod58DbFseLMnKhNHgV3WWERc0sgvxI0PA1T99CCLo7DxJz60HadbUvvM__aKhb1CRFyde3lhs_HsQyv8kMr7j-0Zeb/?imgmax=800" width="421" height="289" /></a> </p> <p>Nessuno li ha visti, nessuno ha parlato di loro, non una figura umana che s’interessi di cosa si stia consumando in quella stanza, ove ogni sera vi si sprangano, con il clangore di una serratura che mette a tacere ogni voce. Può un lutto serrare le bocche di qualsiasi individuo? L’arte del silenzio è il frusciare delle ombre. Le tende che s’aprono e si riversano da una finestra discosta: <i>un fruscio</i>.</p> <p>«Lo soffri, eppure continui ad amare il freddo. Chiudi gli scuri, Evangeline.»</p> <p>Una veste cala a terra, dopo che i lacci che racchiudevano il tutto – è lo schiudersi di un fiore, il dilagare di ogni emozione – sono stati sciolti da una mano rapita dal fremito dell’incoscienza. Le gonne turchesi prendono le forme di una distesa marina, una polla sull’aldilà che frantuma la monotonia del gelido marmo. Da esso, spunta una sirena dai capelli dipinti di sorbo. Dietro un paravento di fine carta vermiglia, una voce risponde: «Non ancora.»</p> <p>Non ancora. Aspetta lì, Byron, sdraiato sul letto, lo sguardo triste e pensoso, la camicia sbottonata tanto che basta a far affiorare la pelle del cuore. Questo batte, bussa alle porte del desiderio, mentre lo sguardo rifugge dalle zone buie di un corpo nudo, un mimo perfetto, nascosto. Il sussurro della seta che lo riveste trascina con sé un muto grido, la dolcezza del suo suono è paura, sconcerto, indulgente disperazione. Le mani di lei annodano un fiocco dietro la schiena per stringere la vita in un abbraccio sottile.</p> <p>Evangeline esce, i piedi nudi che calpestano il pavimento come se stessero galleggiando fra petali di rose, tra le braccia l’impacco maldestro del vestito da giorno, il mare che l’ha partorita. La vestaglia si ferma più su del ginocchio, ed è tenuta in cima da due fettucce rosse così come il tessuto. Si è sbrogliata i capelli, le ricadono sulla schiena in un rivolo di ciocche dalle sfumature ramate.</p> <p>«Chiudi gli scuri, Evangeline. Prenderai freddo» insiste.</p> <p>Fa finta di non sentirlo, getta l’abito su una poltrona azzurra e si avvicina al letto. L’alcova ha un soffitto intelaiato a fiori color orchidea e lampone, le cui foglie vanno a creare un manto intricato <i>d’arabesque</i>. Sui colonnati si sparpagliano motivi d’edera e malve intrecciate.</p> <p>Lei gli poggia un dito sulle labbra quando questi fa per protestare, accostandosi al suo volto. «Voglio farti vedere una cosa.»</p> <p>S’inginocchia e rimesta con un braccio sotto al baldacchino, alla ricerca di qualcosa. Quando ne riesce, ha in mano la sua valigia da disegno. Le borchie che ne costringono gli angoli sono ammaccate e scurite, il cuoio nero graffiato, caduchi protagonisti di viaggi e mostre, arti e lavori. La apre, e i ganci che ne legavano il contenuto scattano via all’unisono.</p> <p>Una manciata di fogli si riversa a terra. Tutti i colori con cui dipingeva le anime del mondo, i barattoli in cui intingeva ogni emozione, i pennelli unghiati e sempre pronti a graffiare la tela, sono tutti spariti. Solo pagine, carte, pergamene – ogni tonalità capace d’accogliere tratti di grafite – è ciò che si scaglia sul pavimento come il getto di una fontana: <i>un fruscio</i>. Si nascondono per l’impiantito, piastrelle scalfite di volti e reami lontani, specchi che danno su una realtà distorta dall’effluvio di un incantesimo.</p> <p>«Ma…» sfugge dalle labbra di Byron, più un suono impercettibile che un reclamo vero. Non lascia le coperte, ma ne infiora di pieghe infervorate la superficie liscia, le sue dita strette ad afferrare il tessuto.</p> <p>«È tutto a posto» dice la donna. Si china a raccogliere il primo che ha toccato il suolo, lo tiene vicino al petto per non farne vedere il contenuto all’amato, è una bambina che protegge la sua bambola preferita stringendola al seno. Si siede appena sotto il bacino di lui, lasciando che le sue mani l’abbraccino, quindi rivolta il disegno perché lui possa osservarlo.</p> <p>I colori sono sprazzi intonsi di luce su una scena dominata dal nero. Per una volta Evangeline non si è dedicata alle tenui tinte degli acquarelli, ma ha usato pastelli oliati per generare il fascino di un distacco infelice. Una, due, cinque spighe di lavande dai riflessi vitrei sono poggiate su un pianoforte verticale, e i tasti s’incavano sotto la loro premurosa pressione. La melodia delle terre di Provenza si sparge sugli spartiti appena sbozzati.</p> <p>«Bianco, nero, bianco, bianco…» sussurra lei.</p> <p>Il dipinto è ripreso di profilo, e si vede la figura in ombra di un uomo, seduto su uno sgabello di fronte allo strumento. Le braccia sono abbandonate sui fianchi, in un atto di mesta rinuncia, e gli occhi socchiusi paiono fremere allo sfiorare di ricordi distanti nel tempo. Un piede è poggiato sul pedale, quasi a voler spingere quel suono a non smorzarsi, a durare finché anche il destino non ne avrà tracciato una fine sicura.</p> <p>È tutto buio, è la coltre della morte che si distende e si rivela sullo sfondo sfumato: una tenda bianca, così sottile che si intravede da essa l’infinità di un cielo stellato, e così pieghettata su se stessa, sgualcita, che le sue crespe formano un altro volto, femmineo, contrapposto a quello del giovane.</p> <p>Il viso etereo si protende verso di lui, le labbra schiuse in un bacio consolatorio. E si sa, ora, che la macchia biancastra che rischiara parte della guancia del ragazzo è in verità una mano di fumo, una carezza proveniente dalle distese di un territorio sconosciuto. <i>Vaucluse, non sei mai stata rifugio più bello</i>.</p> <p>«Non l’avevo finito. Non volevo mostrartelo prima, ma ora… ora era il momento giusto.»</p> <p>«Sono io» constata Byron. Oramai il foglio giace fra le sue dita, gliel’ha strappato per perdersi fra i ricami della sua vita, coinvolta in una bozza piccola, inferma, delicata come la sua esistenza ora riposa appesa a un filo. E la lascia, inutile pergamena – che scivolasse pure in terra fra le sue compagne di carta. Si dimentica, nella notte, ciò che affolla le vie del tormento.</p> <p>Prende Evangeline fra le braccia e la porta a stendersi su di sé. I primi baci si consumano nella disastrosa quiete di un segreto sussurrato troppo forte, nella bramosia di cadere vittime dell’ardore. Il gelo che proviene dalla finestra aperta è divenuto brezza piacevole, aria fresca da concedersi in respiri affannosi.</p> <p>Byron fa scivolare le labbra sul collo della donna, percorrendone la pelle con la leggiadria di un accordo, e brividi di piacere scuotono il corpo di lei. La spallina le ricade sul braccio, mentre la bocca dell’uomo si muove lungo la spalla e scende, cauta, a liberarla da ogni pudore. Il giovane accoglie il suo seno turgido, pervaso da un profumo più caldo e tenero, che si scontra con la sua lingua ansiosa.</p> <p>Più in basso, le mani di lui raccolgono la vestaglia in spire che sono il cristallizzarsi del volo di una farfalla, onde marine permeate da un sapore vermiglio, e in una carezza che sfiora i fianchi di lei porta il tessuto a cedere dalla carne.</p> <p>Dita d’artista slacciano gli ultimi bottoni della stropicciata camicia di Byron, sfilano i calzoni di velluto marrone; a far compagnia ai sogni di lei dispersi al suolo, si aggiungono le vesti portate via con insofferenza. <i>Un fruscio</i>, e non è più silenzio.</p> <p>«Ti prego, scappiamo incontro alle lavande in sboccio» lo implora lei.</p> <p>E si chiude così, come se nulla fosse mai accaduto, un velo che si stende sulla fulgida superficie del mare… un bacio di luna per gli immigrati del cielo.</p> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-32737193553569487452011-01-24T22:20:00.001+01:002011-01-24T22:20:32.767+01:00I Can Wait Forever, Interludio V<p><font color="#ffd7ff" size="4" face="Bell MT">Dico solo questo: ci stiamo avvicinando a una svolta.</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs71/f/2010/058/8/9/89dec73d8f31fa1b939b7441fb0535a1.jpg" width="260" height="388" /> </p> <p>07/03/1823 – Interludio</p> <p>Londra, Casa Hinchinghooke. </p> <p> </p> <p>Il suono delle posate d’argento è lo straziante requiem dei cuori soli. Poche parole, solo quelle più necessarie, l’imbarazzo dell’infanzia perduta e delle memorie comuni: non v’è alone di consolazione, solo triste e immutata condivisione del dolore.</p> <p>La composizione di frutta, nel vassoio al centro, pare attendere l’artista che ne dipingerà i tratti, con cauta lentezza e studio d’ombre. Giorno dopo giorno, aspettando l’ora del primo mattino, resterà lì a impolverarsi e a rinsecchirsi, finché di essa non rimarrà che un’immagine senza sapore.</p> <p>I piatti sono pieni di ricordi, vuoti di cibo. I ghirigori attorno ai bordi, sapientemente dipinti da mani esperte, giacciono nella loro tenue tonalità salmone, e si tengono forza, filamento per filamento, lì a sospendersi in un cerchio nel bianco della porcellana.</p> <p>Una domestica interrompe la quiete, portando un cesto di pane appena sfornato, caldo, poi tiepido, poi abbandonato a raffreddarsi intonso. È entrata da una porticina in legno, secondaria, con un intaglio in vetro nella parte alta che tuttora è appannato dai fumi della cucina. Quando rientra, l’uscio si richiude facendo vibrare l’argenteria accuratamente lucidata negli armadi a vista, con uno scampanellio che si riversa fra i vetri delle ante e dei ripiani.</p> <p>«Quali sono i vostri programmi per la giornata?» Chiede Evangeline. Ha un segno sotto l’occhio sinistro, come una piega lasciata dal segno di un cuscino – un sogno interrotto, e le palpebre appena schiuse di chi è desto ma assonnato. Offre un sorriso prudente ai tre uomini che siedono alla tavola rettangolare.</p> <p>Il più giovane, che le siede di fronte, prende un tovagliolo e se lo tampona sulle labbra. «Io e Delbert saremo fuori fino a stasera» dice, indifferente, quindi si passa le dita fra i capelli biondo cenere raccolti in un codino.</p> <p>L’altro, seduto alla sua destra, annuisce con fare intento. Si dondola sui piedi della sedia, portando lo schienale in un’angolazione impossibile. Le labbra rosee come quelle di una fanciulla hanno una piega orgogliosa, carica di una dignità affetta dal risentimento. A ritmo del suo dondolio, le tende rosa pesco piegano in numerosi sbuffi da una delle vetrate, confondendosi al raso bianco dei veli più sottili e irrompendo nella sala da pranzo. Una finestrella è stata lasciata aperta per rinfrescare l’ambiente.</p> <p>«Eva, che ne direste di prendere una boccata d’aria? La colazione è terminata, non c’è bisogno che ci tratteniamo più del dovuto. Sono certo che anche i miei fratelli abbiano le loro incombenze da svolgere» propone Byron e le prende una mano da sotto il tavolo, sgusciando fra i riccioli merlettati della tovaglia chiara, raggiungendola in uno spasimo d’amore.</p> <p>Lei arrossisce, accorgendosi della sua impudenza, e con un cenno del capo che s’avvicina a un inchino si accommiata dai due: «Vi auguro di trascorrere una bella giornata.» Il suo sguardo si sofferma un istante in più su Delbert, che però non risponde, scuote soltanto la testa, lasciando che i ricci castani gli coprano parte del volto.</p> <p>Mentre si allontanano, il parquet ricoperto dal tabriz persiano attutisce il ticchettio delle suole, il cui ritmo si uniforma a un solitario pendolo nell’angolo. <i>Tic-tac</i>, <i>tic-tac</i>, è anche il rumore dei telai che tessono fitti orditi nelle terre d’oriente.</p> <p>Byron la trascina in giardino, attraverso una vetrata scorrevole che vi s’immette direttamente dalla stanza. Una ventata fresca li investe al primo impatto e la giovane rabbrividisce.</p> <p>«Volete che rientri per prendervi una cappa?»</p> <p>«No, Byron, non ce n’è bisogno. Sto bene così.»</p> <p><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://th09.deviantart.net/images2/PRE/i/2004/01/2/1/Tokyo_Garden.jpg" width="262" height="348" /> Il prato fruscia sotto i loro passi sommessi, l’erba che si piega in dolci onde e che si rialza, carezzando le caviglie con un bisbiglio inudibile. Nel vialetto di pietre, fra un masso levigato e l’altro, sono cresciuti sparuti mucchi erbacei, da cui spuntano boccioli di timide primule. <i>Il fiore giustifica i mazzi</i>.</p> <p>Il sentiero conduce, con una lieve salita, a un ponte in legno, con dei sostentamenti di ferro leggermente arrugginito ai bordi. Sotto la passerella gorgoglia un rivolo d’acqua pura, che si colora dei riflessi verdini della natura appena inselvatichita che lo circonda.</p> <p>«Vi è sempre piaciuto, questo posto. Nelle primavere, bevevate l’acqua a lunghe sorsate, senza preoccuparvi delle macchie d’erba che vi sporcavano il vestito. Vi inginocchiavate lì, fra le libellule, pronta a spiccare il volo.» Indica una conca sabbiosa che immette gradatamente al rio, ampio in quel tratto non più di un paio di braccia. Per tutto il tempo non le ha mai lasciato la mano, e ora che sono saliti sul ponticello, il legno geme contrito ad ogni spostamento di peso.</p> <p>«E tu mi trascinavi lontano, perché temevi che sarei potuta scivolare in acqua, nonostante il torrente sia poco profondo. Mi portavi sul ponte…»</p> <p>«Vi bloccavo il corpo contro la balaustra che in estate gettava foglie di rampicanti a sfiorare le rive sotto di loro.»</p> <p>«Come stai facendo ora.»</p> <p>«E vi…» Una mano lo blocca, fermandosi sulle labbra di lui. Un paio d’occhi azzurri, intimoriti, bagnati di lacrime sospese sull’orlo dell’abbandono, si fissano in quelli dell’uomo. È una preghiera muta che induce al silenzio.</p> <p>È il sussurro: «Smettila di darmi del voi. Ti prego, Byron, non posso sopportare più questo tuo lasciarmi indietro, lontana da te.»</p> <p>Lui ride, poco più che un andirivieni, un tintinnio di felicità cosparso nell’aria. La condensa che spira dalla sua bocca, ora aperta, strascica fumi che velano vascelli d’intimità, vascelli di carta, con le ali ripiegate lungo le fiancate.</p> <p>«E ti dicevo che eravamo solo un sussurro. Un sussurro nel vento, e che presto saremmo volati via con esso, danzando su quei piani impalpabili di una passione che ci allenta e poi restringe i nostri corpi in un tango che è veleno d’amore, scorre nelle mie mani intrecciate alla tua schiena e…»</p> <p>E s’infiorano ali d’argento che trasudano disperazioni imperlate dal vuoto che li separa. Un respiro, due, è un sospiro che si trasforma in ordine e muta in piacere.</p> <p>«E voleremo più giù, più su, più in fondo. Ove non si fa ritorno.»</p> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-32252401934237813552011-01-23T20:37:00.001+01:002011-01-23T21:33:41.197+01:00I Can Wait Forever, Interludio III<p><font color="#ffbbff" size="4" face="Bell MT">Lo so che conoscere la storia a spezzoni, saltando da un blog all’altro, è un po’ scomodo. Vi chiedo solo d’avere pazienza. Procediamo veloci, e in ogni caso potete sempre ricorrere alla <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/p/i-can-wait-forever.html">pagina</a> creata apposta per fare meno confusione possibile ;)</font></p> <p> <img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc03.deviantart.net/fs34/i/2008/310/7/6/chess_man_on_the_move_by_Pitrisek.jpg" width="383" height="384" /> </p> <p>«Scacco matto.»</p> <p>«Oh, perdessi meno spesso» sospira Evangeline.</p> <p>«T’amerei di meno?» Il ragazzo fa per rimettere a posto le pedine, un giocatore accorto, che carezza ogni pezzo levigato con la stessa cura di una sarta che ammira la sua ultima creazione. Un sorriso mesto spunta appena dal suo volto, quindi prende un respiro e continua: «A dodici anni m’innamorai per la prima volta. Una ragazza di strada, capelli rossi, l’accento di Nantes. Una figlia di Satana.»</p> <p>«Un po’ azzardato, per un bambino.» Lo aiuta nel richiudere la scacchiera in cristallo, dopo che l’esercito è ritornato silenzioso nelle sue bare, custodite da quella lastra lucida, troppo pulita per portarsi dietro così tante vite mangiate. Il re nero giace accanto alla sua regina, ma non si tengono per mano: muto è il ringraziamento verso quella figura femminea che, di nuovo, lo aveva salvato.</p> <p>«Non ero immaturo» dice, quasi stesse cercando una scusa per il suo comportamento, quindi si alza dalla poltrona rivestita di velluto rosso. Il salone è pervaso dalla solitudine, solo il fuoco nel camino crepita stanco le sue lamentele. Pochi sono i riverberi di luce, qualche candela poggiata su un candelabro dorato, sparse per l’ampia stanza con la casualità di un cameriere distratto.</p> <p>Tutto giace nell’immobile penombra di una scena da consumarsi al buio.</p> <p>«Non lo sei mai stato, vero? Non hai età, non hai mai avuto anno in cui annotare un cambiamento nel tuo spirito.» Evangeline resta seduta, e osserva l’uomo percorrere il tavolino rotondo di legno, lentamente, un passo per volta, accompagnando il tutto con una mano che soprappensiero ne ripercorre il bordo incavato. Un dito che segue il percorso del destino, lasciandosi trasportare, senza rivolte.</p> <p>«Ho cristallizzato la mia vita nel momento in cui mio padre è morto. L’ho visto cadere come un bicchiere di vetro. L’ubriaco tira un po’ la tovaglia, e il calice s’infrange al suolo. Sparge un veleno d’imbrogli.» Lo sguardo, invisibile, coperto da ombre fragili e impalpabili come nebbia, è privato anche del suo consueto chiarore. Il ricordo si disperde, è il liquido che macchia il tappeto una volta che il bicchiere ha completato la sua caduta. « Lei, la rossa… quella bambinetta dei miei sogni, colpa sua» e l’incertezza si diverte a colpire la sua voce in balbuzie stolida. «Mia madre mi aveva… avvisato, e così aveva fatto con lui. Chi ha i capelli di fuoco è solo un bugiardo partorito dall’inferno.» Una pausa: la voce roca sfuma nel soffio di una vita devastata. «Io ho aperto le porte dell’oltretomba, portandola in casa. Era un angelo sperduto fra la polvere di Vaucluse, ma poi s’è rivelato demone dell’anima mia.»</p> <p>«Continua, per favore.»</p> <p>«Fuggimmo, incontro alle lavande in sboccio. Vaucluse non è mai stata rifugio più casto: eravamo aliti dispersi nel vento, non eravamo nulla, eravamo la proiezione di un passato cancellato male. Io e la rossa, che ci confondevamo fra i fiori, amandoci fino allo scandalo, fino al disastro, il sangue che riverse la mia vita. Colpa sua, maledetta!» È arrivato alle spalle della donna, ma non la tocca. Osserva la dolce linea della sua nuca piegata in basso, i capelli castani raccolti in uno chignon semplice, gli occhi socchiusi in un ascolto assorto. Osserva le sue bugie, i suoi segreti taciuti, scivolare a terra e liberarsi della loro coltre di gelo.</p> <p>«Lei… è ancora viva?» chiede.</p> <p>«Oh, Eva, non sai che il demonio non muore?»</p> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-86360149115071189822011-01-20T19:56:00.001+01:002011-01-20T19:56:37.109+01:00I Can Wait Forever, Interludio II<p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc00.deviantart.net/fs70/i/2010/120/7/4/Kordelia__by_marinaretta.jpg" width="329" height="314" /> </p> <p>La porta è socchiusa. Non cigola, non produce rumore, quando una mano la spinge per entrare nella stanza. La figura viene investita dai raggi brucianti di un ultimo sole, che alla fine del suo percorso riesce a infuocare l’ambiente, intrufolando tiepidi serpenti di rubino da ogni interstizio.</p> <p>Un odore di vernici la investe. Casa. Casa è dove c’è lui: dove ogni filo dei suoi capelli di grano si trascina il sapore dell’estate, dove la vita si consuma nei baci riversi sulla sua pelle luminosa.</p> <p>Sta dipingendo. La sua mano, decisa nell’impugnare una penna, ora è insicura sulla tela e pare giocare con i peli del pennello che tratteggiano delicati il suo dolore.</p> <p>Gli si avvicina, nonostante vorrebbe in cuor suo restare un’eternità a rimirarlo nell’ombra, sentendolo ignaro della sua presenza. Lascia scorrere le dita sul suo braccio – il primo tocco è un tuono che percuote le membra –, la camicia bianca arrotolata fino al gomito, quindi gliele avvolge attorno al polso con cui acquerella il quadro. Lo guida in alcune rifiniture, qualche istante per assaporare in pace il suo profumo di fiori di pesco, e cannella, e legno di sandalo. Un’armonia di sensi che le inebria la mente.</p> <p>Ferma il tratto, ed entrambi tremano, hanno sempre tremato, delle foglie nate sullo stesso ramo di betulla e pronte a cadere sulle sponde del fiume. In silenzio. I loro sguardi non si cercano perché non ancora pronti a incontrarsi, rifuggono adocchiando il nulla.</p> <p>È seduto su uno sgabello senza spalliera, e lei sente la sua schiena che le sfiora il grembo. Stavolta non è il corpetto azzurro troppo stretto a levarle il respiro, è una presa diversa a scuoterle l’animo. Quasi non si accorge di essersi chinata appena, per lasciar scivolare le labbra sul suo collo liscio, le spighe di grano della sua chioma che la sfiorano e le solleticano il viso, come una carezza data in un campo pronto al raccolto.</p> <p>«Byron, mio Byron». È un sussurro che infrange ogni specchio.</p> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-18590345325169685112011-01-18T21:40:00.001+01:002011-01-18T21:40:14.995+01:00I Can Wait Forever 9<p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs71/f/2010/178/c/6/c64835e4792f7ae273b011e9cbfb6d74.jpg" width="381" height="381" /> </p> <p>02/03/1823</p> <p>Le Havre si è rivestita, con l’arrivo della tua lettera, di una calma surreale… pare aver trattenuto il fiato assieme a me, mentre leggevo. Mi avevi già preannunciato, giorni addietro, della grave fine cui andavi incontro, ma sentirne il dolore, palpabile, il tuo forse stupore a dover accettare il tutto… mi spiace.</p> <p>Le vite volano via come un soffio, ognuno, in un modo o nell’altro, dovrà passare il periodo dell’ammissione di una perdita. L’arte di perdere non è difficile da imparare, diceva qualcuno. Anche se alla fine si tratta solo di relegare la sofferenza in una parte del cuore, farla giacere e maturare finché essa non deciderà da sola di raggiungere scogli più quieti, privata della forza della mareggiata, e divenire, ormai, un palpitare sordo, l’ombra triste di un ricordo lontano.</p> <p>Vorrei essere lì con te, in questo momento, consolarti, per quanto le mie fragili membra possano riuscire a farlo. Non sono mai stata brava con le parole, ho comunicato, lungo la mia vita, solo per immagini: il narratore di ogni nostra ballata sei sempre stato tu, con le tue dita lunghe e sottili, da pianista, ogni storia un tasto – nero, bianco, nero, bianco, bianco… un tasto nero è la dolente visione di ogni racconto che non raggiunge il lieto fine. Non ti sembra ridicolo? Piccolo, relegato nell’alto, più duro a premersi, ma così struggente! Lucidato, si riflette dei lucori altrui, per nascondere sulla sua superficie solo gorghi oscuri in cui smarrirsi per sempre.</p> <p>Ed è per questo che ritengo opportuno venire da te. A salvarti, finché può la mia sola presenza eluderti dal commettere sciocchezze. Non che non confidi nel tuo buon senso, o altro. Oh, non ho più voce per spiegarmi meglio. Desidero solo stare al tuo fianco, rassicurarti, stringerti la mano e con un bacio asciugarti una lacrima fuggitiva che s’allontana dai tuoi occhi tristi. Perdonami se non potrò essere in grado di fare altro, ma quel poco permettimi di donartelo.</p> <p>Le giornate nella tua villa a Le Havre trascorrono lente. Tua zia è stata molto gentile con me, ad accogliermi come ha sempre fatto, nonostante stavolta tu non eri con me. Ha preso la notizia con garbata mestizia, ma nella notte l’ho sentita abbandonarsi a un breve pianto, nella sua stanza affianco alla mia.</p> <p>È una donna forte. La mattina dopo, nella sua crocchia argentea, era di nuovo perfetta come lo è sempre stata. Solo due cambiamenti ne incutevano le sembianze: la veste nera, a collo alto, e una luce un po’ più spenta negli occhi.</p> <p>Io ho trascorso oziosi pomeriggi di lettura. Non mi riesce facile abbandonarmi all’arte, quando ogni pennellata s’inasprisce di rimembranze infelici. Solo una storia può portare, in questo momento, la mia mente altrove: non immagini quanti mari ho navigato, quanti posti ho visitato, nella notte, all’alba, fra le coltri di un cielo cosparso da costellazioni diverse, più nuove, più vive! Ho letto con attenzione trasognata di amori così simili al nostro, ma che mai si sono rivelati più intensi del sentimento che custodisco in me.</p> <p>Ieri, per festeggiare il sopraggiungere di Marzo – sai bene quanto ami questo mese, quanto gioisca delle ultime, sparute nevicate che ogni tanto mi fanno visita a sorpresa – mi sono addentrata nel giardino della villa, lasciando indietro il patio da cui sovente avevo già assaporato l’aria marina di Le Havre. Il sale pare corrodere qui, prima che negli altri luoghi, la neve che in Febbraio vi si era posata. Ho scovato, nei rami di un biancospino, spuntato come un fiore, un mucchietto residuo di neve. L’ho sfiorato, incauta, graffiandomi la mano e permettendo che i guanti in pizzo venissero pizzicati dalle fronde, ho goduto del suo tocco gelido e dell’incavo sciolto che il mio dito ha formato nel grumo. Per un istante mi sono sentita una bambina. Quante volte mi hai chiamato così, lambendo parti del mio animo che a me stessa erano ancora sconosciuti.</p> <p>Passeggiare in solitudine, scortata dalle meraviglie della natura fino al pergolato d’ipomee che tanto amo, è stato piacevole e ritemprante. Forse l’ispirazione di un nuovo quadro, qualcosa, stavolta, di davvero sensazionale, si sta affacciando alle finestre della mia mente occlusa dalla nostalgia. Potrei provare a darvi una prima bozza a Londra, che ne pensi?</p> <p>Ah! Dimenticavo di comunicartelo. È passato di qui tuo cugino per visitare la madre, durante un pomeriggio. L’ho trovato in ottima forma, fresco come un frutto estivo, e sono contenta che la moglie stia conducendo una vita felice. Mi ha chiesto, impudente, quand’è che anche noi decideremo di condurre in matrimonio la nostra relazione. Ho sviato la domanda con una risata lieve, dopodiché mi ha sfidato a scacchi per trascorrere il tempo, accorgendosi forse della sua sfrontatezza e ritornando sui suoi passi. Ha imparato bene dai tuoi insegnamenti, dalle diverse partite che abbiamo fatto non sono riuscita una volta a batterlo.</p> <p>Sapendo della tua passata sosta, però, si è infervorato non poco. Credo siano due anni che non vi incrociate, dopo un’infanzia intera trascorsa fra le pareti di un’unica dimora, e tu hai eluso una delle possibilità che avevi anche solo per stringergli la mano, come si fa fra vecchi amici. Ha promesso che al tuo ritorno verrà di nuovo.</p> <p>Ho l’impressione che non siano in pochi coloro che ti danno la caccia.</p> <p>Post scriptum: nonostante tutto, la domanda del tuo parente mi ha scosso. Quando, per una buona volta, mi sposerai? Non ce la faccio più a far tacere i timori del cuore e le dicerie della gente.</p> <p>Tua, per sempre,</p> <p>Evangeline Leibniz</p> Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-40494457051533553152011-01-16T20:56:00.001+01:002011-01-17T22:16:15.799+01:00I Can Wait Forever 7<p><font color="#ffccff" size="4" face="Bell MT">Ormai lo sapete. I miei episodi vengono pubblicati sul mio <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/">blog</a>, gli altri su quello di <a href="http://eonisilenti.blogspot.com/">Vincenzo</a>. Per leggere tutto, andate <a href="http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=635804&i=1">qui</a> o <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/p/i-can-wait-forever.html">qui</a>.</font></p> <p><font color="#ffccff" size="4" face="Bell MT">Vi avviso che per questioni di cambi di trama e problemi di coincidenze, siamo stati costretti ad apportare lievi modifiche alle date e a qualche particolare delle lettere. Niente di che, se avete letto tutto finora non c’è bisogno che rileggiate il tutto ;)</font></p> <p><font color="#ffccff" size="4" face="Bell MT"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc04.deviantart.net/fs41/i/2009/033/5/5/The_thread_of_destiny____by_xXxFucked_UpxXx.jpg" width="304" height="345" /> </font></p> <p>21/02/1823 – Quarta lettera al mio amato</p> <p>Ho deciso che resterò a Le Havre. Oh, non mi sfuggirai, stanne certo. Il tuo viaggio si è rivelato più breve del previsto, e io troppo lenta nel mio folle amore a rincorrerti, che già m’eri scivolato fra le dita. Sei come un nastro rosso, un legame che mi stringe il polso e che poi, per disattenzione o per un evento increscioso, si slega e vola al suolo. La tua stretta è sempre stata delicata, quasi impercettibile, ma nonostante tutto mi riscaldava. E ora, più che mai, è davvero questo calore che mi manca: sono fredda come una rosa abbandonata al gelo del più niveo degli inverni.</p> <p>L’attesa… questa attesa, impagabile, per raggiungerti ancora, si sta scoprendo un periodo raro. Ho sempre avuto un temperamento agitato, tu stesso hai potuto… constatarlo, leggendo la mia ira repentina della scorsa lettera. Ma adesso ho tempo, finché la tua nave non salpi nuovamente alla volta del porto sicuro di Le Havre e delle mie braccia, per riflettere e far ragione dei miei sentimenti.</p> <p>T’amo ancora, come quel primo giorno. Sotto il mio tocco, il mio sguardo desideroso, ti ho osservato mutare nella candida immagine di un quadro perfetto. È del mio amore che, prima di tutto, sono sicura.</p> <p>Forse sto cominciando a perdonarti… oh, tutto, tutto questo, pur di averti di nuovo con me. Il fato s’è rivoltato contro i nostri cuori, un nodo nel filo scarlatto che ci lega, e che non vuole permetterci di toccarci ancora.</p> <p>Ti aspetto. Interrompo qui il mio inseguimento, fino a che la mia anima riuscirà a resistere a questa distanza sgradevole e amara. Può darsi che più in là parta davvero, se solo potessi avere notizie tue e della tua povera madre… spero che questa situazione non si prolunghi più del dovuto. Il piacere dell’attesa che sto riscoprendo mi fa notare che, sai bene, si brucerà presto. È un piacere ingannevole che copre un bisogno ancor più impellente - parlo dei bisogni del cuore, quelli a cui non puoi mancare.</p> <p>Non permettere che questa miccia arrivi alla sua fine, finirei per scoppiare.</p> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-80558543065980269772011-01-15T20:36:00.003+01:002011-01-16T20:15:30.770+01:00I Can Wait Forever 5<span style="color: #ffc4ff; font-family: Bell MT; font-size: medium;">Ormai conoscete la storia. Per leggere le lettere di lui vi rimando alla nostra <a href="http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=635804&i=1">pagina di EFP</a>, o altrimenti alla <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/p/i-can-wait-forever.html">pagina di questo blog</a> che vedrò di aggiornare il più spesso possibile.</span><br />
<span style="color: #ffc4ff; font-family: Bell MT; font-size: medium;">P.S.: sarà il 2011 un anno produttivo? Non ho mai postato così tanta roba in così poco tempo.</span><br />
<img align="left" height="494" src="http://fc05.deviantart.net/fs51/i/2009/304/4/8/weatherby_by_rammkitty_stock.jpg" style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px;" width="339" /> <br />
12/02/1823 – Terza lettera<br />
<br />
Finalmente sono tornata. Stanca, ch’era sera, o forse già notte inoltrata.<br />
Sono tornata, bramando ogni volta il sapore fruttato della tua pelle, desiderandolo sempre di più ad ogni passo, ad ogni singolo sospiro di giglio, che mi avvicinava a quel quartiere parigino che tanto conosco, e che tanto mi è caro.<br />
Ero lì, a strapparmi lo strascico della gonna da viaggio, tanto i miei piedi calpestavano veloci e agitati le pietre della strada, e i tacchi che vi s’impigliavano senza possibilità di scampo. Tanto correvo, per raggiungere il tuo portone in legno chiaro, e per sommergerlo, il sorriso al volto, di piccoli pugni di gioia. Aspettando che tu, dai piani alti, dal tuo studio – oh, riuscivo anche a vederlo! La luce giallognola delle candele che traspariva dall’ombra delle tende alla finestra, e un’ombra più scura, il tuo corpo chinato a scrivere – arrivassi trafelato a darmi quell’abbraccio di ben ritrovata.<br />
Non che sia indifferente al fragile corpo della tua adorata madre.<br />
Ma davvero il mio cuore ha urtato i cancelli della desolazione, schiacciato come un prigioniero in una gabbia per canarini, quando ha realizzato la tua spiacevole assenza.<br />
Colonia è lontana da Parigi. Era un breve viaggio, solo le vacanze natalizie, niente più, per riappacificarmi con quei parenti lontani che da tanto non vedevo. Colonia è lontana, anche Londra… una manciata di giorni! Non ti avrei chiesto altro.<br />
Dannazione al dì in cui il mio sguardo s’incatenò ai tuoi occhi di mandorla e cannella dispersa. M’hai frantumato l’anima!<br />
Ora basta divagazioni, ecco com’è andata: ho trovato il tuo maggiordomo, solo, nella cucina, e mi ha consegnato la tua lettera. Non ha pronunciato parola, né un tocco di conforto, nulla, mentre mi scorgeva davvero sfiorire come una rosa arsa dal sole. Perché ribollivo di disperazione e dolore, ma anche – e soprattutto – di rabbia. Sì, sono irata con te!<br />
Le tue promesse, vanificate in un soffio. Saremmo potuti partire assieme, affiancati nella stessa carrozza, soggiornare a Le Havre, là dove io ben ricordo che… no, non voglio ricordare ciò che ivi accadde. Ora, mi pare una romanticheria alle soglie del sogno, distante secoli o ere, lontana universi. E pensare che invece è stato solo quest’estate… tutto era cosparso dal profumo dei gelsomini in fiore.<br />
Leggendo al flebile lume che il tuo maggiordomo mi offriva, ho lasciato cadere la valigia sottile che sempre porto con me. Era pronta per irrorare, una volta per tutte, il foglio candido delle tinte del tuo splendido corpo inondato d’amore. Quante mattine mi sono svegliata al tuo fianco, desiderando d’imprimerti così, nel tenue sonno fanciullesco e fra le lenzuola che a stento nascondevano le tue forme. Il mio corredo da disegno, precipitato al suolo! Un gesto così sconsiderato, ma così naturale… tremavo, lo ammetto, e non ho saputo più controllare altro che non fosse il battere delle mie ciglia per scacciare le lacrime. I miei pastelli, riversi a terra, sembravano da soli formare le tinte per un quadro di angosciosa bellezza, alcuni incrinati per la caduta, altri ancora mezzi infilati nella custodia del piccolo bagaglio. Hai distrutto un brandello della mia arte.<br />
Sai bene che le mie mostre, e i tuoi astrusi viaggi da scrittore, finiscono sempre per dividerci. I momenti passati assieme sono una perla di mare che resta perennemente nascosta nel suo ruvido guscio, per proteggerla, per renderla più intima e preziosa di quanto già essa sia. Non puoi vendere la nostra ultima perla così. All’aria, all’asta, lanciala giocoliere, più in alto, cosicché tutti gli interessati possano vederne i riflessi luccicare alla luce. Via, via, chi è il compratore migliore? Tu, vigliacco, che giaci nell’ultima fila, e offri il tempo per comprarla, offri un affetto insulso per una madre che non vedi da anni.<br />
Non sprecherò altre parole.<br />
T’inseguo.<br />
In capo al mondo.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-86564100099471508232011-01-14T21:19:00.004+01:002011-01-16T20:20:43.495+01:00I Can Wait Forever 3<span style="color: #ffb9ff; font-family: Bell MT; font-size: medium;">La corrispondenza continua. Il secondo capitolo, ovvero la risposta, lo trovate <a href="http://eonisilenti.blogspot.com/2011/01/i-can-wait-forever-2.html">sul blog di Vincenzo</a>. <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/2011/01/i-can-wait-forever.html">Qui</a>, sul mio, il primo.</span><br />
<span style="color: #ffb9ff; font-family: Bell MT; font-size: medium;"><img height="307" src="http://fc01.deviantart.net/fs71/i/2010/257/9/7/for_the_love_of_writing_by_teaphotography-d2jhnhx.jpg" style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto;" width="435" /> </span><br />
27/01/1823 – Seconda lettera al mio amato<br />
<br />
Caro. Sto partendo… sto tornando.<br />
Il paesaggio che mi dice addio è di una struggente bellezza. La neve, nella notte buia, ha tinteggiato i prati sporchi del suo velo adamantino. L’aria è frizzante, pizzica appena il naso, e ne sento la frescura sotto le mie dita, infagottate in umidi guanti di raso. Vorrei carezzare queste dolci colline, ma è tardi… era tardi, quando vi ho dovuto dare l’ultimo saluto. E tuttora rimpiango di non essermi svegliata, nottetempo, per meravigliare per l’estrema volta la mia mente, con il lento discendere dei fiocchi e il loro danzare fra i bagliori di luna. Un giorno ti porterò con me, un giorno, fra questi boschi incantevoli, giocheremo a rincorrerci. Mi sbroglierai le gonne dai rami, quand’esse vi s’impiglieranno, birichine come i miei pensieri?<br />
Una cameriera stamane è arrivata trafelata che già, triste, avevo posato il primo piede sul predellino della carrozza. Mi ha consegnato la tua lettera. Non posso non immaginare cos’avrei perduto e lasciato indietro, se non avessi indugiato quell’attimo in più a rimirare ciò che ero prossima ad abbandonare. Avrei dimenticato anche una parte preziosa del mio amato cuore!<br />
Ora ti scrivo che i cavalli si muovono ad un allegro trotto, e se porto lo sguardo oltre la finestrella posso ammirare le campagne scorrere mute e solitarie al lato della strada. Che sciocchezza che sto facendo! Ho appoggiato una delle valigie in grembo e ivi, in fretta, vi ho aperto il calamaio e la penna, la pergamena stesa… non oso pensare a come s’imbratterebbe il mio vestito, se un incauto dosso scaraventasse tutto all’aria! Ma questo e altro, tutto, tutto per la gioia e la prontezza che mi porta a scriverti ancora.<br />
Non so quanto durerà il viaggio. Forse rimarrò giorni senza la possibilità di comunicare con te: quest’amara riflessione mi strugge, il pennino tentenna al tremore della mia mano. Mi sento indifesa, senza le tue braccia a cingermi… e a sussurrarmi poesie.<br />
Le tue poesie… sei l’unico che in una manciata di parole sa infiammarmi le membra, spezzettarmi l’anima, e poi raccogliere il tutto per creare una composizione solo tua: la mia vita rimodellata, una statua dagli occhi socchiusi in estasi.<br />
<br />
Post scriptum: nel viaggio di ritorno mi fermerò alcuni giorni – meno di una settimana, in ogni caso – nella dimora di Madame Leroy, una mia vecchia conoscenza, per riprendere le forze. Il viaggio è lungo, e non me la sento di affrontarlo tutto d’un fiato: lei abita a Namur, quindi lungo la strada, ed è tanto che mi prega di farle visita. Spero che questo ulteriore ritardo non ti faccia spiacere.Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-33748111832943082452011-01-11T22:00:00.001+01:002011-01-15T19:20:42.557+01:00I Can Wait Forever<p><font color="#ffcaff" size="4" face="Bell MT">Un piccolo pensiero, una lettera che, in fin dei conti, parla molto di me. E quella nella foto qui sotto sono io, in effetti, mentre scrivo ^^</font></p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRws12KFZeYh9lM83321gpAyAXPzJ5yt-qWUQsHOTo0WwYvj6SRxMs1DgOwErJIcyW9RdeHQ4cVuhMPi2mutdmXGymmso-4rF1R_QbDg0Zp47x0A0kYjeLJbvoyC8dg-7as6fihPt8NVBA/s1600-h/22122010799%5B5%5D.jpg"><img style="border-right-width: 0px; display: block; float: none; border-top-width: 0px; border-bottom-width: 0px; margin-left: auto; border-left-width: 0px; margin-right: auto" title="22122010799" border="0" alt="22122010799" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1Wy8jJMD2H5xoj95kzGNezIapkZzOVScFaVxDbwW7TcTWFr4ZxicJ0B4Jm2TA7zXL9P2_5HPBhKXj8MB7s7BMcf6wJitDLIPhvn_rPLp5sETrWz9DVeLlmgq66JKA5VS803MtXTWIoims/?imgmax=800" width="419" height="318" /></a> </p> <p>23/12/1822 – Lettera al mio amato</p> <p> </p> <p>Oggi, in qualche parte del mondo, è il compleanno di qualcuno. Forse il tuo.</p> <p>Scrivo su un tavolo minuto che non mi è mai appartenuto, e che per caso s’è trovato in questa stanza dove sommariamente soggiorno. Il letto è a due posti, ed è strano addormentarsi da sola in questo vasto spazio, con coperte calde e morbidi cuscini che nella notte prendono forme umane, ma non mi abbracciano. O, almeno, non lo fanno come lo facevi tu.</p> <p>Al nostro addio, ci siamo detti che nessuna distanza avrebbe potuto dividere i nostri cuori. L’uno nell’altro, mano nella mano, sangue che scorre in due vene di due corpi diversi, ma che – disgrazia! – è lo stesso, condiviso come una caramella fra due bambini. Ogni goccia mia ha sapore di te.</p> <p>Oggi mi sono tagliata. Un piccolo graffio sull’indice, sottile. Colpa del gatto. Ed è sgorgato un po’ di sangue, sai? Ma non sapeva di te. Era aspro, acido, era solo mio, era qualcosa d’estraneo a ciò che ero abituata a condividere.</p> <p>Posso aspettare. Posso aspettare di sentire di nuovo quella dolcezza scivolare fra il liquido rosso, e avvolgermi del suo incantevole odore. Ma intanto… ogni giorno senza di te – senza te con me – è come un coltello che va a recidere sempre la stessa ferita, e apre cascate acidule da cui non vorrei mai attingere vita.</p> <p>La sedia da dove ora ti scrivo è un semplice sgabello in legno, la parte superiore rivestita di un cuscino duro e ruvido al tatto, color panna. Odio quel giallognolo che mischiano dappertutto, è un colore così obsoleto! Rivoglio la mia stanza acquamarina, quella che condividevo con te. E rivoglio quello specchio sottile in cui apparivo così fantastica, come lo eri tu quando mi sedevi al fianco e mi carezzavi la schiena, dolcemente, un ricordo cui per ora non desidero rimembrare. Altrimenti finirei per disperarmi ancora.</p> <p><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://fc07.deviantart.net/fs8/i/2005/279/a/6/The_last_love_letter_by_moOnxinha.jpg" width="334" height="209" />Qua lo specchio è un enorme lastrone posto in fronte alla scrivania, e ogni volta che alzo lo sguardo dalla pergamena vedo il mio volto deturpato dalla solitudine. Le guance incavate sotto il naso, che seguono lunghe curve fino ai bordi delle labbra, perennemente rivolti al basso. Gli zigomi sembrano ancora più appuntiti di come lo sono di solito, e il viso è gonfio, gonfio di dolore e della cioccolata che mangio. Divoro tutto, perché ho paura che la mia bocca, nell’astiosa brama di muoversi, cerchi altre lingue cui concatenarsi. Che pensiero stupido. Sono solo golosa. Golosa di qualcosa che s’avvicini al sapore del tuo collo, delle tue labbra, del tuo corpo…</p> <p>I miei stessi capelli sono spenti. Vorrei che ci fossi tu a pettinarmeli; perché, ricordi? Ti dicevo che erano troppo lunghi, ma tu non volevi che li tagliassi, e allora mi venivi alle spalle, mi toglievi delicatamente la spazzola dalle mani e prendevi a lisciarmeli fino in fondo alla schiena. Eri così leggero che quasi non sentivo il tuo tocco, e i nodi restavano lì dov’erano perché temevi di farmi male, eseguendo più pressione del dovuto. Nodi che creavano un groviglio imbarazzante, invero, però quanto mi mancano, ora!</p> <p>Posso aspettare a lungo, forse per sempre… e chiedermi quanto durerà questo maledetto viaggio lontano da te. Non ho nemmeno un ritratto che riassuma i tratti del tuo volto. Non ho avuto il tempo di fartelo. Deplorevole, non credi? È che ho paura di uccidere la tua bellezza, se solo cercassi di riprodurla con le mie mani grossolane, poco gentili. Tuttora ho paura, di cosa non so.</p> <p>Mi sento come una margherita: m’ama, m’amerà ancora, davvero m’ama ancora? E intanto sfiorisco. Deliziosa, mi ritroverai che sarò solo un gambo! Un tuo bacio, solo uno, e sboccerò di nuovo. È una promessa.</p> Unknownnoreply@blogger.com5tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-3533511954260540632011-01-11T21:52:00.001+01:002011-01-11T21:52:41.000+01:00Il Cacciatore di Bolle<p><font color="#ffbfff" size="4" face="Bell MT">Per Clarissa.</font></p> <p><a title="http://fc01.deviantart.net/fs71/i/2010/129/e/7/bubble_tree__by_m0thyyku.jpg" href="http://fc01.deviantart.net/fs71/i/2010/129/e/7/bubble_tree__by_m0thyyku.jpg"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc01.deviantart.net/fs71/i/2010/129/e/7/bubble_tree__by_m0thyyku.jpg" /> </a></p> <p>Una scia di bolle si riversa nell’acqua, due, tre, quattromila lucide sfere che scompaiono e ricompaiono fra i flutti, e che inneggiano battaglia con la spuma biancastra loro compagna. Le si può vedere, dietro la barca, che continuano a rendere il mare uno smeraldo rilucente, bolle che sono i picchi brillanti delle sue oscure sfaccettature. Man mano che l’imbarcazione s’allontana con il lento rollare dei remi, anche loro spariscono alla vista, eppure, là, all’orizzonte dove la spiaggia diventa sempre più una striscia d’ignoto, uno sfavillare improvviso fa pensare che ce ne siano ancora. Per quanto tu le possa scacciare, per quanto questa scia possa perdersi fra le sue acque salmastre, un gruppo di bolle spavalde segnerà il cammino. E ne porterà il ricordo, come ogni bolla è un sogno che, al suo scoppiare, s’interrompe e si acquieta fra le lande del suo onirico mondo.</p> <p>Seguendo il flusso al suo nascere, laddove i due filamenti schiumati d’iride s’incontrano in un solo punto, sulla chiatta si scorge un giovane uomo. Il sole di mezzogiorno batte sui suoi capelli indorati, tanto da rischiararli ancora e bruciarli nel caldo tempestivo di una primavera precoce.</p> <p>I suoi occhi nocciola sono posati sul nulla, semichiusi, piccole gocce di sudore a truccarne le ciglia folte e a inasprirne la fronte liscia. Il ritmato remare pare non voler finire, un avanti e indietro delle solide braccia che non produce effetti, non ora che la visuale della terra è stata inghiottita, lontano, fra i rigurgiti delle onde, e l’instabile base su cui poggia la barca è una coperta fluttuante.</p> <p>Lo sguardo del ragazzo pare essere concentrato su un particolare che sfugge, qualcosa di incommensurabilmente distante, come solo il sospiro di un pensiero può essere. Intanto che il tempo scorre, una lumaca di mare nell’impotente scenario d’un acquario domestico, la fotografia di questo singolare mondo assume i contorni della stanchezza, della noia. E della voglia di sapere, e scoprire, cosa nascondono l’acqua e le tenere bolle che ne pervadono la superficie.</p> <p>L’uomo deve aver raggiunto il suo obiettivo, perché abbandona i remi di legno nelle incavature apposite, le punte che ancora sfiorano il pelo del mare in un solletico affettato, l’ombra delle loro forme affusolate che crea due chiazze più scure ai fianchi della chiatta. Quest’ultima è piuttosto piccola, tanto da sembrare una scialuppa di salvataggio di qualche veliero pirata, le stesse lastre lignee appaiono scheggiate in più punti e corrose dal sale, le cicatrici di numerosi, incantevoli viaggi. Nonostante tutto, la forma allungata della barca ne favorisce l’andamento veloce e la stabilità, come se inconsciamente non vedesse l’ora di frangersi sulle rive di nuove conquiste.</p> <p>Un mormorio s’ode a interrompere la quiete. Lo sciabordare, sottofondo gradevole, ormai scompare, le orecchie acuite a cercare questo suono inquieto e a non perdersene una nota; come un gabbiano affamato, l’udito rapisce la melodia dalle fameliche braccia dell’abisso e ne trangugia ogni impercettibile squama.</p> <p>«M’avevi chiamata, Cacciatore?»</p> <p>Ed eccola là, regina del regno, una sirena s’è sporta dalle profondità sue dimore. Poggia le braccia sul bordo della barca, nella metà precisa della sua lunghezza, dove il giovane per qualche istante l’aveva attesa, seduto. Un appuntamento galante si dipana fra le brame del cielo, complice la meriggiata odorosa di saline e di pesci quasi come i pantaloni blu stinto di un pescatore, e avvolge piacevole i due.<img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://fc07.deviantart.net/fs50/i/2009/258/c/9/How_To_Catch_A_Mermaid_by_allison712.jpg" width="306" height="406" /></p> <p>La sirena ha una coda lunga che si disperde e sfuma le sue tonalità nell’acqua che le lambisce i fianchi in una carezza effimera e suadente. Ma lo stesso le sue scaglie, finché è possibile scorgerle, attirano per la loro inconsueta lucentezza: un acquamarina misterioso, ma non solo quello, il verde delle alghe e il colore innaturale di un pesce luna, l’effimera sfumatura di un frantume d’ametista, ogni singolo brandello di pelle che racchiude un segreto proveniente dal mare.</p> <p> E lei li protegge, laggiù, tutti, come timidamente i capelli bagnati le proteggono i seni nudi, ricoprendoli dei loro boccoli castani.</p> <p>«Mia dolce». Lui che si sporge, seduto su una delle panche malandate del suo tristo vascello carico di barattoli. Stipati, di mille e mille dimensioni diverse, sotto ogni banco, nel ripostiglio chiuso a prua, e nell’ammasso informe sull’altra sponda malamente coperto da un velo plastificato marrone, sembrano vuoti, infagottati nel tappo che ne sigilla l’interno. Ricordano i vasetti di marmellata fatta in casa, le etichette collose slavate dai numerosi lavaggi che assieme alla confettura li rende appiccicosi e sgradevoli al tatto. Alcune contengono qualcosa, oppure è solo un raggio solare più audace degli altri che le cosparge di una polvere d’arcobaleno e lascia intendere, appena, una bolla incatenata all’interno delle ampolle dell’alchimista distratto.</p> <p>«Cosa vuoi, ancora?» gli occhi di lei, cosparsi dai brillanti di una mestizia sopita, s’inaspriscono con il tono di voce. <i>Mia dolce! Se è così amabile la memoria che porti di me, amami davvero come il mio cuore vorrebbe.</i></p> <p>«Dammi un tuo sogno» le si avvicina, fin troppo, tanto che il suo naso tocca quello della sirena, umido d’acqua e pallido, liscio come un frammento di rosa. Vuole, desidera quello che chiede, e la richiesta è quanto mai più simile a un ordine.</p> <p>«Dammi un tuo bacio» l’eco della sua voce femminile e famelica, un incanto cui nessuno di solito sa resistere. Nessuno tranne il Cacciatore di bolle, che resta impassibile, o forse solo irritato.</p> <p>E, infatti, egli si discosta, nonostante sia pronto a donarle ogni effusione lei gli chieda, pur di possedere un suo sogno. Ogni Cacciatore sa che non c’è niente di più prezioso della bolla di un respiro di sirena… «Respira, mia dolce, sotto quel velo d’acqua che t’ha fatto nascere». Ora il suo tono di voce è più sereno, ma quasi disperato nella pretesa.</p> <p>«Ah! Vorrei non averti ascoltato, quando mi abbracciasti quella prima notte di tanti anni fa. Non ho più sogni di cui privarmi». Distoglie lo sguardo, posandolo fra i flutti dove la sua coda teneramente sbatte per mantenerla in superficie. Il suo muoversi per un momento si quieta, quasi voglia lasciarsi annegare dalle onde e interrompere ogni discorso.<i> Tutti i sogni, se non uno… che quella notte, quando cominciai ad amarti, e m’amasti anche tu, continuasse per sempre.</i></p> <p>«So che, invece, ne hai ancora». Una certezza, come il sorriso vispo che per un istante gli avvolge il viso. Ogni Cacciatore sa quanti sogni esistono al mondo, ogni bolla è un sogno da catturare: conservarlo, e tenerlo al sicuro, non farlo scoppiare. «I tuoi sogni diventano eterni, se solo li dai a me,» una pausa, e poi, perentorio: «dammene un altro».</p> <p>«E tu, come li hai custoditi! Mi privi della possibilità di renderli vivi, non è questa una sofferenza di per sé atroce?» e infine la volontà ha il sopravvento, e davvero, in un battito di ciglia, la sirena scompare, solo un velo d’acqua increspato e una spruzzata di gocce a segnarne la partenza. Più giù, l’ultimo bagliore delle sue squame risponde all’arrivederci del lucore del sole. <i>E il sogno di quest’amore, non lo darò mai a nessuno. Poiché, già adesso, è solo puro dolore.</i></p> <p><em><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc08.deviantart.net/fs29/f/2008/052/c/8/c845c0eab3e8d3d4.jpg" /> </em></p> <p>Una lacrima nel mare riesce solo a renderlo più salato, e un pianto porta con sé il silenzio delle stelle che si gettano nel loro riflesso sull’acqua, fiocamente, un riverbero lontano. Di fronte alla distesa che balugina appena, un altro rischiararsi più recente sfoggia gocce di luce nella notte. Dagli edifici si scorgono le ombre del movimento all’interno delle finestre, varchi illuminati da lampade dal caldo colore giallino, e i lampioni delle strade punteggiano percorsi sconosciuti.</p> <p>Un sentiero si fa largo fra esso, buio, oscuro, la via per la solitudine: s’avvinghia ai viandanti sperduti, agli innamorati non corrisposti, alle madri in pena per qualcosa che non sanno descrivere, un presentimento, la nostalgia, un rimpianto nascosto.</p> <p>Il porto è incavato in una baia naturale, al di là di un promontorio su cui s’inerpica la cittadella. Poi, spiagge che degradano gradualmente nella riva, e lidi già chiusi, e nessuno di cui si scorgano le orme sulla sabbia battuta.</p> <p>«Perché piangi?» una voce soave, attutita dal traffico della parte abitata e dal lungomare in fermento. Diversi metri però dividono la confusione della gente dal tetro rifugio nei pressi della risacca.</p> <p>Il ragazzo, seduto sulla rena, alza gli occhi offuscati e cerca invano di ghermire nell’aria un volto, un ritratto, a cui accompagnare quelle parole. Ma il suo intuito è schiacciato dal peso della solitudine che, tempo prima, l’aveva ricondotto sul suo sentiero di sangue. Abbandona la ricerca, solo risponde: «Perché mi ero perso, e ora la mia vita m’ha ritrovato».</p> <p>«Non puoi smarrirti di nuovo, se questo è capace di renderti felice?» chiede ancora. Il giovane s’accorge che il timbro è vagamente femminile, e si trascina dietro un’eco affabile come il frusciare delle onde.<img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc05.deviantart.net/fs32/i/2008/199/2/0/Sit_back__relax_by_destructivemicrowave.jpg" width="305" height="212" /> </p> <p>«Non so il modo» tace per un istante, le labbra semischiuse per lasciarvisi insinuare un pensiero, una commiserata consapevolezza prima perduta, «non so più il modo». Ha una mano poggiata sulla fronte, a reggere una frangia sbarazzina del color dell’oro.</p> <p>«Comunque, hai perduto questo». Si sente il rumore di qualcosa di metallico sbattuto in terra, il clangore smorzato dagli sbuffi dei granelli di sabbia che si dividono per raccogliere in una conca l’oggetto. La voce continua, un’altra domanda: «Cos’è?»</p> <p>Lui prende il manufatto e se lo rigira fra le mani, un sorriso lieve che gli increspa le labbra. Fra i palmi sente un manico lungo e legnoso, e alla punta quella rete dalle trame vicine, una pellicola viscosa e lievemente appiccicosa come la tela di un ragno, tesa a unire gli spazi fra i filamenti. Sotto i piedi nudi, avverte d’improvviso l’acqua fresca della sera lambirgli le dita. Quando si era seduto, era ancora il tramonto, e la marea non era così alta. «È il mio retino acchiappa-bolle». L’altra gli risponde con una risata cristallina, e il lieve battere di qualcosa… gli ricorda la coda di un pesce che s’agita sul bancone di un pescatore. «Cosa ci trovi di tanto ridicolo?». Fa lui, sprezzante.</p> <p>«Niente», dice la donna, ma il richiamo del suo riso le rende le parole tremule e acute. «Dimmi, Cacciatore, cosa ci trovi tu di tanto bello nell’acchiappar bolle?».</p> <p>Il ragazzo sussulta sentendo una mano bagnata agguantargli il braccio sinistro in una stretta delicata. Volta il viso in quella direzione, e i suoi occhi incontrano quelli di una giovane che gli sta sorridendo. Nella luce delle stelle, vede un bagliore tentennare sulle sue pupille, ma i colori sono sfocati, persi in un gioco di flebili chiaroscuri e blu intensi. Si lascia catturare da quello sguardo marino, e comincia a parlare: «Trovo sogni. Li conservo» si ferma, come cercando di trovare una via semplice per racchiudere il tutto, e scacciare la confusione dal volto di lei. Le loro mani ora sono intrecciate, e il suo profumo salato gli inebria la mente. </p> <p>«Sono… un Cacciatore di bolle. Ogni bolla è un sogno, e quando essa scoppia anche il sogno scompare, forse per una dormita interrotta, lo svegliarsi da un incubo, la fermata del treno tanto atteso che di colpo arriva troppo presto. Una sveglia che ti scuote di prima mattina» viene impadronito da un tentennamento breve quanto un respiro preso, profondo, a incanalare nei polmoni l’aria fresca della calma serata estiva. «C’è qualcosa di affascinante nel rubare quei sogni prima che scompaiano del tutto.»</p> <p>«Cacciatore! Ladro, invero. Che te ne fai, di tutti questi sogni?» la fanciulla è incuriosita, e a ogni verbo pronunciato si fa più vicina, attratta da lui, uno sciabordio sommesso che accompagna ogni sua mossa.</p> <p>«Li conservo» di nuovo lo stesso termine, per descrivere il suo compito, il suo inafferrabile gioco. «Ho delle ampolle in cui le bolle non potranno mai rompersi. Dovresti vederle, nello scantinato, tutte insieme danno l’impressione di un magazzino angelico. Un tocco di luce e ti trovi sommerso in un arcobaleno abbagliante. I sogni lì saranno eterni, mentre le persone a cui li ho sottratti continueranno a vivere normalmente… senza di essi».</p> <p>«È crudele» sussurra lei, e il suo respiro arriva a sfiorargli la guancia in un tenero tocco.</p> <p>«È normale. Non puoi interrompere un sogno. I sogni sono qualcosa di speciale, di fragile. Vanno tenuti al sicuro, lontano da chi non ne comprende la vera importanza, da chi non ne apprezza la frangibile bellezza». Un velo di malinconia si posa sul tono del giovane.</p> <p>«Parlami delle bolle, invece. Sono solo semplici bolle! Ne esisteranno a miliardi, nel mondo, troppe per essere tutte sogni» l’incredulità di lei è tangibile nell’aria.</p> <p>Il ragazzo cerca il suo sguardo. «Forse non sogni abbastanza».</p> <p>«E tu? Hai ancora qualche sogno?».</p> <p>«Non ne ho mai avuti».</p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc01.deviantart.net/fs7/i/2005/198/a/1/Dive_by_nxxos.jpg" width="377" height="537" /> </p> <p>Esistono tanti tipi di bolle, ognuno per una specifica varietà di sogno. Il ribollire dell’acqua in una pentola per cuocere la pasta, le bollicine dello sbrodolare di un bambino o quelle che spuntano su una pozzanghera mentre piove. Il bagnoschiuma in una vasca, il sapone fatto apposta per le bolle. Il respiro di qualcuno sott’acqua.</p> <p>Il respiro di una sirena.<i> Quanti le ho già rubato? Quanti ne ho mozzati, con i miei baci, e le bolle che mi ha donato?</i></p> <p>Il Cacciatore si getta nel mare, dietro alle ultime chiazze di colore che rivelano la presenza di lei. Nuota, per quanto sa, fino in fondo agli abissi, il fiato che gli manca in gola ad ogni apertura delle braccia in più, ad ogni grado di temperatura che s’allontana come la macchia indistinta del sole sopra di loro.</p> <p>Ricorda il sapore del bacio che quella notte si scambiarono, sotto un cielo privo di luna, e i sogni che cominciò a rubarle da allora, da quando s’accorse di quella sua natura gentile e stupenda. Ricorda il sapore della sua pelle, che in quegli anni non è mai cambiato, fresco come il succo di una noce di cocco, salato e piacevole come un riccio di mare. Prezioso come una rara conchiglia.</p> <p>Sempre più in basso, a caccia di un sogno. E il paesaggio, quest’acqua inconsuetamente gelida che perfora i pori del viso e pizzica le mani, è davvero da sogno. Si estende, placido, in ogni direzione, e avvolge tenero, una coperta che leva i sensi e intorpidisce le membra, e guida a un sonno vicino.</p> <p>Le sue braccia lo circondano, anche se non sa da dove è spuntata. Fino a un attimo prima sembrava così distante, sembrava che l’avesse persa, e il Cacciatore non voleva che perdersi con lei. Ma ora la sirena lo sta abbracciando e lo stringe forte, il calore del suo petto che con il contatto si diffonde nel suo corpo infreddolito.</p> <p>Vede le bolle del respiro della donna creare un vortice attorno al suo volto, mischiarsi con i batuffoli dei capelli castani sparsi tutt’attorno e salire in un vortice verso l’alto. Piccole, incredibilmente pregiate, perle rilucenti dell’ultimo sogno della sirena. E nel loro baluginio d’arcobaleno, scorge uno specchio di loro due, quella notte, e per tutti gli incontri a venire, un diorama di ogni bacio e ogni carezza, e ogni tenero contatto.</p> <p>Un sogno non eterno, forse il più debole e fragile che avesse mai cercato di racchiudere nelle sue ampolle malandate. Se solo non fosse stato un Cacciatore, se solo avesse potuto averne, è certo che quello sarebbe stato un sogno anche suo. E, quando l’ultimo respiro gli sfugge dalle labbra, negli occhi già socchiusi a lasciarsi smarrire dal sonno, una piccolissima bolla s’innalza danzando a confondersi con quelle di lei.</p> <p></p> <p></p> <p></p> <p></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc09.deviantart.net/fs43/i/2009/059/b/6/Anyone_would_drown_by_Saphitri.jpg" width="443" height="462" /></p> Unknownnoreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-77837799367877835962011-01-10T23:34:00.001+01:002011-01-13T13:54:06.517+01:00The Olde Village Lanterne<p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Salve lettori! Spero abbiate passato buone feste :)</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Io sono andata in Polonia come accade ogni anno a trovare mia nonna e i miei parenti, da qui spiegata la mia lunga e prolungata assenza. A dire il vero, sono tornata solo stasera.</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Avevo preparato un post con un racconto natalizio (non poteva mancare!), programmando la pubblicazione per la mattina del 25 Dicembre. Non avevo la connessione internet in Polonia, se non in rari casi in cui davo sparute sbirciatine alla posta elettronica, perciò non potevo controllare se aveva postato tutto regolarmente o meno. Ora torno e vedo che, a quanto pare, qualcosa deve essere andato storto.</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Poco male! Anche se il Natale è passato e si riprende la solita routine, confido che voi abbiate quel pizzico di nostalgia necessario per leggere questo racconto pubblicato in ritardo. Perché voi lo volete leggere, non è vero? ^^</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Inoltre si tratta della Fan Fiction su Merlin che vi citai qualche post fa, e con cui ho partecipato a un <a href="http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9438669">Contest</a>. Sono arrivata quarta classificata (e ne sono pienamente soddisfatta, per il lavoro che ho fatto) e inoltre ho avuto il Premio Originalità, cosa che non mi aspettavo affatto. In effetti quando scrivevo il racconto ho sempre pensato che tutto ciò che mancava fosse proprio l’originalità… in ogni caso ci ho messo davvero tanto impegno, e la trama riempie diverse pagine, quindi è anche una storia un po’ lunga.</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT"><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://oi54.tinypic.com/2exqav7.jpg" /> <img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://oi55.tinypic.com/2cfbjt4.jpg" /> </font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">La Fan Fiction prende spunto da una canzone dei Blackmore’s Night (il cui video vi posto alla fine del racconto), da cui la storia prende anche il titolo e le cui citazioni si interpongono fra una scena e l’altra. Spero vi piaccia… di mio in queste settimane di isolamento da pc ho scritto un racconto (Clarissa? “Il cacciatore di bolle” è pronto, un’ultima vista e lo vedrai postato, come promesso) e qualche altro appunto, in modo da prepararvi alcuni post interessanti nei prossimi giorni.</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">Buona lettura!</font></p> <p><font color="#ffc1ff" size="4" face="Bell MT">P.S.: stavolta niente immagini, sono sfinita e il post è già lungo di suo ;)</font></p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://www.alexp.eu/alex/wp-content/uploads/2010/11/merlin1.jpg" width="459" height="263" /> </p> <p>Flebili fiocchi di neve cadevano su Camelot. Erano piume d’angelo strappate attraverso lampi di magia, e disperse, come grano su un terreno da poco arato, come chicchi gettati da mani di nuvole ed aria. Si riversavano dal cielo di bianco dipinto, trascinate dalle correnti, poggiandosi sul terreno col rumore di un bacio caduto. Una coltre adamantina che si posava dolcemente sull’altura della città e sui terreni vicini, portando con sé un’aria fresca e gioiosa, un’aria di festa. La brezza si spargeva gelida, accogliente fra le gocce gelate di cui la volta celeste la rivestiva, limpida come solo in inverno può accadere. Ogni suono si ripercorreva di mattone in mattone, di pietra in pietra delle costruzioni paesane, cristallino e ridente.</p> <p>Per la festività, ad ogni capanna era stata appesa una lanterna in ferro battuto, che anche in pieno giorno era accesa della sua accogliente e calda luce. Ogni abitazione aveva il suo piccolo faro d’allegria e speranza, la fiammella che vibrava e danzava, rifuggendo gli spifferi di vento che tentavano di spegnerla attraverso le minute fessure dell’intelaiatura. Ogni tanto si udiva anche lo sferragliare momentaneo del metallo, che sfregava contro il gancio a causa di una raffica più audace delle altre. Da lontano, i lumi parevano spiriti appostati ad indicare il sentiero, seduti fra la paglia di un tetto o su un barile rovesciato, oppure ancora aggrappati a un’asta, i piedi a sfiorare le cataste di legna per i camini.</p> <p>Nelle strade, i bimbi erano una fiumana che si spandeva, sempre in corsa verso la felicità; talvolta picchiettavano ruote di ferro con un bastone stretto in mano, usando la stessa foga di un fabbro alle prese con un ferro di cavallo e un’incudine. E anche i cerchi volavano come i loro piedi lesti e agili, galoppavano giù per le strade, lasciando un’orma continua e ondulata sulla terra imbiancata da poco.</p> <p>«Milady, attendete!» una giovane serva rincorreva ridendo una fanciulla. Si muoveva velocemente per le vie della città bassa, superando i bambini e le case, lo sguardo in avanti per non perdere di vista la padrona. Le mani alzavano appena la povera veste per evitare che strusciasse in terra e intralciasse il cammino, il tessuto grinzoso che si ripiegava zuccherato in mille e mille onde giallo oro.</p> <p>«Gwen, che meraviglia, ha cominciato a nevicare!» la donna fuggente si fermò, voltandosi verso la compagna, il fiato che le si condensava a poco dal viso per il gelo. «Non ricordo quand’è stata l’ultima volta che la neve si è posata su Camelot prima di Yule» aggiunse, e alzò le mani nude al cielo. Fece un giro su se stessa, i batuffoli ghiacciati che la ricoprivano di brillanti colorati d’arcobaleno, e s’intersecavano ai suoi capelli corvini intingendoli di gocce d’inverno. Frammenti rilucenti come diamanti s’incastrarono anche sulla pelliccia bianca di volpe che le proteggeva le esili spalle. «Mio padre diceva che, quando nevica a questa maniera, sono gli angeli del cielo che dall’alto sbattono i loro piumini dopo una notte di sonno».</p> <p>«Sì, ma così vi sporcherete tutto il vestito, e gli angeli non ve ne regaleranno uno nuovo. Stasera avete la cena con il re, non avete tempo per cambiarvi, e vi devo ancora preparare l’acconciatura» Gwen le arrivò vicino che già la rimproverava dolcemente, il fiato grosso per la corsa e il volto appena aggrottato dall’apprensione, che subito si distese in un sorriso. Morgana era felice, e solo questo, per ora, contava.</p> <p>La nobile le prese delicatamente le mani, guardandola con fare affettuoso «Non ti struggere. Faremo in tempo, e un po’ di ritardo non farà di certo arrabbiare Uther».</p> <p>«Certo, è solo la vigilia di Yule. E a Camelot stanno venendo solo i più grandi re e principi di tutti i regni confinanti» mormorò la serva, «e voi mi dite di non preoccuparmi…» ma Morgana era già avanti, a perdersi fra i giochi della prima neve, a carezzare volti di piccoli e a rincorrere il nulla, una musica lontana che si spandeva nell’aria.</p> <p><i>“The olde village lanterne <br />Is calling me onward <br />Leading wherever I roam <br />The olde village lanterne <br />A light in the dark <br />Bringing me closer to home”</i></p> <p><i>[La vecchia lanterna del villaggio <br />Mi sta chiamando in avanti <br />Dominante ovunque io vada <br />La vecchia lanterna del villaggio <br />Una luce nel buio <br />Che mi porta più vicina a casa…]</i></p> <p><em></em></p> <p>«… di pace, serenità e,» Uther Pendragon bloccò il suo discorso, sentendo le porte del salone del castello aprirsi con il loro clangore inconfondibile. Ne entrò una guardia che fece pochi passi all’interno e poi si fermò, profondendosi in un inchino.</p> <p>«Avevo chiesto di non disturbare la cena» disse il re, stizzito, una vena di preoccupazione nella voce al pensiero di cosa avrebbe potuto costringere la sentinella a irrompere nella stanza.</p> <p>«Mio signore, volevo annunciare l’arrivo di lady Morgana» il soldato tornò indietreggiando al suo posto davanti al portone, che richiuse non appena la ragazza fu entrata. Per un secondo gli sguardi di tutti i convitati furono puntati su di lei, attratti dalla bellezza e dal contegno che sprigionava la sua figura. Un lungo abito violetto ne avvolgeva le forme sinuose, stringendosi sulla vita sottile con una cintura intarsiata d’oro e ametista, la gonna che si apriva in numerosi veli dalle tonalità del mare di notte, dei glicini e delle lavande, delle orchidee e della porpora più scura. I capelli erano stati raccolti dietro il capo con una spilla in modo da lasciarle il volto scoperto, e una poinsettia irradiava le sue tonalità rosse rubino dal lato destro del capo.</p> <p>L’avevano attesa per lunghi minuti, dopodiché Uther aveva deciso di cominciare anche senza la sua presenza. Già si dubitava della sua partecipazione, e alcuni cortigiani avevano ipotizzato pettegolezzi e dicerie il cui dilagarsi fra gli invitati non s’era fatto attendere. Ma ora era qui, splendida portatrice d’incanto.</p> <p>«Scusate, padre, scusate tutti voi» pronunciò, il capo chino e le mani giunte in grembo in segno di spiacere.</p> <p>«Credevo non saresti più venuta» fece notare l’uomo, duramente, quindi le fece cenno di posizionarsi sullo scranno vuoto al suo fianco.</p> <p>Il salone era un enorme vano diviso in tre navate da colonnati in tufo semplice. Nelle navate laterali, più piccole, erano stati posizionati i servitori di ciascun convitato, che prendevano parte al banchetto stando in piedi o su delle panche addossate alla parete. Al centro, invece, delle lunghe tavolate erano state disposte a ferro di cavallo, con la famiglia reale di Camelot posta sul lato più breve che fronteggiava il portone in ebano.</p> <p>«Allora, sì» continuò Uther, cercando di riprendere ciò che si era interrotto, «stavo appunto affermando come questa cena abbia l’intento di portare al nostro, e ai regni confinanti, un periodo di pace e serenità. D’altronde Yule è sempre stata definita una festa magica, pagana, e il mio impegno è di debellare non la festività in sé, in quanto radicata nella tradizione del popolo e della stessa corte, ma distruggere la sua celebrazione malsana. È per questo che, per stasera, due turni di guardia si divideranno per tutta la città, imprigionando chiunque venga sorpreso a compiere atti malefici di spudorata magia. Yule deve continuare a vivere come una festa innocua, e non malefica. Perciò buona cena, miei cari, e che la mia lotta al male possa, col vostro consenso, continuare imperterrita e vincente» al concludersi delle parole del re, i commensali brindarono, e in un attimo un centinaio di calici dai riflessi dorati e d’argento si portarono alla bocca di ognuna delle persone presenti in sala. Ogni coppa riluceva dei bagliori inviati dalle numerose lanterne e torce appese a intervalli regolari sulle pareti in pietra del castello, creando un gioco di fasci luminosi che rendeva l’ambiente festoso e piacevole.</p> <p>Tutti sedettero e, fra risa e chiacchiere scoppiate d’improvviso dopo il silenzio del discorso di Uther, presero a consumare le numerose pietanze portate dalle cucine. Da un angolo cominciò a dipartirsi una musica allegra e gioviale. Alcuni musicisti, fra cui spiccavano un suonatore di ghironda e una giovane che strimpellava una chitarra, avevano attaccato un movimento d’introduzione al banchetto. Una ragazza dai lunghi capelli biondi e mossi avanzò di qualche passo sulla pedana rialzata riservata ai musicanti, e intonò il suo canto ammaliante e delizioso, una voce che avrebbe accompagnato, soave, l’intera cena.</p> <p><i>“Some choose to fall behind <br />Some choose to lead <br />Some choose a golden path <br />Laden with greed <br />But it’s the noble heart <br />That makes you strong <br />And in that heart, I'm with you all along...”</i></p> <p><i>[Alcuni scelgono di restare indietro <br />Alcuni scelgono di guidare <br />Alcuni scelgono un sentiero d’oro <br />Gravido d’avidità <br />Ma è il cuore nobile <br />Che ti rende forte <br />E in quel cuore, io sono con te da sempre…]</i></p> <p><em></em></p> <p>«Giornata pesante, Uther?».</p> <p>Nella semioscurità della sua stanza, il re si stava preparando per andare a letto. La stanchezza, dopo la fine dell’estenuante cena, si era riversata sui suoi occhi come un manto, un panno steso sul corpo di un morto: irreversibile, impossibile tentar di riaprire le palpebre che sempre più ardivano a chiudersi e avvolgere tutto nell’ineluttabile oscurità del sonno. Era stata una giornata lunga, sfibrante, e i postumi della fatica avevano investito il re tutti in un momento, quasi a ricordare la sua età avanzata.</p> <p>Una voce però lo riscosse dai suoi pensieri rivolti alle lenzuola calde, un sussulto che gli percorse le membra. Quel suono era così familiare alle sue orecchie, che gli occhi cercarono subito il viso pallido di una donna, e i suoi capelli raccolti in ciuffi come serpi lacustri emerse da un lago.</p> <p>«Nimueh» sussurrò l’uomo. La strega era comparsa vicino a una delle colonne del baldacchino, e ne sfiorava la tenda di raso amaranto con la mano sinistra. Le sue labbra contornate di un rosso scuro erano aperte in un sorriso devastatore, le sopracciglia inarcate come quelle di chi sa cosa cerca, cosa vuole.</p> <p>«In persona» rispose lei, avanzando di poco. Le sue vesti, delicate e dello stesso colore di un acero giapponese, frusciarono appena fra gli sfregiati tagli e strappi nella parte bassa dell’abito.</p> <p>«Dimmi cosa ci fai qui. Non ho tempo da perdere in chiacchiere» Uther non staccava lo sguardo da quello della donna, la ragione persa fra ricordi tristi, sconvolgenti. Non voleva lasciare che si prendesse gioco di lui, non di nuovo, e intanto rimaneva immobile vicino alla cassapanca su cui aveva appena posato la cintura con la spada. Qualche membro della servitù aveva avuto l’accuratezza di poggiarvi sopra un vaso pieno di ellebori freschi, che spargevano nella camera da letto il loro lieve profumo.</p> <p>«Ho assistito al tuo piacevolissimo discorso di prima, al banchetto» cominciò con tono neutrale Nimueh, «questa volta hai davvero superato te stesso. Tramutare Yule in una semplice festa per comuni mortali… lodevole».</p> <p>«Ho fatto ciò che dovevo, sai bene che non tollero la magia, non qui a Camelot».</p> <p>«Sai che a Yule noi Sacerdotesse della Religione Antica usavamo fare dei doni?» chiese d’un tratto Nimueh.</p> <p>«No, ne ero all’oscuro» Uther parve per un secondo corrucciato, non riuscendo a capacitarsi di cosa l’altra avesse in mente. La stanza era illuminata solo da qualche raggio di luna che penetrava dall’ampia vetrata posta alle spalle del re, e illuminava di un’ombra tetra la strega. «Ma non vedo come questo possa avere a che fare con il nostro rapporto».</p> <p>«Uther, sei così solo ormai. Pensavo di farti un dono» così dicendo si spostò verso la finestra a volta, che dava sul cortile interno del castello, «un dono speciale».</p> <p>«Temo i nemici anche quando portano doni».</p> <p>«Io ero tua amica».</p> <p>«Da quando Ygraine è morta, non lo sei più, Nimueh».</p> <p>Seguì un lungo silenzio, in cui i due si studiarono, fuggendo l’uno lo sguardo dell’altro. Il re attendeva solo che la strega se ne andasse, o almeno dicesse esplicitamente cosa stesse cercando di ottenere da lui. Ma non osava chiederglielo di persona, e intanto taceva, mentre fuori ricominciava a nevicare.</p> <p>Una neve sterile e sottile cadeva dal cielo, e andava a posarsi sul manto più compatto delle nevicate precedenti. Nella notte, anche quei fiocchi freschi si sarebbero ghiacciati, rendendo il lastricato del cortile e delle strade un’unica lamina scivolosa. I soldati di Camelot non avrebbero potuto usare i destrieri ancora per alcuni giorni.</p> <p>«Morgana ama la neve» proruppe la donna, d’improvviso.</p> <p>Uther rimase sorpreso da questa sua affermazione fuori luogo. «Non ne ero a conoscenza…».</p> <p>«Perché non le presti abbastanza attenzione. Così tanto impegnato a combattere la magia! La tua figliastra sta crescendo, e il tuo unico pensiero è che sia viva come avevi promesso a suo padre».</p> <p>«Basta!» rispose infuriato, interrompendola, «non puoi venire qui a rimproverarmi per quel che decido di fare, né tanto meno se ciò interessa Morgana».</p> <p>«Che maleducato… nemmeno a saper reggere una conversazione normale. Bene, Uther, sta’ attento. Per Yule, domani su Camelot…» cominciò a proferire la donna.</p> <p>«Taci, strega!» l’uomo le si fece vicino con fare minaccioso.</p> <p>«Domani, su Camelot, nevicheranno incantesimi».</p> <p>Nimueh scomparve, e così anche l’ultimo urlo disperato del re si perse dietro i fumi della sua promessa di dono. «Sta’ lontana da mia figlia».</p> <p>Ma la donna era già distante, chissà dove. Uther si lasciò cadere sul letto, affondando nella morbidezza del materasso. Ogni sera, sentirlo così vuoto gli ricordava Ygraine, e, ogni sera, una lacrima solitaria gli solcava il volto. Stavolta, nella stessa goccia d’oceano, due volti femminili si condividevano il dolore del re. Ygraine, Morgana, Ygraine. Maledetta Nimueh.</p> <p><i>“Don't shed a tear for me <br />I stand alone <br />This path of destiny <br />Is all my own <br />Once in the hands of fate <br />There is no choice <br />An echo on the wind <br />You'll hear my voice...”</i></p> <p><i>[Non lasciar cadere una lacrima per me <br />Io resisto da sola <br />Questo sentiero del destino <br />È tutto mio <br />Una volta nelle mani del fato <br />Non c’è scelta <br />Un’eco nel vento <br />Sentirai la mia voce...]</i></p> <p><em></em></p> <p>Si sentì il dolce suono di un paio di calici che si scontravano fra loro. Il rumore dilagò per la grotta come un liquido versato su un tappeto, impregnando ogni fessura della sua voce cristallina e felice. Le stesse gemme vermiglie, incastonate sul manico in vetro, spandevano la loro calorosa luce. Un richiamo che, lento, veniva sussurrato di candela in candela, di torcia in torcia, ogni fiamma che tremolava quasi stesse cantando la stessa melodia delle altre.</p> <p>L’antro era, per una volta l’anno, luminoso e caldo, benché restasse per lo più spoglio com’era sempre stato. Pareva però aver abbandonato la sua veste sobria e melanconica, cercando di preservare la scintilla del Sol Invictus e cullandosi in essa.</p> <p>Nimueh era seduta in braccio a un uomo e reggeva con una mano un bicchiere colmo di vino rosso, mentre con l’altra attorcigliava al dito i ricci biondo cenere del compagno. Sorridevano entrambi, sorseggiando ogni tanto dalla coppa.</p> <p>«Il fuoco ha deturpato il tuo viso, Edwin… ma l’altra metà è di una bellezza esasperante».</p> <p>«Se mi vedessi con altri occhi, non diresti così» il giovane poggiò il calice su un tavolino di legno appena sbozzato che giaceva affianco alla poltrona dove erano seduti. Dicendo questo, il suo volto s’adombrò un poco, gli occhi verde chiaro trapassati da un bagliore del fato, dalle fiamme del passato.</p> <p>«È una bellezza solo mia» Nimueh si avvicinò alla guancia piagata di Edwin, e vi diede un bacio soffuso d’amore. «Der Shöwel» sussurrò dopo.</p> <p>Una lastra tersa comparve davanti agli occhi del giovane, tremolando come fosse acqua di fonte. L’incantesimo della Sacerdotessa rifletteva un uomo d’immane fascino, cosparso di un’avvenenza regale, incantevole. Con l’ingannevole magia, Nimueh aveva fatto scomparire per poco le cicatrici lasciate dall’incendio in cui Edwin era stato coinvolto, e ora gli mostrava in quella specchiera come era bello, magnifico, se solo avesse messo da parte una volta per tutte quel tragico incidente.</p> <p>«Ti ho sempre detto che non voglio tornare com’ero,» con lo sguardo, Edwin percorreva le sue forme lisce che si riproducevano nello schermo marino, erano delicate, inconsuete per lui. Gli sembrava d’esser tornato fanciullo. Aggiunse: «non voglio… non voglio mostrare di essere sopravvissuto così alle crudeltà di Uther».</p> <p>«Amore, Uther prima o poi morirà».</p> <p>«Ma ciò che ha fatto vivrà per sempre. E se lui deve morire… che lo faccia per mano di chi cerca pura vendetta». Edwin passava la sua mano sulla schiena arcuata della strega, sentendo il gelido tatto della sua pelle attraverso la veste sottile. L’incantesimo intanto sfumò come una bacchetta d’incenso, lentamente.</p> <p>«Partirai per Camelot» lo rimproverò lei, allontanandosi a stento e facendo presa sui manici di velluto della sedia, il riverbero di quella scelta che le offuscava i pensieri.</p> <p>«Sì, Nimueh. Solo così potrò far tacere i miei incubi». La decisione era chiara sul suo volto, ritornato quello oscuro di un tempo, le labbra strette in una smorfia di risolutezza.</p> <p>«Ma puoi far smettere le anime che ti tormentano! La vendetta non è nel tuo cuore: è quella che loro t’impongono. Cacciali, e sarai libero».</p> <p>«Libero come Uther? Non si merita un giorno di vita in più».</p> <p>«Altri faranno il lavoro sporco al posto tuo… potrei provarci io. Ci ho già provato». Gli occhi della donna manifestavano apprensione per il giovane.</p> <p>«E hai fallito». Edwin voltò lo sguardo verso una torcia appesa sulla parete opposta, dove ombre di forme arcane s’intersecavano alle rientranze e alle fratture della volta in roccia. Racchiuse un po’ del rimorso nel suo cuore, e più dolcemente si rivolse a lei: «I miei genitori sono morti in quell’incendio, e per poco non feci la stessa fine anch’io. Nimueh… sono loro che cercano pace nella vendetta. Posso rifiutare la pace a chi mi ha dato per primo la vita?»</p> <p>Ma fu una domanda che rimase senza risposta. Il silenzio scese fra loro: Nimueh semplicemente si strinse al petto di lui, l’emozione che le sconquassava le membra. A lungo aveva cercato, con diversi espedienti, di eliminare Uther e di inseguire lei stessa quel soave piacere della rivalsa. Ma mai, mai si era arrischiata a mettersi così in luce come Edwin aveva deciso di osare. Con Merlin a corte, pronto ad ostacolare ogni suo intervento com’era accaduto in precedenza per lei, poteva davvero perderlo. E saperlo le doleva il petto e le squarciava l’anima.</p> <p>Affondò il viso fra i sui ricci, baciandone il collo profumato di gardenia e acqua sorgiva, pelle fresca che pulsava di vita. Sentì le braccia di lui legarsi attorno alla sua vita, e avvicinarla ancora di più, stringendola in un abbraccio impetuoso. Le loro labbra si cercarono, gli occhi chiusi, per perdersi in un istante d’eterno fra le onde della passione.</p> <p><i>“So when you think of me <br />Do so with pride <br />Honor and bravery <br />Ruled by my side <br />And in your memory <br />I will remain <br />I will forever be within the flame...”</i></p> <p><i>[Così quando penserai a me <br />Fallo con orgoglio <br />Onore e coraggio <br />Schierati dalla mia parte <br />E nella tua memoria <br />Io resterò <br />Sarò per sempre all’interno della fiamma…]</i></p> <p><em></em></p> <p>Gli aveva regalato una lanterna. Di tutti i baci, i doni, gli incantesimi che avrebbe potuto dargli, lei gli aveva donato solo una lanterna.</p> <p>Yule, la luce… il simbolo del sole che rinasce sull’oscurità. Un simbolo di vittoria. E la lanterna avrebbe significato questo: un lucore affettuoso che dondolava leggero nella sua intelaiatura in ferro, e che l’avrebbe guidato come uno stendardo portatore di salvezza. O, più semplicemente, portatore di una speranza di salvezza.</p> <p>Finché la lingua di fuoco avrebbe sfavillato a indicare la via, Nimueh sapeva che il suo cuore sarebbe stato con lui. Le rinvennero alla mente le parole che, quella sera prima, aveva detto a Uther. <i>Sai che a Yule noi Sacerdotesse della Religione Antica usavamo fare dei doni?</i></p> <p>Quella stessa notte, quando Edwin si era preparato per partire alla volta di Camelot, il suo spirito di Sacerdotessa aveva preparato il dono della lanterna. Lui le aveva sorriso dolcemente, e aveva accolto quella manifestazione di cura con una delle tante appassionate effusioni d’amore che si erano scambiati in quelle ore. La strega già sentiva la mancanza di quell’aria pervasa di gardenia, e la sua grotta ora era impregnata dalla solitudine, la stessa che si era insinuata nel suo cuore.</p> <p>Le fiamme delle torce e delle candele erano tornate color ghiaccio, l’unica fonte di colore più vera rivelata dal suo abito rosso scuro. Dalle sue labbra, che soffrivano la mancanza di carne da agguantare, e che diventavano man mano più gelide, pietrificate in un’espressione impura.</p> <p>Il momento di preparare il dono per Uther era arrivato. Con questo, sperava di poter quanto meno spianare la strada ad Edwin.</p> <p>Erano già alcuni minuti che Nimueh camminava avanti e indietro nella sala adibita a preparare magie, il mantello che aveva indossato quella mattina che frusciava a contatto col terreno ruvido. Non era altro che una stanza circolare dalla volta a cupola, priva di sbocchi verso l’esterno e con i muri stipati di tavoli, armadi e librerie in legno di diverse altezze. Al centro, si stagliava la fonte con cui prevedeva e osservava ciò che accadeva a Camelot, caratterizzata da un alto piedistallo e un vaso in granito poggiato sopra. Entrambi erano decorati con motivi floreali intersecati a rune e segni magici che contribuivano a far apparire le visioni nel recipiente. In quel momento, però, l’acqua era torbida e piatta, calma, e non mostrava alcunché.</p> <p>La furia continuava a crescere all’interno della donna. Prima flebile, appena emersa sotto la cappa di una tranquillità all’apparenza impassibile, poi più potente, stravagante, con culmini e discese improvvise. Ad esse, si accompagnavano istanti di lucidità in cui l’idea di un “dono” speciale si formava nella sua mente, come un pupazzo di neve in una fredda giornata, la cui bellezza si può ammirare solo una volta che il lavoro è concluso.</p> <p>Così, una volta che fu sicura di ciò che stava per fare, si diresse spedita verso il centro della sala. Una profezia, una sorta di piccolo gioco, in cui Nimueh sarebbe stata giudice e regina, creatrice di distruzione.</p> <p>«Mieror, de’filäch, naström chiåner» dalle sue dita scorsero fiocchi di neve e spicchi di specchi, che cadendo incresparono le acque della conca, da cui furono inghiottiti. Ora una lieve corrente d’aria opaca si muoveva in circolo appena sopra il livello del liquido, formando su di esso delle piccole onde agitate.</p> <p>«Mieror, necht vebeyr». Una fiamma nacque sul catino e ne percorse velocemente i bordi in pietra, un riverbero viola che s’accese di vigore e che in pochi istanti implose su se stesso, spegnendosi senza alcun rumore e filamento di fumo. L’unico ricordo che rimase di esso fu il suo colore, che ancora si diffondeva violaceo come il mantello della Sacerdotessa.</p> <p>«Bene, Uther. Il mio dono è compiuto» disse compiaciuta, gli occhi blu oltremare che scrutavano nella sua singolare finestra su Camelot, «chiunque calpesterà il segno di Nimueh, morirà per mano di un mago».</p> <p>«E ora vediamo come se la passano in città».</p> <p>La prima immagine che comparve fu quella del cortile interno al castello, illuminato da sparuti raggi di sole che perforavano la coltre di nuvole da nevischio, nonostante fosse già il crepuscolo, e che venivano estesi dallo spesso strato di neve che ricopriva il lastricato. L’impressione che si aveva, osservando bene l’aria, era che nevicasse ancora. Però i fiocchi erano spessi; talvolta, fra miliardi e miliardi di piccole gocce di ghiaccio, comparivano striature più luminose e ampie, dall’aspetto affilato.</p> <p>Quadrati di forme diverse che si abbattevano al suolo, atterrando in un suono attutito che si confondeva fra lo spirare del vento e i suoi gelidi sospiri. Nessuno si sarebbe accorto presto di ciò che il cielo mandava: incantesimi, magia. La profezia di Nimueh.</p> <p>Dalla porta principale del palazzo, si precipitò in strada una fanciulla stretta in un mantello verde smeraldo. Scese pochi scalini della lunga scalinata, quindi si fermò. La giovane, dalla pelle pallida quasi quanto il manto nevoso, si levò subito il cappuccio dal viso, per rivolgerlo in alto. Non si preoccupava del freddo che le inumidiva le guance e le impiastricciava i lunghi capelli, bensì respirava ad ampi tratti, il petto che sotto le vesti si alzava e abbassava visibilmente. Un sorriso le increspava il volto, un sorriso felice, soddisfatto, finalmente in pace.</p> <p>Era sola. Nimueh sapeva di chi si trattava, poiché quei tratti le erano rimasti impressi nella mente. La pupilla del re, Morgana, una ragazza così promettente, con i suoi sogni premonitori… di sicuro con un futuro intriso di stregoneria.</p> <p>Le dispiaceva promettere una fine a una donna che, in fondo, faceva parte del suo stesso schieramento. Ma una conquista desidera un prezzo, una vita per una vita. E la Sacerdotessa restò impassibile quando un coccio di specchio piovuto dal cielo lasciò una scia rossa sulla guancia della giovane.</p> <p>Morgana si riscosse dal suo stato di beatitudine, e abbassò lo sguardo per vedere cosa le avesse provocato quella ferita. Intanto una goccia di rubino, come una triste lacrima, scendeva lenta lungo la sua pelle. S’inginocchiò senza preoccuparsi di asciugarla, attratta da un riflesso più intenso che si propagava da uno scalino più in basso. Prese in mano il frammento, e se lo rigirò lentamente fra le dita. Il bordo era affilato, dalle punte acuminate come lance e spade, armi vere e proprie. Sembrava che stesse riflettendo, e che pensasse che non ci fosse motivo perché oggetti del genere stessero cadendo giù dal cielo.</p> <p>Un simbolo era quasi inciso sulla facciata della scheggia, su cui si percepiva al tatto l’incavatura dell’intarsio. Pareva una runa, con due V sovrapposte, di cui una al contrario, che formavano un rombo da cui fuoriuscivano per un po’ le linee. All’interno di esso, un puntino appena percettibile. Dalla polla d’acqua, Nimueh vide Morgana rialzarsi in piedi e accorgersi che l’intero cortile pareva cosparso di piastrine di specchi.</p> <p>La figliastra del re fu striata da un nuovo pezzo passatole sul fianco, e che sdrucì il mantello senza lasciarle apparenti ferite. La giovane rientrò immediatamente nel castello, portando il primo frammento con sé.</p> <p>Nimueh era soddisfatta. Chiunque fosse rimasto ferito, anche solo graffiato, da uno di quelli specchi, aveva il futuro già scritto: marchiato, con il suo simbolo, che lo predestinava a morire per mano di uno stregone. Non importava chi quest’ultimo fosse, ma sarebbe stata la magia, e solo questa, a staccare la vita dal suo corpo, per sempre.</p> <p>La Sacerdotessa restò ancora a scrutare all’interno della sua polla, interessata agli sviluppi della vicenda. Morgana era stata la prima, ma chi, poi, l’avrebbe seguita? Non ci fu tempo di riformulare il pensiero, che manipoli di guardie comparvero, in piccoli gruppi, dalle varie uscite del castello. Probabilmente la ragazza aveva, una volta tanto, deciso di interpellare subito il padre sull’accaduto.</p> <p>Uno, due soldati furono presi di sorpresa, e graffiati dalle punte acuminate attraverso la cotta di maglia. Altri tre ebbero il viso striato da un taglio sottile. Non parevano preoccuparsene, solo si precipitarono all’esterno della corte per perseguire chiunque sembrasse essere l’artefice di tutto ciò.</p> <p>Ogni persona dilaniata dagli specchi era una vita in più per il suo animo avido di morte, e la gioia s’effondeva in Nimueh. Solo di una cosa provava ancora rancore: Uther non era uscito a perlustrare il territorio, quindi non pareva essere passato sotto la sua profezia. Temeva che ricollegasse la loro discussione all’avvenimento prima di poter anche rimanere minimamente scalfito dal suo dono.</p> <p>«Un peccato… un peccato che colui cui ho preparato il mio tenero regalo non possa sperimentarlo egli stesso».</p> <p>Ma la strega non poté soffermarsi oltre, rifletterci ancora. Un malessere la percosse tutta, e fitte lancinanti sembravano volerle perforare la testa. Un formicolio le attraversò le mani, facendole tremare. Andò nell’altra stanza, per sedersi un attimo sulla stessa poltrona rivestita in velluto verde su cui soleva stare con Edwin.</p> <p>La posizione seduta non agevolò però il suo malore, che continuò ad acuirsi, tanto che ogni briciolo di lucidità le abbandonò le membra. Tanto che lei stessa perse conoscenza, accasciandosi sulla seggiola, gli occhi blu dalle pupille dilatate, enormi, e che la facevano sembrare preda di una follia o posseduta da un demone. Ma le sue mani ora erano immobili, completamente prive di forza vitale, le braccia sottili da cui s’intravedevano le vene violacee appoggiate sgraziatamente sui braccioli della sedia. Nimueh era diventata una statua di dolore, in cui lo spirito si era staccato dal corpo.</p> <p>Nell’altra mente, nell’altro mondo, una visuale si faceva largo nella nebbia di un’anima ingabbiata dal fato. Una visione indigesta, non voluta, ma che gli occhi del cuore miravano a continuare a vedere. Forse gli Spiriti della vita e della morte avevano richiamato, anche solo per pochi istanti, la loro Sacerdotessa. Così, per mostrarle, e farle vedere, qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi per l’eternità. E lei vide…</p> <p>Edwin camminava lungo il freddo sentiero che guidava alle porte di Camelot. Nella sua mano era stretta la lanterna di Nimueh, accesa anche se fosse pieno dì. Erano passati un paio di giorni da Yule, e lui, armato della sua forza di volontà, era giunto a piedi fino al luogo del suo premeditato delitto. La neve si era sciolta, e un sole rischiarava di poco dall’alto del cielo.</p> <p>L’uomo entrò con passo deciso nella città, e percorse i suoi viali diretto al castello, trascinandosi con la fatica del viaggio lungo le intricate strade dei bassifondi. Il suo sguardo… così forte, vigoroso, così meraviglioso se nascosto dal mantello da viaggio, s’illuminava nell’ombra gettata dal cappuccio.</p> <p>D’un tratto inciampò con i suoi sandali in qualcosa di spigoloso che non aveva notato, e incespicò un po’, ma non cadde. Un’imprecazione gli sfuggì di bocca quando vide la lanterna evadere dalla sua stretta e precipitarsi in terra, i vetri sottili che attorniavano la fiamma spaccati in miriadi di fini frammenti. Il fuocherello al suo interno si spense quasi contemporaneamente, sfrigolando appena. Mentre cercava di riprendere l’equilibrio, zoppicando per alcuni passi, l’uomo cercò con lo sguardo cosa fosse stata la causa di quel piccolo incidente. Individuò un frantume di specchio, ma gli aveva solo arrossato l’alluce, non protetto dai semplici sandali aperti che indossava.</p> <p>Edwin continuò il suo cammino, abbandonando la lanterna in terra, ormai inutile.</p> <p>Gli sarebbe mancato, il cuore di Nimueh… ma lui sarebbe sopravvissuto per riaverlo ancora, più vicino di quanto non gli fosse mai stato.</p> <p>Intanto Yule, negli ultimi strascichi della sua festività, aveva preso il suo ultimo tributo di sangue.</p> <p><i>“Now at the journey's end <br />We've traveled far <br />And all we have to show <br />Are battle scars <br />But in the love we shared <br />We will transcend <br />And in that love, our journey never ends...”</i></p> <p><i>[Ora alla fine del viaggio <br />Noi abbiamo viaggiato lontano <br />E tutto ciò che abbiamo da mostrare <br />Sono le cicatrici di battaglia <br />Ma nell’amore che abbiamo condiviso <br />Noi trascenderemo <br />E in quell’amore, il nostro viaggio non finirà mai…]</i></p> <p><em></em></p> <div style="padding-bottom: 0px; margin: 0px auto; padding-left: 0px; width: 425px; padding-right: 0px; display: block; float: none; padding-top: 0px" id="scid:5737277B-5D6D-4f48-ABFC-DD9C333F4C5D:730e4940-308c-4e7d-b0c5-4e1c5528e099" class="wlWriterEditableSmartContent"><div id="de7a0c82-1712-482f-b4bd-abdfda73a55f" style="margin: 0px; padding: 0px; display: inline;"><div><a href="http://www.youtube.com/watch?v=JvJwEu9ghvM" target="_new"><img src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhAD9Ss2GMSQdRs-gxNEjgJFFkxtlxSNdJBlKhzRrxalNYuNm2C9Ub2ztk251IPZoN-mQzI1KktugSxv1WR030bvg-Vfpcbpxk9gpSROhF7usDkj0BIGvpR8tsr8x22Vj-5h7VWek92JVmV/?imgmax=800" style="border-style: none" galleryimg="no" onload="var downlevelDiv = document.getElementById('de7a0c82-1712-482f-b4bd-abdfda73a55f'); downlevelDiv.innerHTML = "<div><object width=\"425\" height=\"355\"><param name=\"movie\" value=\"http://www.youtube.com/v/JvJwEu9ghvM&hl=en\"><\/param><embed src=\"http://www.youtube.com/v/JvJwEu9ghvM&hl=en\" type=\"application/x-shockwave-flash\" width=\"425\" height=\"355\"><\/embed><\/object><\/div>";" alt=""></a></div></div></div> Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-87771552710785567912010-11-30T21:45:00.001+01:002010-11-30T21:45:46.948+01:00In Un Giorno Qualunque<p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc01.deviantart.net/fs12/f/2006/323/3/1/Un_giorno_qualunque_by_milkmind.jpg" width="478" height="363" /> </p> <p>I libri vanno e vengono, sono come le foglie di questo autunno invadente e impreciso. Quasi li si vede, appesi con mollette in legno ai rami degli alberi, le pagine che frusciano, scricchiolano, sbattute incessantemente dal vento. Come dei sogni racchiusi nella morsa del tempo, che cercano di fuggire urlando, ma le loro catene li tengono ancorati al palo arrugginito del fato; loro si ritraggono spauriti nel loro cantuccio, per poi tentare la libertà una volta di più. Un libro è un sogno prigioniero delle sue stesse parole.</p> <p>I libri vanno e vengono. Alla fine, ciò che resta di loro è solo un’emozione. L’emozione che si prova quando si legge, o quando si è appena finita una storia: quel sentore alla bocca dello stomaco, proprio lì, quel brivido che ogni tanto ti percorre le dita delle mani, il viso che si avvicina alle parole e alle frasi, risucchiato. Un senso di noia che profuma di nebbia, una tranquillità celata che si trascina dietro il peso di una storia che non si riesce a narrare. L’indifferenza iniziale, l’approccio, che poi talvolta si tramuta in invaghimento, e raggiunge una passione indecente… si può amare così tanto un pezzo di carta?</p> <p>Questo pomeriggio l’aria è come un buon libro, ti trasporta nell’amplesso delle sue trame, ma lo fa piano, dolcemente. Quasi non ti accorgi che, a un certo punto, è stata lei a guidarti in quel luogo, a muovere i tuoi stessi passi.</p> <p>È fresca, leggera. Le foglie umide invadono a tratti i sentieri del parco, impiastricciate come lo schizzo di un bambino, si appiccicano fastidiosamente alle suole, e là restano, mezze marcite, con quell’odore persistente e intriso di pioggia e di sole. Pizzica appena il naso e libera i polmoni dal fumo dei ricordi, si insinua per la gola come tante praline di cioccolato piccante.</p> <p>Un uomo cammina su quelle vie, il capo chino, il passo lento di un fantasma che si è smarrito fra i meandri del suo castello. Anche i capelli, di un biondo cenere, sono smorti come quelli di uno spirito. Si stringe un po’ nel suo paltò del colore delle caldarroste. È fatto di un tessuto morbido e rigato, due ampie tasche ai lati per contenere un altro mondo, magari più bello, fatto di primavere e di gite nei boschi. L’uomo sente il freddo pungergli la pallida pelle, e ha le braccia incrociate, le mani che sfregano la stoffa del cappotto alla ricerca di un granello di calore. Una di esse stringe un libro, il pollice e l’indice che impugnano il dorso sbiancando attorno all’unghia, e i polpastrelli rossi come se immersi in succo di lampone.</p> <p><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc08.deviantart.net/fs32/f/2008/223/5/9/Park_Bench_by_hiritai.jpg" width="306" height="453" /> Si siede su una panchina, e comincia a leggere. Pagina dopo pagina, il freddo lo abbandona per rifugiarsi in altre lande desolate, forse nelle steppe del nord, o nei pressi di qualche baita scandinava, a gelare fra le volpi artiche e a sussurrare segreti alle miti alci. Gli occhi non guardano che la storia, la sua storia, e i passanti che scorrono davanti a lui sono solo una cornice appena percepita dalle iridi incantate. Una cornice d’autunno su cui scorrono anonime scene, fotografie in negativo. Una madre si ferma un attimo per aggiustare la copertina in pizzo e lana del suo bambino, infagottato in una carrozzella che fra un po’ sarà troppo piccola per lui, poi prosegue veloce per la sua breve camminata. Un nonno accompagna la nipote a dar da mangiare alle anatre e ai cigni in riva al lago artificiale, passeggiano lenti, lei aggrappata al suo braccio rinsecchito che a sua volta si sostiene a un bastone. Due innamorati mano nella mano, il lampo più fugace che l’occhio riesce a scorgere – fotogrammi di vita.</p> <p>Il tempo è relativo, scorre, si ferma, poi riprende impetuoso, un orologio sincronizzato con il battito d’ali di una civetta. Il segnalibro è un rametto di mimosa raccolto la primavera prima, gli steli verdognoli sottili come fili di raso. Nei primi tempi, ogni tanto restava sulla carta una polverina giallognola dal sapore acre, e dal ricordo amabile.</p> <p>Il tempo va. Le nubi in cielo si scuriscono, è un nastro argento che si trasforma in onice, lentamente, sfumando come un carboncino su tela, la mano imprecisa di un cieco pittore.</p> <p>Lui si sfrega le mani sul jeans consunto, poggiando il romanzo sul resto della panchina vuota al suo fianco. Per quel che ne sa, è sempre rimasta così, senza nessun occupante se non lui, nell’angolo, a sedere nel minimo spazio in quel gelo di ferraglia verde. Si alza, esce dal giardinetto. Torna a casa, con l’animo un po’ più leggero, nonostante l’aria immobile dia l’impressione di una cappa pesante e opprimente.</p> <p>Percorrendo la strada, su un marciapiede trova un colombo che prende subito il volo. Dall’alto, il parco pare un’oasi in una giungla di palazzi alti e grigi, la sua forma tondeggiante immersa nella solitudine della sera.</p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc09.deviantart.net/fs45/f/2009/067/b/5/mimosa___II_by_AlexEdg.jpg" width="400" height="271" /> </p> <p>Ogni libro riflette i particolari della vita, ingloba la giovinezza terrena e la rende eterna. Deforma e incanta, persuade, insinua la sua lingua fra i paesi del pensiero. Un lettore è un cacciatore, l’autore un cacciato, preda delle sue stesse parole – armi e fucili dell’insaziabile immaginazione. La voce dell’anima, che viene a galla e rimanda alle vicissitudini dell’inconscio, gioca con i sentimenti. Uno, due, tre, stella! Vizio solitario, la lettura. E quando ti giri, vedi solo le foglie cadute e spostate dalla brezza passeggera che, impietosita, ha portato avanti qualche fronda. Ma è una giocatrice inesperta, non si ferma, o si ferma troppo presto, o sbaglia mira…</p> <p>Uno specchio enorme che inghiotte chiunque, questo è un libro.</p> <p>Questa mattina, l’acqua del laghetto è così. Piatta, incantevole superficie dai riverberi venati di azzurro cielo. Ogni tanto si vedono galleggiare briciole di pane, piccoli soli senza luce, che volteggiano e ritornano poi fra le profondità del lago.</p> <p>Una donna, il cappuccio del giubbotto di cotone violetto calato sul volto, supera la polla d’acqua e percorre uno dei tanti vialetti in ghiaia. Il rumore dei suoi stivali fra le pietruzze è come lo spezzarsi di una tavoletta di cioccolato.</p> <p>L’aria le si condensa a poco dal viso, tante nuvolette di nebbiolina leggera e umettata, il suo respiro che diventa palpabile e poi si scioglie di nuovo nel nulla dell’esistenza. Sotto le calze di nylon sente il freddo pungerle le gambe, ma non vi presta attenzione.</p> <p><img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="left" src="http://fc08.deviantart.net/images2/i/2004/03/d/1/autumn__s_melancholy.jpg" width="331" height="225" /> È presto, c’è poca gente a percorrere le strade del parco. I barboni hanno già lasciato le loro postazioni notturne, mentre gli spazzini hanno da poco completato il loro lavoro. È la fascia oraria in cui l’isolamento si fa più netto, in cui i pochi transitanti restano in un silenzio religioso, cauto. Il parco diventa un luogo quieto, ma venato di malinconia, un cimitero senza morti – i morti nell’anima, quelli inevitabili, quanti ne passano, quanti camminano ancora per ogni via e ogni goccia di vita.</p> <p>Trova una panchina libera, all’ombra di un grande olmo. Un libro giace al suo fianco, sottile, la copertina in brossura sui toni dell’acquamarina, apparentemente dimenticato. Lei lo prende, lo apre, nonostante nella borsa di cuoio avesse con sé un altro romanzo che era intenzionata a leggere. Lo sfoglia con cura, e un ramo di mimosa le scivola in grembo, imbrattandole la gonna di polvere dorata – è la speranza, la fantasia, che le intinge le vesti di filigrana d’oro.</p> <p>Usa una bandella della coperta per segnare la pagina da cui era sfuggita la frasca. Esce il suo libro dalla tracolla, schiude la facciata dove c’è il suo segnalibro. Un petalo di rosa essiccata, in passato di un rosa acceso, ma che col tempo ha perso gran parte del suo colore. Delicatamente, tiene in mano entrambi, quasi ponderando un pensiero nascosto e lontano, che però si sta facendo spazio nella sua mente e, come la corsa di una bambina, giunge a una conclusione avventata.</p> <p>Decide di portare con sé il libro dimenticato. Lo infila nella borsa, di fretta, è una ladra, una ladra di storie. Invece lascia il suo sulla panchina, il suo libro profumato di fiori, carezzato come la tastiera di un pianoforte, la mano che ne percorre il dorso allo stesso modo del musicista, con cautela e passione.</p> <p>Qualcosa le dice che lo troverà. Qualcuno, presto.</p> <p><img style="display: block; float: none; margin-left: auto; margin-right: auto" src="http://fc04.deviantart.net/fs18/i/2007/223/9/5/Beauty_and_her_Beast_by_ThisFairyTale.png" width="446" height="384" /> </p> <p>Pomeriggio. L’aria è cambiata.</p> <p>Frizzante, animata, ha lo stesso sapore di mele e cannella di una lettura incompiuta. Si trascina in raffiche violente che cessano all’improvviso, la calma dell’occhio del ciclone – ti guardano, gli angeli, dall’alto delle nuvole, il respiro sospeso. Poi il soffio riprende, e ancora sconquassa gli alberi nei vortici di fogliame, ti getta addosso le memorie delle stagioni.</p> <p>L’uomo tossisce. Alza gli occhi al cielo, e s’accorge che grumi scuri di nubi minacciano pioggia, a breve. Ha con sé un ombrello, nella tasca del paltò. Affretta il passo verso la sua panchina, implorando a mente che uno scherzo del destino abbia fatto in modo di preservare il suo libro. Magari sotto il ventre di una gatta, che vi si è seduta sopra, e che l’ha protetto dalle ingiurie del mondo. Oppure in un cerchio di folletti che l’hanno reso invisibile, fino al suo sperato arrivo. </p> <p>Forse la mano di una giovane ne ha lisciato il risvolto, il guanto lilla ad avvolgere dita lunghe e affusolate.</p> <p>Un libro c’è. Un romanzo in cartonato blu, la copertina tolta a darne un aspetto anonimo. Lui sfoglia le prime pagine per trovare l’occhiello, e sotto, inaspettatamente, trova una scritta a matita. Vergata con premura, imprigiona il suo sguardo più del titolo dell’opera: “Grazie!”</p> <p>Le lettere sono affinate, curve, le vocali che sembrano parti di cerchi, il punto esclamativo un fiore con cinque petali, e una striscia cinerina per gambo. Sembra la scrittura di una donna.</p> <p>Comincia a leggere, come è sua consuetudine, le spalle abbandonate sullo schienale freddo della panchina. Un giorno qualunque, un giorno d’ottobre che si ripete uguale, identico. Cambia il profumo della carta, ora dolciastro, cambia la data sul calendario. Ma il giorno è sempre lo stesso.</p> <p>Dopo un po’, un petalo di rosa s’interpone alle pagine. È secco, delicato, pare potersi rompere al minimo tocco. Fra le venature, ci sono strati quasi trasparenti, appena rosati, fra le dita fruscia come lo scampolo di una tenda di seta.<img style="display: inline; margin-left: 0px; margin-right: 0px" align="right" src="http://fc06.deviantart.net/fs70/i/2010/298/f/8/after_rain_by_floppyrom-d31i77a.jpg" width="337" height="250" /></p> <p>Qualcuno, d’un tratto, interrompe il flusso di gente e d’ombre che lo attorniano di solito, e prende posto accanto a lui. È una ragazza, i capelli impregnati d’autunno, cinnamomo spruzzato di rame, che ricci le si attaccano al viso piacevolmente ambrato. Lei li discosta con un gesto lento della mano, e gli sorride.</p> <p>Apre la borsa nera, e tira fuori un libro. Il suo libro. Fa per restituirglielo.</p> <p>Lui la blocca, con un cenno tenero, il viso giovane passato da un bagliore di gioia che rimanda il sorriso. Uno scambio equo, la mia storia per la tua, il tuo segno di primavera per il mio, una reminiscenza alla volta. Lo stesso viale, gli stessi passi, che si sono incontrati in momenti diversi, sbiaditi sulla stessa ghiaia e le stesse foglie, forse più scure, forse più rovinate dal vento – lo stesso – l’aria – la stessa. I tempi, diversi, ma è il giorno che è uguale, e le coincidenze cambiano, viaggiano, la confusione rammenta… e il cuore, ricorda.</p> <p> Comincia a piovere. I due si avvicinano, lui che la tiene al sicuro sotto il suo ombrello blu acciaio.</p> <p>Piove cauto. Poche gocce alla volta, che s’uniscono fra le fronde dell’olmo, e poi ricadono in sorsi e flussi, campanelle che precipitano e risuonano, scontrandosi. Il mondo si trasforma in una macchia indistinta, flebile, dalle forme mutate, grondante di monotonia. O forse è la vista che s’offusca, e non riesce a vedere oltre, oltre questo loro piccolo universo, oltre la vita che ora si spande in un’isola di conforto.</p> <p>Piove lieve. Il volto di lei affonda nel suo giubbotto, si poggia sulla spalla ad assaporare quel vago sentore di pino. Le lacrime si riversano dal cielo, non hanno fretta, sono gradevolmente amene, pure, una doccia fresca che lava via il male.</p> <p>Piove lieto. Gli occhi di lui, cinerei, percorrono il suo volto, con calma, le labbra posate sulla sua chioma ondulata. Forse serve un po’ di tempo, un silenzio in più. Un giorno, i loro passi si confonderanno, uniti nello stesso destino. Ma, in fondo, oggi è un giorno qualunque. Solo un giorno qualunque.</p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgN4zV6JfErDglrGGxpMYUwOnenuX3PEHwQN3bQv1im7-M3ckvlP7Wpc9_tc9oEAhK1UGNMVdsthZ7fr-vdi9TZ18AnRfogGPlJ_wk47qOga1zPIG1wzQuei4mFecX69WYdXCml7RYFO8er/s1600-h/1be25_Marco-mengoni-re-matto%5B4%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: block; float: none; margin-left: auto; border-top: 0px; margin-right: auto; border-right: 0px" title="1be25_Marco-mengoni-re-matto" border="0" alt="1be25_Marco-mengoni-re-matto" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgZh40kJEea9sQkvlBSWyaB_zei2UbKjRMedlcA6fdsEggs9oqUJeBj1qN3pA5FZpuNCR1uUEMtiLxZGFFXWwGEhlkNQSxhbB5g99N-_KT8DmR9M-yU-lwH2EKz4eNsKQ7HRTSOjV-4QLbV/?imgmax=800" width="240" height="160" /></a></p> Unknownnoreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7492664108357823519.post-12961026208655239542010-11-26T21:28:00.001+01:002010-11-26T21:29:54.238+01:00Sentire<p><font color="#ffd9ec" size="4" face="Bell MT">Dedicata a <a href="http://francyrhamira.blogspot.com/">Fran</a>, come premio (in lieve ritardo) del <a href="http://blu-aquamarine.blogspot.com/2010/06/contest-tirando-le-somme.html">contest</a> che ha vinto. Purtroppo non è delle mie migliori, mi scuso in anticipo…</font></p> <p><font color="#ffd9ec" size="4" face="Bell MT">(P.S.: sto lavorando sull’editing di un racconto, a breve posterò quello. Inoltre il Tyrsek subirà una pausa perché devo lavorare su una lunga fan-fiction natalizia ispirata a Merlin, e con cui spero di partecipare a un contest)</font></p> <p><font color="#ffd9ec" size="4" face="Bell MT"></font></p> <p> </p> <p><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYE3GJFKVn0wvVOeoSeRTYur77LE2JnPyu-ineUO968duTdPG0L1dNYuUU-YAjERzMiPDVit0R6C3M_gUSg1fPac8DYOuxfHQPkTrx2WBAy11azAq7Qc0w_LgU-05jGEax_pplWPfh93_W/s1600-h/A%20Touch%20of%20Finland%20II%5B9%5D.jpg"><img style="border-bottom: 0px; border-left: 0px; display: inline; margin-left: 0px; border-top: 0px; margin-right: 0px; border-right: 0px" title="A Touch of Finland II" border="0" alt="A Touch of Finland II" align="right" src="http://lh6.ggpht.com/_htgP6Y7hdEA/TPAYYPvJU9I/AAAAAAAABIY/zhG_tIJ_q6U/A%20Touch%20of%20Finland%20II_thumb%5B13%5D.jpg?imgmax=800" width="234" height="424" /></a><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYE3GJFKVn0wvVOeoSeRTYur77LE2JnPyu-ineUO968duTdPG0L1dNYuUU-YAjERzMiPDVit0R6C3M_gUSg1fPac8DYOuxfHQPkTrx2WBAy11azAq7Qc0w_LgU-05jGEax_pplWPfh93_W/s1600-h/A%20Touch%20of%20Finland%20II%5B9%5D.jpg"></a><font color="#ffd9ec" size="4" face="Bell MT"></font></p> <p>L’ululato distante </p> <p>sulla cresta del mondo – graffiato -</p> <p>fra strepitii di civette.</p> <p>Par fuoco passione, calmante,</p> <p>chiaro riaffiora dal fondo – lacero -</p> <p>delle sterpaglie, fra lucide foglie.</p> <p>Creatura, di tiglio, ginepro, amaranto</p> <p>colore profumi, e un po’ di tormento.</p> <p> </p> <p>Sei madre, mia lupa dal manto</p> <p>argentino, che con una gelida luna – marmorea -</p> <p>dai voce a un tiepido canto.</p> <p>Più lieve, innalzi il tuo pianto</p> <p>di cui disperan le fiere, dune – fasulle -</p> <p>di sabbia, e rimembranze</p> <p>serene, sei luce nel buio di stelle e di bosco</p> <p>sei l’incanto, sei il sogno, ciò che conosco.</p> Unknownnoreply@blogger.com3