sabato 24 ottobre 2009
Tyrsek, la bussola del cielo IV
13:00
Eccovi la parte quarta di questo racconto a puntate. Siccome ormai del Tyrsek si discute poco, mi piacerebbe rinominarlo... se avete delle idee fatevi avanti :)
L’incantesimo di scambio aveva sortito il giusto effetto. Ora la pietra bianca giaceva apparentemente innocua sopra l’altare, mentre l’oggetto, liberato dalle maledizioni poste a difesa del tempio, era posato sui cerchi d’onice. Si trattava di una rosa di cristallo, con uno stelo adamantino irto di spine, e i petali vorticanti quasi fossero liquidi. Dalle spine stillavano piccole gocce rossastre che appena toccavano terra si diradavano in volute di fumo. I due viaggiatori esitavano a prendere la rosa, ben consci dei suoi poteri oscuri.
Keren’hir non è sempre stato un pianeta disabitato. Dapprima era un continuo di selve e savane, in cui si svilupparono esseri simili a rettili, enormi serpenti pieni di aculei e talvolta provvisti di ali membranose. Nella loro evoluzione presero ad adorare –o quantomeno a proteggere- l’unico roseto del pianeta, cresciuto esattamente nella congiunzione astrale delle nove lune nere, sotto la splendente Deneb. Nei suoi pressi non vi erano fonti d’acqua, perciò produceva solo una rosa l’anno, delle più belle, ogni volta di un colore diverso. I rettili erano usi definire i periodi della loro storia con il nome della varietà di rose nata quell’anno. Quindi vi furono le dodici guerre della rosa tea, e la lunga Pace della rosa blu, durata addirittura tre cicli. Finché non venne l’era della rosa rossa, l’Immortale, e vi fu morte per ogni cosa. La rosa si nutriva della linfa delle piante del pianeta, e i rettili, non trovando cibo, presero a divorarsi fra loro. Quando la terra diventò un deserto di desolazione, semicosparso di alberi secchi e sterpaglie che si polverizzavano ad ogni minima folata di vento, l’Immortale era l’unica pianta rimasta. I pochi rettili superstiti tentarono l’impossibile, ruppero il culto che avevano proclamato per intere generazioni. Attaccarono la rosa in piccoli gruppi, per nutrirsi della linfa vitale che essa serbava in sé e per distruggerla, ma nessuna sortita uscì vittoriosa. Appena i rettili si avvicinavano al rovo, perivano inspiegabilmente, e la rosa diventava pian piano più grande, e più fatalmente bella.
Gli abitanti di Keren’hir entrarono nella disperazione; decimati, comprendevano la loro inevitabile fine. D’altro canto, la rosa divorava anche i clan più lontani –e le fu facile, perché Keren’hir è un pianeta di piccole dimensioni-, mai sazia nella sua sete di sangue. Perché era di ciò che si nutriva: le sue vittime morivano dissanguate dall’interno, quasi prosciugate e senza lasciare segni visibili delle cause, se non i loro corpi pallidi e flosci; mentre lei gioiva nell’immergersi in quel liquido scuro.
Nelle ere successive, la fine di Keren’hir fu nota anche ai pianeti vicini. Si sa che, nell’immensità dello spazio, le informazioni, così come la luce, faticano a propagarsi. Quando alcuni stregoni sopraggiunsero per salvare il pianeta, ormai non vi era più speranza. Protetti da sortilegi oscuri, sigillarono il potere dell’Immortale per evitare che allungasse le sue dita bramose sulle altre popolazioni, recidendo il rovo che la proteggeva e posandola su un altare d’ebano. Occultarono l’altare e maledissero il pianeta: se su Keren’hir non ci poteva essere più vita, allora nessun’altro avrebbe dovuto percorrere quei territori, né tentare di recuperare colei che definirono la Rosa di Sangue.
Così narrano le leggende, ma mai fino ad allora qualcuno aveva creduto all’esistenza di tale abominio, seppure evitavano di sostare sul pianeta, e chiamavano la desolazione di Keren’hir un semplice scherzo del destino.
Il Veggente raccolse la rosa con la mano coperta dal guanto. Se la sottometteva al suo volere, avrebbe potuto distruggere un intero esercito in pochi minuti, osservando la scena da lontano. Ma non era quello il suo scopo, e la rosa doveva rimanere sigillata per altro tempo ancora. “Su, Kendra, torniamo a casa.” disse, dirigendosi verso un sentiero che conduceva a nord.
“Si è chiuso!” disse Kendra, sconvolta. Non smetteva di voltarsi intorno alla ricerca di qualcosa. “Non è possibile…” riprese la donna. Il Veggente la interruppe: “Calmati, sarà pure da qualche parte. Forse nel terremoto si è spostato.” Ma Kendra non ascoltò le parole dell’uomo. Si era fermata sulla soglia di un precipizio, e guardava l’abisso con occhi terrorizzati. “Ah, bene.” Disse il Veggente, raggiungendola.
Nel baratro riluceva un ovale ceruleo, dai contorni poco definiti, sospeso a mezz’aria: un varco spazio-temporale. Il principio su cui si basava per funzionare era semplice, connubio fra scienza e magia, al suo interno annullava il tempo e lo spazio permettendo agli uomini di spostarsi per lunghe distanze. Una volta entrati nel varco era necessario visualizzare la destinazione, altrimenti sarebbe stato come passare da una porta che ti riconduce alla stessa stanza. Per i novizi ciò avveniva spesso, perché le visualizzazioni non erano ancora abbastanza potenti, ma il meccanismo di per sé difficilmente falliva. Quindi erano stati creati diversi varchi, alcuni perenni, altri con una determinata durata, altri ancora che duravano solo il tempo di un viaggio.
La preoccupazione della donna era dovuta ai suoi problemi di visualizzazione, e anche al fatto che aveva un solo tentativo a disposizione. “Andiamo in due” disse il Veggente. Kendra lo guardò, confortandosi alla vista del suo volto deciso. Si presero per mano, arretrarono di qualche passo, e poi si lanciarono nel vuoto.
Kendra chiuse gli occhi e strinse forte la mano del compagno, incurante delle ferite. La caduta sembrava infinita, un attimo che dura un’eternità. I mantelli volteggiavano sopra le loro teste in una danza di onde. L’impatto con la barriera del varco fu come scivolare su uno spesso strato di bolle. “Ti prego, ti prego, ti prego…” bisbigliò la donna, prima di sentire il suo corpo toccare il pavimento freddo.
L’incantesimo di scambio aveva sortito il giusto effetto. Ora la pietra bianca giaceva apparentemente innocua sopra l’altare, mentre l’oggetto, liberato dalle maledizioni poste a difesa del tempio, era posato sui cerchi d’onice. Si trattava di una rosa di cristallo, con uno stelo adamantino irto di spine, e i petali vorticanti quasi fossero liquidi. Dalle spine stillavano piccole gocce rossastre che appena toccavano terra si diradavano in volute di fumo. I due viaggiatori esitavano a prendere la rosa, ben consci dei suoi poteri oscuri.
Keren’hir non è sempre stato un pianeta disabitato. Dapprima era un continuo di selve e savane, in cui si svilupparono esseri simili a rettili, enormi serpenti pieni di aculei e talvolta provvisti di ali membranose. Nella loro evoluzione presero ad adorare –o quantomeno a proteggere- l’unico roseto del pianeta, cresciuto esattamente nella congiunzione astrale delle nove lune nere, sotto la splendente Deneb. Nei suoi pressi non vi erano fonti d’acqua, perciò produceva solo una rosa l’anno, delle più belle, ogni volta di un colore diverso. I rettili erano usi definire i periodi della loro storia con il nome della varietà di rose nata quell’anno. Quindi vi furono le dodici guerre della rosa tea, e la lunga Pace della rosa blu, durata addirittura tre cicli. Finché non venne l’era della rosa rossa, l’Immortale, e vi fu morte per ogni cosa. La rosa si nutriva della linfa delle piante del pianeta, e i rettili, non trovando cibo, presero a divorarsi fra loro. Quando la terra diventò un deserto di desolazione, semicosparso di alberi secchi e sterpaglie che si polverizzavano ad ogni minima folata di vento, l’Immortale era l’unica pianta rimasta. I pochi rettili superstiti tentarono l’impossibile, ruppero il culto che avevano proclamato per intere generazioni. Attaccarono la rosa in piccoli gruppi, per nutrirsi della linfa vitale che essa serbava in sé e per distruggerla, ma nessuna sortita uscì vittoriosa. Appena i rettili si avvicinavano al rovo, perivano inspiegabilmente, e la rosa diventava pian piano più grande, e più fatalmente bella.
Gli abitanti di Keren’hir entrarono nella disperazione; decimati, comprendevano la loro inevitabile fine. D’altro canto, la rosa divorava anche i clan più lontani –e le fu facile, perché Keren’hir è un pianeta di piccole dimensioni-, mai sazia nella sua sete di sangue. Perché era di ciò che si nutriva: le sue vittime morivano dissanguate dall’interno, quasi prosciugate e senza lasciare segni visibili delle cause, se non i loro corpi pallidi e flosci; mentre lei gioiva nell’immergersi in quel liquido scuro.
Nelle ere successive, la fine di Keren’hir fu nota anche ai pianeti vicini. Si sa che, nell’immensità dello spazio, le informazioni, così come la luce, faticano a propagarsi. Quando alcuni stregoni sopraggiunsero per salvare il pianeta, ormai non vi era più speranza. Protetti da sortilegi oscuri, sigillarono il potere dell’Immortale per evitare che allungasse le sue dita bramose sulle altre popolazioni, recidendo il rovo che la proteggeva e posandola su un altare d’ebano. Occultarono l’altare e maledissero il pianeta: se su Keren’hir non ci poteva essere più vita, allora nessun’altro avrebbe dovuto percorrere quei territori, né tentare di recuperare colei che definirono la Rosa di Sangue.
Così narrano le leggende, ma mai fino ad allora qualcuno aveva creduto all’esistenza di tale abominio, seppure evitavano di sostare sul pianeta, e chiamavano la desolazione di Keren’hir un semplice scherzo del destino.
Il Veggente raccolse la rosa con la mano coperta dal guanto. Se la sottometteva al suo volere, avrebbe potuto distruggere un intero esercito in pochi minuti, osservando la scena da lontano. Ma non era quello il suo scopo, e la rosa doveva rimanere sigillata per altro tempo ancora. “Su, Kendra, torniamo a casa.” disse, dirigendosi verso un sentiero che conduceva a nord.
“Si è chiuso!” disse Kendra, sconvolta. Non smetteva di voltarsi intorno alla ricerca di qualcosa. “Non è possibile…” riprese la donna. Il Veggente la interruppe: “Calmati, sarà pure da qualche parte. Forse nel terremoto si è spostato.” Ma Kendra non ascoltò le parole dell’uomo. Si era fermata sulla soglia di un precipizio, e guardava l’abisso con occhi terrorizzati. “Ah, bene.” Disse il Veggente, raggiungendola.
Nel baratro riluceva un ovale ceruleo, dai contorni poco definiti, sospeso a mezz’aria: un varco spazio-temporale. Il principio su cui si basava per funzionare era semplice, connubio fra scienza e magia, al suo interno annullava il tempo e lo spazio permettendo agli uomini di spostarsi per lunghe distanze. Una volta entrati nel varco era necessario visualizzare la destinazione, altrimenti sarebbe stato come passare da una porta che ti riconduce alla stessa stanza. Per i novizi ciò avveniva spesso, perché le visualizzazioni non erano ancora abbastanza potenti, ma il meccanismo di per sé difficilmente falliva. Quindi erano stati creati diversi varchi, alcuni perenni, altri con una determinata durata, altri ancora che duravano solo il tempo di un viaggio.
La preoccupazione della donna era dovuta ai suoi problemi di visualizzazione, e anche al fatto che aveva un solo tentativo a disposizione. “Andiamo in due” disse il Veggente. Kendra lo guardò, confortandosi alla vista del suo volto deciso. Si presero per mano, arretrarono di qualche passo, e poi si lanciarono nel vuoto.
Kendra chiuse gli occhi e strinse forte la mano del compagno, incurante delle ferite. La caduta sembrava infinita, un attimo che dura un’eternità. I mantelli volteggiavano sopra le loro teste in una danza di onde. L’impatto con la barriera del varco fu come scivolare su uno spesso strato di bolle. “Ti prego, ti prego, ti prego…” bisbigliò la donna, prima di sentire il suo corpo toccare il pavimento freddo.
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9 commenti:
Mi piace molto! Proprio quello che mancava alla storia: un po' di azione! Brava! Un consiglio però: ho provato mentre leggevo un po' di fatica... bianco su nero mi confonde un po'. Poi non so... ;) Stai in gamba,
Cesare
Grazie! :)
Per il bianco su nero... che colori mi consigli?
bello, per il titolo non so sei tu a sapere di cosa parla nel complesso la storia, potresti dare pure dei titoli a ogni racconto
Davvero, davvero bello... E il quinto capitolo?
In questi giorni sono impegnata con la stesura del racconto per il contest, domani parto e non potrò scrivere fino al weekend... la settimana prossima conto di postare il seguito.
La trama mi piace molto... Il finale è sempre non deludente! Unico appunto: avrei preferito che scrivessi soltanto "Torniamo a casa". Non chiedermi il perché... So soltanto che suona meglio alle mie orecchie... Forse mi sono fatta un'idea del Veggente fin troppo di poche parole... ;)
mmm... forse hai ragione, anche se più in là il Veggente avrà molto da dire ;)
Ci penserò, grazie per l'appunto ^^
Ovviamente non conosco il resto della storia e comunque non è frutto della mia fantasia, quindi spetta a te decidere... Premesso questo, sai cosa sarebbe stato bello (ma forse anche scontato)? Che Kendra non ce l'avesse fatta e fosse rimasta bloccata sul pianeta... Questo, però, comporterebbe una buona rivisitazione della storia... Cambierebbero molte cose suppongo...
Domanda: quando lo hai scritto ci avevi pensato o lo hai escluso a priori?
Eeh... bell'idea Fran ^^
Devo dire che non mi aveva nemmeno sfiorato, perchè Kendra la vedevo già inquadrata come utile ai fini del seguito... sarà indispensabile per sbrogliare il mistero della rosa.
Però questa eventualità sarebbe stata molto interessante... anche se andrebbe contro i principi del portale: Kendra non pensava che limitatamente al luogo dove dovevano arrivare, Il Veggente stava facendo la visualizzazione per entrambi. Kendra, tenendolo per mano, veniva percepita dal portale come un'estensione del corpo del primo.
D'altro canto avrei potuto comunque modificare e farli passare uno alla volta ^^
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