I’ve Crossed Oceans Of Wine To Find You
La girandola vortica senza sosta. Sola, al centro frammezzato di mezza via. I colori dei suoi spicchi si confondono, mossi da quel vento incostante, e il giallo dei girasoli si tramuta in blu crisantemo, il rosso è allo stesso tempo il verde del cielo e l’azzurro dell’erba. O è il contrario?
Eppure agli occhi della ragazza è proprio così… non può essere diversamente. Il cielo è verde, con le sue nubi nerastre, filamenti avvinghiati da soffici catene. L’erba è azzurra, e ogni tanto vibra, quasi essa stessa respiri di candida gioia.
Presa nel gorgo, la fanciulla è una macchia grigiastra nel foglio della calda campagna, lo sguardo fisso ad osservare le giravolte mobili ma statiche nel loro brandello di aria, il loro rapido fruscio, sguardo che sa penetrare oltre e scrutare anche la fessura in mezzo al giogo incantato. Seduta in fronte al fulcro del suo osservare, sembra perdersi, affogare nel mare dei pensieri. Un forellino, piccolo, incurvato nei bordi, funge da lente per una gradita sorpresa. Quindi spia dall’apertura nella girandola, attorno è solo ruotare, spia e guarda al di là della sua gabbia di colori, prigione d’abbagli.
Fiancheggiando un ruscello vermiglio, un po’ denso nell’atmosfera irreale, un’altra ombra scorre per le rotaie del sogno. Un’altra sagoma dai contorni sfumati, bigia, eppure forse unica nel sentore di tatto gentile che emana, aulente e compagna. Arriva ad affacciarsi alla finestrella al di là del mulinello stornato da brezza che, ne era certa, fanciulla, sapeva di mare.
Perché le uniche cose che tramavano vita… erano le uniche senza uno strascico di tinta vera?
Giovane. Sì, un giovine è colui che si è inginocchiato fra l’alta sterpaglia, lo stesso che prima aveva costeggiato l’acqua rossastra. Fra l’erba il suo sguardo ha colto un fiore cristallizzato in piume d’angelo, e ora poggia l’iride incauta lì all’apertura del mondo. Ivi le due pupille s’incontrano, specchio nel specchio, e tale il viso scorre senza sfiorare il continuo girare, ancora specchio nel specchio, per portare le floride labbra a incrociarsi nel vuoto.
Lei è graziosa, avvolta in un abito bianco, semplice e corto, infagottato di sottili nastri di seta. Due ballerine minute le incorniciano i piedi, e scuri fili di capelli le avvolgono il volto.
Lui è serio, nei ricci nerastri che gli scompigliano l’aspetto. Solo una giacca e dei pantaloni dai toni metallici; scalza l’anima del ragazzo ha vagato per i bizzarri sentieri.
Le mani di entrambi si alzano dopo aver giaciuto immobili in grembo. Si uniscono in una stretta fatale ai lati della girandola, mentre gli occhi si chiudono ad attendere il seguito della loro macabra danza. Non c’è possibilità di un bacio in quei pochi granelli d’aria che distaccano le bocche, contornate di divoratrice voglia e turbinante passione. E allora un soffio, un respiro, è lo scambio. In esso, gocce di vita svanita nella chimera che serra i battiti restii. Allora come una scarica li percuote: i nastri di lei diventano di un rosso ciliegia, ed è l’onda che la trapassa a colorarla a tratti di un biancore reale, le mani rosate che sembrano pallidi fusi imperlati; lui in cui nuove spume si smuovono fra i capelli ramati, ed è la stilla di verde speranza a pitturargli l’iride smorta, il bocciolo di rosa cremisi ancora intento a spirare esistenza.
Si possono trapassare le porte dell’Inferno?
Si rialzano, lenti come il sipario di un’opera incompiuta, docili come fiori in preda alla corrente che con loro non portano emozione. Ora sono l’uno di fronte all’altra, con quello che è il motore di un miraggio che sa di fantastico. Sotto il suo rombare, ogni segno che indica presenza di mare: una conchiglia posata nel tratto di terreno brullo, striscia lunga che pare allontanare i ragazzi, oppure una piuma di gabbiano che galleggia sul fiume di sangue per andare a ricongiungersi con la sua casa. Una squama di sirena smarrita nel vento.
«Lo seguiamo?» voce di donna che è sussurro. Se solo quegli aliti si fossero condensati come brina invernale, a qualche passo di farfalla dalle labbra rinsecchite, la verdognola volta celeste avrebbe osservato un moto di desiderio spostarsi dall’uno verso l’altro, l’inseguimento che si nasconde fra gli spiragli delle nubi nero petrolio. Una patina di plastica pare dividerli. È il segno nel terreno, ove nulla cresce, laddove la girandola vive, il sorgere del muto divieto.
E la girandola corre, corre… trascina un mondo dietro di sé.
«Cosa?» voce di uomo che è raschiare. Come un lupo che ambisce alla preda. Non si resiste al fremere del tormento.
«Il mare…» risponde lei.
«Per dove?»
«Di qua.» Allora rompe la barriera, lo prende per mano, e subito si getta nell’acqua vermiglia. Quindi segue la corrente flebile, che trascina entrambi verso la sua foce vicina. Le loro figure grigie si macchiano di rosso, come una vecchia foto incorniciata dal vetro incrinato, che è immobile vittima di un suicidio di sangue.
Fuggono, lasciandosi alle spalle la girandola che ancora vortica, forte, decisa. Determinata come il volo di una civetta nella notte buia.
Dopo pochi passi, fa la sua comparsa il mare. Distesa cremisi, di un colore marcato e liquido come vino. Forse del vino ha anche il sapore accogliente…
Piano i due s’immergono, restano con i capelli smossi dall’aria, mano nella mano, a contemplare un orizzonte che sa di fine. Una fine infinita, sempre lo stesso bordo di scoglio, come un granchio che s’arrampica sul masso ma poi viene riportato giù dalle onde violente, e riprende la risalita, ancora e ancora.
Un secondo. La confusione. O è caos? La visione si sta capovolgendo. Le proiezioni umane vengono trascinate in fondo al mare, la testa che sbatte e crolla fra gli spuntoni del fondale irto. Quindi una corda si avvolge attorno ai fragili colli, nell’acqua è fluida e sinuosa come un serpente che tenta. Il cappio si stringe.
Due figure, nel sogno, sono impiccate a testa in giù nel letto dell’oceano di vino.
La girandola cessa di muoversi. Nel cielo, le catene delle nuvole s’attorcigliano a formare una scritta. È un addio lugubre, grottesco, la canzone di un giullare burlesco. Come se in quel luogo accattivante ci fosse mai stato qualcosa di concreto… anche l’ultima ombra terrena è svanita, inghiottita. Morta.
“La brezza saprà concedervi un buon vento su cui prendere la via dei sogni… a volte lo scrosciare delle onde, ad occhi chiusi, sa essere quello di un paradiso lontano…”
E lì si nascondono occhi che mai più s’apriranno a vedere. Lì, giacciono orecchie che sempre ascolteranno lo stesso ritmo di mare.
Si può chiamare Paradiso il posto che ha ucciso anche l’ultima ombra di te?
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3 commenti:
Vedi a cosa porta l'oscuro e malevolo lavoro di un "editor" cattivo? Secondo me hai dato il meglio di te; è il migliore ;). Ci sono però alcune cose che sarebbero più chiare in un altro modo. In alcune parti il mistero rimane, ma forse è megli così ;).
p.s: Togli la "i" prima di bizzarri.
Ci vediamo ;)
Ciao! mi chiamo kiky e tu? ti va di conoscerci? io ho 13 anni e tu? se ti va aggiungiti ai miei lettori fissi e (sempre se ti va xD) risp alle mie domande x conoscerci. Bacioni kiky
Ciao kiky, io sono Francesca, anni 15. Il tuo blog non rientra nel giro che di solito seguo, non sono interessata alla tua proposta.
Grazie lo stesso ;)
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