venerdì 14 gennaio 2011
I Can Wait Forever 3
21:19
La corrispondenza continua. Il secondo capitolo, ovvero la risposta, lo trovate sul blog di Vincenzo. Qui, sul mio, il primo.
27/01/1823 – Seconda lettera al mio amato
Caro. Sto partendo… sto tornando.
Il paesaggio che mi dice addio è di una struggente bellezza. La neve, nella notte buia, ha tinteggiato i prati sporchi del suo velo adamantino. L’aria è frizzante, pizzica appena il naso, e ne sento la frescura sotto le mie dita, infagottate in umidi guanti di raso. Vorrei carezzare queste dolci colline, ma è tardi… era tardi, quando vi ho dovuto dare l’ultimo saluto. E tuttora rimpiango di non essermi svegliata, nottetempo, per meravigliare per l’estrema volta la mia mente, con il lento discendere dei fiocchi e il loro danzare fra i bagliori di luna. Un giorno ti porterò con me, un giorno, fra questi boschi incantevoli, giocheremo a rincorrerci. Mi sbroglierai le gonne dai rami, quand’esse vi s’impiglieranno, birichine come i miei pensieri?
Una cameriera stamane è arrivata trafelata che già, triste, avevo posato il primo piede sul predellino della carrozza. Mi ha consegnato la tua lettera. Non posso non immaginare cos’avrei perduto e lasciato indietro, se non avessi indugiato quell’attimo in più a rimirare ciò che ero prossima ad abbandonare. Avrei dimenticato anche una parte preziosa del mio amato cuore!
Ora ti scrivo che i cavalli si muovono ad un allegro trotto, e se porto lo sguardo oltre la finestrella posso ammirare le campagne scorrere mute e solitarie al lato della strada. Che sciocchezza che sto facendo! Ho appoggiato una delle valigie in grembo e ivi, in fretta, vi ho aperto il calamaio e la penna, la pergamena stesa… non oso pensare a come s’imbratterebbe il mio vestito, se un incauto dosso scaraventasse tutto all’aria! Ma questo e altro, tutto, tutto per la gioia e la prontezza che mi porta a scriverti ancora.
Non so quanto durerà il viaggio. Forse rimarrò giorni senza la possibilità di comunicare con te: quest’amara riflessione mi strugge, il pennino tentenna al tremore della mia mano. Mi sento indifesa, senza le tue braccia a cingermi… e a sussurrarmi poesie.
Le tue poesie… sei l’unico che in una manciata di parole sa infiammarmi le membra, spezzettarmi l’anima, e poi raccogliere il tutto per creare una composizione solo tua: la mia vita rimodellata, una statua dagli occhi socchiusi in estasi.
Post scriptum: nel viaggio di ritorno mi fermerò alcuni giorni – meno di una settimana, in ogni caso – nella dimora di Madame Leroy, una mia vecchia conoscenza, per riprendere le forze. Il viaggio è lungo, e non me la sento di affrontarlo tutto d’un fiato: lei abita a Namur, quindi lungo la strada, ed è tanto che mi prega di farle visita. Spero che questo ulteriore ritardo non ti faccia spiacere.
27/01/1823 – Seconda lettera al mio amato
Caro. Sto partendo… sto tornando.
Il paesaggio che mi dice addio è di una struggente bellezza. La neve, nella notte buia, ha tinteggiato i prati sporchi del suo velo adamantino. L’aria è frizzante, pizzica appena il naso, e ne sento la frescura sotto le mie dita, infagottate in umidi guanti di raso. Vorrei carezzare queste dolci colline, ma è tardi… era tardi, quando vi ho dovuto dare l’ultimo saluto. E tuttora rimpiango di non essermi svegliata, nottetempo, per meravigliare per l’estrema volta la mia mente, con il lento discendere dei fiocchi e il loro danzare fra i bagliori di luna. Un giorno ti porterò con me, un giorno, fra questi boschi incantevoli, giocheremo a rincorrerci. Mi sbroglierai le gonne dai rami, quand’esse vi s’impiglieranno, birichine come i miei pensieri?
Una cameriera stamane è arrivata trafelata che già, triste, avevo posato il primo piede sul predellino della carrozza. Mi ha consegnato la tua lettera. Non posso non immaginare cos’avrei perduto e lasciato indietro, se non avessi indugiato quell’attimo in più a rimirare ciò che ero prossima ad abbandonare. Avrei dimenticato anche una parte preziosa del mio amato cuore!
Ora ti scrivo che i cavalli si muovono ad un allegro trotto, e se porto lo sguardo oltre la finestrella posso ammirare le campagne scorrere mute e solitarie al lato della strada. Che sciocchezza che sto facendo! Ho appoggiato una delle valigie in grembo e ivi, in fretta, vi ho aperto il calamaio e la penna, la pergamena stesa… non oso pensare a come s’imbratterebbe il mio vestito, se un incauto dosso scaraventasse tutto all’aria! Ma questo e altro, tutto, tutto per la gioia e la prontezza che mi porta a scriverti ancora.
Non so quanto durerà il viaggio. Forse rimarrò giorni senza la possibilità di comunicare con te: quest’amara riflessione mi strugge, il pennino tentenna al tremore della mia mano. Mi sento indifesa, senza le tue braccia a cingermi… e a sussurrarmi poesie.
Le tue poesie… sei l’unico che in una manciata di parole sa infiammarmi le membra, spezzettarmi l’anima, e poi raccogliere il tutto per creare una composizione solo tua: la mia vita rimodellata, una statua dagli occhi socchiusi in estasi.
Post scriptum: nel viaggio di ritorno mi fermerò alcuni giorni – meno di una settimana, in ogni caso – nella dimora di Madame Leroy, una mia vecchia conoscenza, per riprendere le forze. Il viaggio è lungo, e non me la sento di affrontarlo tutto d’un fiato: lei abita a Namur, quindi lungo la strada, ed è tanto che mi prega di farle visita. Spero che questo ulteriore ritardo non ti faccia spiacere.
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1 commenti:
Mi commuovi, ogni volta.
Ti voglio bene.
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