lunedì 28 dicembre 2009
Fotografie di una nuova quotidianità
16:53
I polacchi fanno prevalentemente una vita di campagna. La distribuzione della popolazione è assurdamente omogenea, pochi vivono in città, e quelli che lo fanno sono spinti più che altro da motivi di lavoro. Le famiglie si ammassano nei paesini della periferia, che si susseguono a ritmo costante, intervallati da lunghi campi gelidi e boschi, dove spuntano fra enormi querce dei simpatici cespugli di more, mirtilli e fragole.
Quando si parla di paesi, in Polonia, non dovete immaginarvi gruppi di case distanziate da stretti vicoli. La strada è una, quella principale, percorsa anche da tir e pullman che vanno verso altre nazioni; non ci sono vie secondarie. Le dimore si affacciano alla strada, una dopo l’altra, come tante villette. Spesso sul retro si nasconde un orto, oppure parte di bosco di proprietà privata. Sono pezzi di terreno edificati, con un giardino grande e un’inferriata che corre lungo tutto il perimetro della zona. Lo stesso vale per le scuole, che qui sono curatissime come una casa normale, e che sono provviste di tende alle finestre, vasi di fiori ai davanzali, ciabatte per gli alunni e gli insegnanti. Cimiteri, Chiese, supermercati e servizi seguono la stessa regola: una sola strada su cui danno tutti gli edifici, a volte anticipati da un piccolo vialetto non lungo più di qualche metro. Così per chilometri e chilometri, e il passare da un paesino all’altro viene annunciato solo da un cartello che ne riporta il nome. Se questo cartello mancasse, forse non ci si accorgerebbe nemmeno del cambiamento.
La Polonia è una nazione abitudinaria, calma. Laddove mancano i paesi che ne fanno il segno di riconoscimento, si notano immense praterie, con foreste fitte e laghi il più delle volte ghiacciati. L’aria è pura e fresca, scende giù per la gola come un balsamo rigenerante. Non ho potuto conoscere che una piccola parte della vita di città che si conduce qui, ma so che sono soprattutto luoghi in cui si concentrano i servizi, i vari lavori, il centro. Le città polacche le ho sempre viste spente, perché vivono solo in funzione dei paesi vicini, quasi come punti di riferimento. Sai che ci sono, ti rechi lì per le emergenze o per l’indispensabile, a volte ci passi la domenica, ma poi ti rintani nella tua villetta di campagna, a smuovere il terriccio dove crescono le patate, a raccogliere i funghi nel bosco, a leggere un libro vicino al fuoco con il tuo gattino in grembo.
È anche una nazione povera. Molti vivono ancora in case completamente in legno, e dall’esterno hanno un aspetto fatiscente e triste. Numerosi sono i comignoli che sputacchiano fumo giallognolo, a volte nerastro; ed è disarmante credere che quel focolare a volte è l’unica fonte di riscaldamento. I polacchi sono superstiziosi, attaccati alle loro tradizioni in modo morboso, sono il classico popolo del nord che guarda al progresso con scetticismo e paura. Per fortuna con le nuove generazioni qualcosa sta cambiando, anche se conservano lo stesso queste caratteristiche di fondo. D’altro canto sanno essere dolci, generosi, e stranamente timidi.
A Natale, la Polonia si accende di colore, si veste a festa ritirando fuori dagli armadi tutti i suoi gioielli, s’incipria il volto come una fanciulla al suo primo ballo. Ogni casa è ricca di luci, avvolte attorno a balconate, finestre, alberi, ringhiere e colonnati. È quasi una gara per chi addobba: si cerca di essere i migliori, i più originali, e nel frattempo l’aria si carica di atmosfera e di attesa incontenibile. Il vischio è appeso ad ogni porta, per scacciare gli spiriti maligni e forse trovare un nuovo amore. Le canzoni natalizie risuonano in ogni angolo, cantate a mezza voce, accennate nel ritmo, battute con le dita sul manubrio della macchina. Il 25 dicembre, poi, tutte le Chiese si affollano, e molti attendono fuori per assistere alla celebrazione della Messa. Quindi i giovani di ogni famiglia cominciano con la tradizione: si travestono da morte, diavolo, pastore e re, e fanno il giro delle case cantando e recitando poesie. Si dice che sia una specie di rituale per scacciare il male, e nel frattempo i ragazzi guadagnano qualche spicciolo portando gioia di porta in porta. Il più delle volte ci si ritrova con bambini sperduti che biascicano a stento qualche parola, vestiti malamente, sembrano stati gettati a forza in mezzo alla strada giusto per far godere la famiglia di quel poco che sarebbero riusciti a racimolare. Fanno un po’ pena, talvolta spunta un mezzo sorriso, ma sono accolti calorosamente e si fa di tutto per far sì che si trovino a loro agio. Il giorno di Natale si sta in casa, con tutti i parenti riuniti, si mangia, si beve, si gioca a carte. Ci si diverte sperando di riuscire a ignorare almeno momentaneamente la realtà.
A Capodanno, la nostra signora si cambia d’abito: rimangono le classiche decorazioni del periodo, ma si aggiungono palloncini, fiori, nastri, cappelli a punta dai colori psichedelici, e tanti, tantissimi fuochi d’artificio. Il cielo, in questa notte, si vanta di nuove stelle. La musica risuona dalle casse approntate al momento, si da il via a danze sconnesse e spesso imbarazzanti, frutto dell’alcol assunto in precedenza. È una notte senza limiti, dove la tv è sempre accesa in modo da controllare l’ora e guardare i concerti spettacolari che danno nelle principali città. Si possono passare ore senza far niente, stando solo insieme, e anche dopo la mezzanotte questa strana festa continua, imperterrita, finché le membra non si dichiareranno da sole impossibili di proseguire oltre. Ma i fuochi, i fuochi dell’ora di punta, i primi… è come vagare per l’universo, non riesci a contemplarli tutti con una sola occhiata. Se ne vedono a migliaia, perché ogni sparo proviene da una casa diversa, e continuano per minuti interminabili. Contengono la magia e la speranza del nuovo anno. E ti viene da pensare, nel gelo del balcone a cui ti affacci, fra le luci delle fatue stelle, di tutte quelle volte che, scrivendo, sbaglierai anno, nostalgico del passato, incredulo del presente, inconsapevole del futuro.
Quando si parla di paesi, in Polonia, non dovete immaginarvi gruppi di case distanziate da stretti vicoli. La strada è una, quella principale, percorsa anche da tir e pullman che vanno verso altre nazioni; non ci sono vie secondarie. Le dimore si affacciano alla strada, una dopo l’altra, come tante villette. Spesso sul retro si nasconde un orto, oppure parte di bosco di proprietà privata. Sono pezzi di terreno edificati, con un giardino grande e un’inferriata che corre lungo tutto il perimetro della zona. Lo stesso vale per le scuole, che qui sono curatissime come una casa normale, e che sono provviste di tende alle finestre, vasi di fiori ai davanzali, ciabatte per gli alunni e gli insegnanti. Cimiteri, Chiese, supermercati e servizi seguono la stessa regola: una sola strada su cui danno tutti gli edifici, a volte anticipati da un piccolo vialetto non lungo più di qualche metro. Così per chilometri e chilometri, e il passare da un paesino all’altro viene annunciato solo da un cartello che ne riporta il nome. Se questo cartello mancasse, forse non ci si accorgerebbe nemmeno del cambiamento.
La Polonia è una nazione abitudinaria, calma. Laddove mancano i paesi che ne fanno il segno di riconoscimento, si notano immense praterie, con foreste fitte e laghi il più delle volte ghiacciati. L’aria è pura e fresca, scende giù per la gola come un balsamo rigenerante. Non ho potuto conoscere che una piccola parte della vita di città che si conduce qui, ma so che sono soprattutto luoghi in cui si concentrano i servizi, i vari lavori, il centro. Le città polacche le ho sempre viste spente, perché vivono solo in funzione dei paesi vicini, quasi come punti di riferimento. Sai che ci sono, ti rechi lì per le emergenze o per l’indispensabile, a volte ci passi la domenica, ma poi ti rintani nella tua villetta di campagna, a smuovere il terriccio dove crescono le patate, a raccogliere i funghi nel bosco, a leggere un libro vicino al fuoco con il tuo gattino in grembo.
È anche una nazione povera. Molti vivono ancora in case completamente in legno, e dall’esterno hanno un aspetto fatiscente e triste. Numerosi sono i comignoli che sputacchiano fumo giallognolo, a volte nerastro; ed è disarmante credere che quel focolare a volte è l’unica fonte di riscaldamento. I polacchi sono superstiziosi, attaccati alle loro tradizioni in modo morboso, sono il classico popolo del nord che guarda al progresso con scetticismo e paura. Per fortuna con le nuove generazioni qualcosa sta cambiando, anche se conservano lo stesso queste caratteristiche di fondo. D’altro canto sanno essere dolci, generosi, e stranamente timidi.
A Natale, la Polonia si accende di colore, si veste a festa ritirando fuori dagli armadi tutti i suoi gioielli, s’incipria il volto come una fanciulla al suo primo ballo. Ogni casa è ricca di luci, avvolte attorno a balconate, finestre, alberi, ringhiere e colonnati. È quasi una gara per chi addobba: si cerca di essere i migliori, i più originali, e nel frattempo l’aria si carica di atmosfera e di attesa incontenibile. Il vischio è appeso ad ogni porta, per scacciare gli spiriti maligni e forse trovare un nuovo amore. Le canzoni natalizie risuonano in ogni angolo, cantate a mezza voce, accennate nel ritmo, battute con le dita sul manubrio della macchina. Il 25 dicembre, poi, tutte le Chiese si affollano, e molti attendono fuori per assistere alla celebrazione della Messa. Quindi i giovani di ogni famiglia cominciano con la tradizione: si travestono da morte, diavolo, pastore e re, e fanno il giro delle case cantando e recitando poesie. Si dice che sia una specie di rituale per scacciare il male, e nel frattempo i ragazzi guadagnano qualche spicciolo portando gioia di porta in porta. Il più delle volte ci si ritrova con bambini sperduti che biascicano a stento qualche parola, vestiti malamente, sembrano stati gettati a forza in mezzo alla strada giusto per far godere la famiglia di quel poco che sarebbero riusciti a racimolare. Fanno un po’ pena, talvolta spunta un mezzo sorriso, ma sono accolti calorosamente e si fa di tutto per far sì che si trovino a loro agio. Il giorno di Natale si sta in casa, con tutti i parenti riuniti, si mangia, si beve, si gioca a carte. Ci si diverte sperando di riuscire a ignorare almeno momentaneamente la realtà.
A Capodanno, la nostra signora si cambia d’abito: rimangono le classiche decorazioni del periodo, ma si aggiungono palloncini, fiori, nastri, cappelli a punta dai colori psichedelici, e tanti, tantissimi fuochi d’artificio. Il cielo, in questa notte, si vanta di nuove stelle. La musica risuona dalle casse approntate al momento, si da il via a danze sconnesse e spesso imbarazzanti, frutto dell’alcol assunto in precedenza. È una notte senza limiti, dove la tv è sempre accesa in modo da controllare l’ora e guardare i concerti spettacolari che danno nelle principali città. Si possono passare ore senza far niente, stando solo insieme, e anche dopo la mezzanotte questa strana festa continua, imperterrita, finché le membra non si dichiareranno da sole impossibili di proseguire oltre. Ma i fuochi, i fuochi dell’ora di punta, i primi… è come vagare per l’universo, non riesci a contemplarli tutti con una sola occhiata. Se ne vedono a migliaia, perché ogni sparo proviene da una casa diversa, e continuano per minuti interminabili. Contengono la magia e la speranza del nuovo anno. E ti viene da pensare, nel gelo del balcone a cui ti affacci, fra le luci delle fatue stelle, di tutte quelle volte che, scrivendo, sbaglierai anno, nostalgico del passato, incredulo del presente, inconsapevole del futuro.
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2 commenti:
"a leggere un libro vicino al fuoco con il tuo gattino in grembo." ti ho vista, in questa frase ;)
Le tue descrizioni mi lasciano sempre senza fiato... Sai essere profonda, e non so quante volte ancora te lo ripeterò e tu ti imbarazzerai, ma sei brava a scrivere, maledettamente brava! :D
Sono senza parole... è come se fossi stata in Polonia... Scrivi e descrivi divinamente! E direi che il tuo blocco se ne è andato! ;)
A me invece ancora nulla... Sono ancora ferma... Non riesco a sfornare qualcos di convincente... :(
Comunque credo proprio che la Polonia mi possa piacere! Ne sono affascinata! Prenderei il primo aereo per scappare lì! Mi ci vorrebbe proprio un bel viaggio. Un viaggio solitario in cui ritrovare me stessa e l'ispirazione...
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