martedì 18 gennaio 2011

PostHeaderIcon I Can Wait Forever 9

02/03/1823

Le Havre si è rivestita, con l’arrivo della tua lettera, di una calma surreale… pare aver trattenuto il fiato assieme a me, mentre leggevo. Mi avevi già preannunciato, giorni addietro, della grave fine cui andavi incontro, ma sentirne il dolore, palpabile, il tuo forse stupore a dover accettare il tutto… mi spiace.

Le vite volano via come un soffio, ognuno, in un modo o nell’altro, dovrà passare il periodo dell’ammissione di una perdita. L’arte di perdere non è difficile da imparare, diceva qualcuno. Anche se alla fine si tratta solo di relegare la sofferenza in una parte del cuore, farla giacere e maturare finché essa non deciderà da sola di raggiungere scogli più quieti, privata della forza della mareggiata, e divenire, ormai, un palpitare sordo, l’ombra triste di un ricordo lontano.

Vorrei essere lì con te, in questo momento, consolarti, per quanto le mie fragili membra possano riuscire a farlo. Non sono mai stata brava con le parole, ho comunicato, lungo la mia vita, solo per immagini: il narratore di ogni nostra ballata sei sempre stato tu, con le tue dita lunghe e sottili, da pianista, ogni storia un tasto – nero, bianco, nero, bianco, bianco… un tasto nero è la dolente visione di ogni racconto che non raggiunge il lieto fine. Non ti sembra ridicolo? Piccolo, relegato nell’alto, più duro a premersi, ma così struggente! Lucidato, si riflette dei lucori altrui, per nascondere sulla sua superficie solo gorghi oscuri in cui smarrirsi per sempre.

Ed è per questo che ritengo opportuno venire da te. A salvarti, finché può la mia sola presenza eluderti dal commettere sciocchezze. Non che non confidi nel tuo buon senso, o altro. Oh, non ho più voce per spiegarmi meglio. Desidero solo stare al tuo fianco, rassicurarti, stringerti la mano e con un bacio asciugarti una lacrima fuggitiva che s’allontana dai tuoi occhi tristi. Perdonami se non potrò essere in grado di fare altro, ma quel poco permettimi di donartelo.

Le giornate nella tua villa a Le Havre trascorrono lente. Tua zia è stata molto gentile con me, ad accogliermi come ha sempre fatto, nonostante stavolta tu non eri con me. Ha preso la notizia con garbata mestizia, ma nella notte l’ho sentita abbandonarsi a un breve pianto, nella sua stanza affianco alla mia.

È una donna forte. La mattina dopo, nella sua crocchia argentea, era di nuovo perfetta come lo è sempre stata. Solo due cambiamenti ne incutevano le sembianze: la veste nera, a collo alto, e una luce un po’ più spenta negli occhi.

Io ho trascorso oziosi pomeriggi di lettura. Non mi riesce facile abbandonarmi all’arte, quando ogni pennellata s’inasprisce di rimembranze infelici. Solo una storia può portare, in questo momento, la mia mente altrove: non immagini quanti mari ho navigato, quanti posti ho visitato, nella notte, all’alba, fra le coltri di un cielo cosparso da costellazioni diverse, più nuove, più vive! Ho letto con attenzione trasognata di amori così simili al nostro, ma che mai si sono rivelati più intensi del sentimento che custodisco in me.

Ieri, per festeggiare il sopraggiungere di Marzo – sai bene quanto ami questo mese, quanto gioisca delle ultime, sparute nevicate che ogni tanto mi fanno visita a sorpresa – mi sono addentrata nel giardino della villa, lasciando indietro il patio da cui sovente avevo già assaporato l’aria marina di Le Havre. Il sale pare corrodere qui, prima che negli altri luoghi, la neve che in Febbraio vi si era posata. Ho scovato, nei rami di un biancospino, spuntato come un fiore, un mucchietto residuo di neve. L’ho sfiorato, incauta, graffiandomi la mano e permettendo che i guanti in pizzo venissero pizzicati dalle fronde, ho goduto del suo tocco gelido e dell’incavo sciolto che il mio dito ha formato nel grumo. Per un istante mi sono sentita una bambina. Quante volte mi hai chiamato così, lambendo parti del mio animo che a me stessa erano ancora sconosciuti.

Passeggiare in solitudine, scortata dalle meraviglie della natura fino al pergolato d’ipomee che tanto amo, è stato piacevole e ritemprante. Forse l’ispirazione di un nuovo quadro, qualcosa, stavolta, di davvero sensazionale, si sta affacciando alle finestre della mia mente occlusa dalla nostalgia. Potrei provare a darvi una prima bozza a Londra, che ne pensi?

Ah! Dimenticavo di comunicartelo. È passato di qui tuo cugino per visitare la madre, durante un pomeriggio. L’ho trovato in ottima forma, fresco come un frutto estivo, e sono contenta che la moglie stia conducendo una vita felice. Mi ha chiesto, impudente, quand’è che anche noi decideremo di condurre in matrimonio la nostra relazione. Ho sviato la domanda con una risata lieve, dopodiché mi ha sfidato a scacchi per trascorrere il tempo, accorgendosi forse della sua sfrontatezza e ritornando sui suoi passi. Ha imparato bene dai tuoi insegnamenti, dalle diverse partite che abbiamo fatto non sono riuscita una volta a batterlo.

Sapendo della tua passata sosta, però, si è infervorato non poco. Credo siano due anni che non vi incrociate, dopo un’infanzia intera trascorsa fra le pareti di un’unica dimora, e tu hai eluso una delle possibilità che avevi anche solo per stringergli la mano, come si fa fra vecchi amici. Ha promesso che al tuo ritorno verrà di nuovo.

Ho l’impressione che non siano in pochi coloro che ti danno la caccia.

Post scriptum: nonostante tutto, la domanda del tuo parente mi ha scosso. Quando, per una buona volta, mi sposerai? Non ce la faccio più a far tacere i timori del cuore e le dicerie della gente.

Tua, per sempre,

Evangeline Leibniz

1 commenti:

Maggie ha detto...

Ciau, grazie per aver aggiunto il banner del mio diario! Io ho provveduto a sostituire il tuo banner nella pagina degli "Amici" con quello nuovo. Baci!

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