domenica 31 gennaio 2010

PostHeaderIcon L’Ultima Battaglia

CornfieldPoppys_by_Loonagirl90

  Macchie rosse, su quel manto giallo, risaltano, mosse da un vento leggero; papaveri e grano.

Poggio le dita, sento scorrere ogni filo che mi solletica il palmo. Accelero il passo, corro. Corro in questa distesa infinita senza sentiero, libero.

Libero di gridare, di urlare la mia gioia al mondo intero. E sono sopra le nuvole, fra spiragli di cielo; sono solitario, fugace pensiero.

Pensiero che danza, illuminato da lampi di luce dorata, nel giorno che avanza.

Pensiero. Un momento, è immobile. Come in picchiata, ritorno alla realtà.

To_War_by_Hortlak

Il clangore delle armi affilate. I tamburi. Il loro lento e lugubre rullio che mi perfora i timpani.

Do’ il segnale. Come un'unica, enorme creatura, ci avviamo allo stesso ritmo. Un piede davanti all’altro, diretti in faccia alla morte. Sento i cavalieri del cielo accompagnarci nell’ultimo viaggio, scandire con il battito delle loro ali di ferro questa marcia, questo sensazionale e terribile requiem.

Lo scontro, l’impatto iniziale si svolge in un silenzio terreo, io che mi getto contro i nemici. Poi il caos.

carnage

È finita, mi dico, è finita. Ora è solo distruzione. Sembrano passati pochi attimi, eppure è già scesa la sera. Vedo un mare di corpi. Un mare in bonaccia, dove io sono l’unica nave che ancora solca queste acque in lutto.

Vedo le armi a terra, conficcate nel terreno fertile intriso di sangue. Sembrano lapidi di un cimitero.

Ma so che qualche anima ancora è viva. Cerco, frugo fra gli ammassi di corpi, sento il respiro. Piango.

E poi realizzo che sono l’unico.

Ma ho vinto. No, abbiamo vinto. Abbiamo vinto! Rido. Piango. Mi dispero e rido. Abbiamo vinto!

2492448674_297bc39bfa

Stavolta sono veramente libero di tornare al mio campo di grano. Stavolta, camminerò creando nuove strade, nuovi destini per me solo.

Dietro, a seguirmi, i miei vecchi compagni. Porterò avanti il loro ricordo con gioia. Porterò avanti ogni loro resto, sarò lo stendardo spiegato di questa nuova era.

E ancora sfioro con le dita ogni filo, mi solletica il palmo. È come prima, come il sogno. Ma ora è vero.

Ora siamo finalmente liberi, compagni! Corriamo, le armi in mano, tutti insieme, io per primo.

Vivrò per ognuno di voi. È una promessa. Ogni mio respiro sarà il battito di una moltitudine di cuori, finché anch’io non potrò festeggiare assieme a voi.

Mi attendono ancora cento battaglie. Non so se sarò capace di vincerle, o cadrò. Ma so che ci sarete sempre voi, compagni, ad attendermi alla fine del mio giorno. Lì, sul confine. Il mio battaglione d’assalto.

Gladiator_by_mirchiz

 

 Buon Compleanno,

 Mio Guerriero…

giovedì 28 gennaio 2010

PostHeaderIcon Lovely Haiku

FAIRY_TALES___the_kiss_by_hprovoste 

Stamattina un nuovo sogno è venuto a farmi compagnia…

portarlo per iscritto è stato un che di naturale, visto che l’avevo già fatto, e visto che dicono sia un buon esercizio.

Ho alcune premesse da farvi. Primo, gli haiku riportati

non sono miei, quindi se li trovate particolarmente belli potete congratularvi con l’autore.

Inoltre, la scelta stilistica è venuta abbastanza naturale,

perché i sogni li ritengo attimi sospesi in uno spazio fuori dal tempo, dove tutto scorre secondo una logica diversa dalla realtà. Spero di aver trasmesso il meglio possibile il concetto attraverso il racconto, perché volevo far restare l’atmosfera trasognata e surreale tipica dei sogni.

Se ve lo chiedete, la ragazza del sogno… sì, mi ci rivedo

molto in lei. Nel mio inconscio post-sogno ho anche riflettuto su chi poteva essere il ragazzo, e mi sono venute in mente ipotesi strane e impossibili, ma alla fine ho dedotto che poteva essere uno solo. Potreste arrivarci da soli o meno, vi dico solo che la mia mente mi ha giocato un brutto scherzo… e in mezzo c’entrano anche gli haiku, che stranamente hanno trovato un incastro perfetto nella storia, nonostante essa sia stata scritta (e sognata) senza sfiorare questi particolari componimenti tipici del Giappone. Insomma, chi è il ragazzo non ve lo dico. Se ci arrivate da soli, tanto meglio ^^

La base musicale con cui ho scritto il racconto è Deep &

Chilled Euphoria, Ambient Music, e che dura per ben un’ora e venti. Per scrivere il racconto per intero, l’ho ascoltata due volte.

Concludo dicendo che spero vivamente che vi piaccia,

visto che il genere mi sta appassionando e potreste trovare spesso inserzioni simili in questo blog. Se così non è, inserite commenti lunghi e segnalatemi ogni cosa che non vi va giù, mi sarà utile per migliorare.

Buona lettura.

fregio-divisore

Una figura è accucciata in un angolo, le gambe strette al petto, la schiena incurvata, le mani che si poggiano sulle fredde piastrelle del bagno.

Si guarda intorno, spaesata. È silenzio, è immobilità; istanti che si susseguono nell’ovattato spazio.

Un rumore; qualcosa che cade, scivola. Lo sciacquio dell’acqua smossa.

Nella vasca c’è qualcuno.

Una tendina rosa pallido ne offusca la vista, si nota solo una mano che pende, quasi priva di vita. Sembra che ci siano due sagome.

No, non fermarsi. Andare.

Ancora non sa perché è lì, come ha fatto ad arrivarci. Si è sentita polverizzare, poco prima, nella sua camera forse a miglia e miglia da dove si trova ora. E si è… ricomposta? Sì, ricomposta. In quel bagno.

Via. La porta è aperta. Scivola fuori come un ragno, ancora bassa in terra, piedi e mani che si avvicendano sull’impiantito. Un’altra stanza. Una nuova porta aperta.

Entra.

Un ragazzo è disteso su un letto, gli occhi chiusi a riposare su chissà quali lievi pensieri. Sarà la sua camera, fitta di mobili e libri, immagini di rose di ghiaccio e delicati cristalli.

E post-it. Foglietti appesi ovunque, sparsi a terra, sulla scrivania, misti a foto sfocate. Haiku.

Lui intanto non si è ancora accorto di lei, che l’osserva dall’angolo dell’armadio più vicino all’entrata.

Vive pallido
fra livide lapidi

fragile giglio.

Si è svegliato.

Poi tutto si fa confuso, grida, spiegazioni, domande, tante domande. Vuole tornare a casa, subito, ma non sa dov’è, come ha fatto a succedere tutto questo. È spaventata, ma la presenza del ragazzo la rassicura. Ha diciotto anni, questo le ha detto, quando hanno finito di discutere. La aiuterà, le promette.

E le spiega, sorridendo, chi c’è nella vasca. Bambole. Bambole a grandezza naturale, che lui costruisce non si sa come. Le mostra le foto.

Donne e bambini in posizioni scomposte, ghiacciate fra colori psichedelici e tristi atmosfere. Gridi smunti sui volti di cera. Paura, nude anime in preda all’oscuro destino.

Piange un piccolo
pettirosso, perso nella
grigia città.

L’aiuterà, le promette.

Parlano. Si conoscono, seduti sul letto del ragazzo. Incredibilmente, hanno molte cose in comune. Sono discorsi saggi, i loro, parole temprate dalla riflessione mancata alle moltitudini, sospiri ponderati con bilance d’argento. Che si stia creando qualcosa di nuovo?

Il ragazzo è carino, ma non ne conosce il nome. È come molti altri, e al contempo si discosta da ognuno di loro. Gli haiku volano nella stanza, dalla finestra aperta, avvolgono i due in valzer incantati. E la luce, forte e dorata, del sole che cala.

Danzano mesti
nel soffio del tramonto
fiori di pesco.

Lei, si polverizza davanti ai suoi occhi; pochi secondi appena. Come la sabbia del deserto nelle tempeste, vagano le sue particelle nell’aria. È a casa! Di nuovo! Casa…

E così ogni giorno. Nel pomeriggio è lì con lui, e al tramonto ritorna, anima e spirito che scontrano le barriere dell’impossibile. Ormai è abitudine, passare le ore insieme. Oramai è abitudine…

Il vento scompiglia i capelli a entrambi, mentre l’auto sfreccia sulla strada deserta. Campi di grano scorrono ai lati, fotogrammi di una stagione eterna, ciclo ripetitivo di una stessa ambiziosa melodia.

La sta portando via, in un luogo a lei sconosciuto. Una sorpresa.

Lui le implora un bacio, e guida verso le acque di un lago d’ignoto. E bacio sia, lì fra le labbra che si sfiorano, bramose, foglie nel vento che si avvolgono su se stesse, danza di passione.

Arrivano. Una coperta stesa a pochi metri dall’acqua, sull’erba candida di rugiada, umida, soffice sotto i piedi.

Il ragazzo le chiede di chiudere gli occhi, aprire la bocca. Lei sorride, accondiscendente. Una sorpresa.

Sente qualcosa di freddo e profumato poggiarsi sulle labbra. Assapora il dolce gusto, fresco di primavere dimenticate. Una fragola.

E mentre il sole discende, prosegue, loro insieme. Ancora una volta. Ancora per sempre.

D'oro dipinte
si stiracchiano l'onde sul
lago al vespro.

– Sai bene che non potremo mai stare insieme veramente. – dice lui, mesto, disperato e provato dagli addii giornalieri.

– Ma io ora sono qui, e sono tua. È questo ciò che conta. – fa lei. Bacio, labbra che si sfiorano.

– Non te ne andare… – Bramose, foglie nel vento.

– Sarò sempre con te. – Si avvolgono su se stesse, danza di passione.

E tramonto è; lei si alza, lo abbandona, arretra lasciandolo lì seduto a contemplare il suo viso.

Ma stavolta la rincorre, mentre sfuma nel vento, la abbraccia e la stringe. Quando scompare, l’ultimo bacio è impresso sulle sue labbra.

Scende la sera. E lui è ancora lì, sul lago. Aspetterà il nuovo giorno.

Brilla nel buio
su frammenti di specchio

luna ferita.

giovedì 14 gennaio 2010

PostHeaderIcon Freestyle



Sento il fruscio delle bombolette spray. L’immagine prende lentamente forma, seguendo i colpi decisi dell’artista di strada. Lui ha i pantaloni cascanti, delle sneakers rosse e una felpa col cappuccio calato. Una medaglietta argentata gli pende sul petto. Sorride e continua l’immagine di una donna dai capelli corti, una frangia che le copre l’occhio destro e due treccine verdi e sottili che le si posano sul petto.
Fermo, immobile nel suo salto mortale. I piedi saldi sullo skateboard, il ragazzo è a testa in giù mentre compie un’acrobazia spettacolare sulle scale mobili di una metropolitana londinese. È completamente rasato, e sul capo si scorge la scritta ‘Freestyler’. Una musica rap s’infiltra nelle orecchie, il ritmo incalzante.
Poi c’è lei, che pare una bambina, sdraiata sull’asfalto e vestita con un jeans strappato e un top fucsia che lascia scoperte pancia e spalle. Anche lei con un taglio particolare, caschetto nero e striature blu.

Questi sono i poster che, assieme a molti altri, mi accolgono appena entro nel locale. Qualche pianta arreda il pavimento altrimenti grigio e polveroso, un divano sdrucito con davanti un tavolino colmo di riviste risalenti a qualche anno fa. Non ho bisogno di attendere, perché è già il mio turno.
La donna che mi accoglie, al contrario della aspettative, ha una capigliatura bella ma semplice, così come il suo vestiario. Il trucco è leggero: una donna così comune che a stento ne ricordo i lineamenti, e a cui mi verrebbe da chiedere dove trova tutto il coraggio per fare quel mestiere. È una parrucchiera, di certo avrà moltissimi clienti che chiedono solo una messa in piega, o un trattamento contro le doppie punte. Ma se le si presenta un giovane che le fa quella precisa richiesta, ne esce trasformato. Dicono che è brava come i parrucchieri che preparano le acconciature alle modelle. Io dico di più.
“Voglio un taglio che si noti da lontano.” Dico sorridente, e mi accomodo sulla sedia girevole, nera e dai braccioli di freddo metallo. Lei risponde al mio sorriso e comincia a lavorare. Mi fido, conosce i miei gusti e so che non sbaglierà nemmeno stavolta.
Solo ora mi accorgo che non sono sola. Vicino a me, a una distanza massima di un paio di metri, c’è anche un ragazzo. Ha ancora la carta stagnola fra i capelli, quindi credo che la donna con lui ha quasi finito. Ha gli occhi truccati di nero, e corvini sono anche i pochi ciuffi che gli cadono sulla fronte. Si alza e mette un cd hip-hop nello stereo che sta sopra al ripiano, nascosto fra boccette di colore e accessori vari. Qui sono i clienti che scelgono la musica.
Il tempo vola. Sono pronta, e per la prima volta mi guardo allo specchio. Sono uno schianto: i miei capelli castani si sono scuriti incredibilmente, e per metà sono riportati sul lato destro del viso. Quel ciuffo è tutto blu, con sopra delle fantastiche ciocche rosa chiaro. Anche il mio compagno ormai ha finito, e lui si è anche fatto lo smalto alle unghie. Ha un taglio spettacolare. Da dietro i capelli sono tutti alzati e scompigliati verso l’alto, e hanno preso delle sfumature che ricordano l’arcobaleno. Le unghie sono smaltate di nero, con sopra degli sticker argento che ritraggono un teschio.
Me ne vado, ringraziando la donna e quasi ridendo fra me e me.


Ho sempre amato i look estroversi, un po’ pazzi, ma soprattutto personalizzati. Forse tutti, indipendentemente dalla scelta comune, sono concordi nel dire che se dipendessimo un po’ meno dall’aspetto esteriore sarebbe un mondo migliore. Io credo di no. Perché la nostra esteriorità è l’unico modo che abbiamo per evitare di esprimere solo a parole il nostro essere: la figura, l’immagine che rendiamo di noi stessi è importante, perché – se creata con i giusti precetti – è specchio dell’anima.
Gli abiti che scegliamo devono assolutamente essere affini a noi. Come una seconda pelle, ci devono calzare alla perfezione e devono farci sentire a nostro agio. Per esempio, se mi fate mettere una minigonna in tulle o un maglione qualsiasi che non abbia almeno uno strass, mi sentirei a priori strana, più chiusa. Ma datemi qualcosa di punk e la metterei ovunque, in qualsiasi occasione. Con quel genere di vestiti mi sento bene: ho la sensazione che posso combattere e affrontare qualsiasi cosa. Mi piaccio.
Inoltre, ogni mattina, prima di andare a scuola, scelgo gli abiti con criteri precisi. Parto dal mio umore e dall’immagine che voglio dare di me: se desidero essere seria, camicia e pantaloni neri; se voglio essere dolce vado sul rosa o sul rosso; se sono infuriata partono i pantaloni di pelle o i jeans strappati, con tanto di catene e bracciali di borchie. Mi viene naturale.
Scrivendo questo mi sono venute alcune domande che mi piacerebbe farvi… qual è il vostro rapporto con il vestiario? Concordate o meno con la mia opinione? Scatenatevi con i commenti, perché apro il mio personale dibattito.


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